“Madre, ho portato a casa un dono” – così si rivolse a Kunti un Arjuna vittorioso di ritorno dal grande swayamvara (pratica di selezione del futuro marito tra una rosa di contendenti) indetto dal re Draupada per trovare un degno marito a sua figlia. In un paese dove il rispetto alla madre supera anche il volere divino e in un tempo in cui la fede alla parola era un valore fondamentale, il terzo dei Pandava, eccezionale arciere, non poté fare altro che rispettare il comandamento inavvertitamente espresso da Kunti la quale, senza vedere di quale dono si trattasse rispose: “Qualsiasi cosa sia, il vostro dovere è quello di dividerlo tra di voi.” Fu così che Draupadi divenne la moglie di tutti e cinque i fratelli.
Figli di Pandu, legittimo erede al trono di Bharata, i cinque fratelli nacquero per mezzo di un potente mantra ricevuto da Kunti in giovane età, grazie al quale avrebbe potuto generare dei figli invocando a piacimento qualsiasi divinità. Nacquero così:
- Yudishtira, figlio di Dharma (il dio della giustizia), di grande saggezza e dal forte senso di rettitudine;
- Bhima, figlio di Vayu (il dio del vento), dalla forza sovrumana e invincibile nella lotta;
- Arjuna, figlio di Indra (dio vedico a capo dei Deva, grande guerriero), impareggiabile nell’uso delle armi;
Kunti concesse poi l’uso del mantra alla seconda sposa di Pandu, Madri, e da lei nacquero:
- Nakula e Sahadeva, figli gemelli degli Ashvin (i medici degli dei), di bell’aspetto e grande erudizione.
Ai cinque Pandava e alla moglie Draupadi è oggi dedicato un altro dei grandi capolavori di Mamallapuram: conosciuto col nome di “Five Rathas”, si tratta di un gruppo di cinque templi popolarmente chiamati appunto ratha, “carri”, come i veicoli processionali delle divinità. Ognuno di questi prende il nome di uno (o due nel caso dei gemelli) dei sei personaggi leggendari. Ricavati anch’essi come l'”Arjuna’s penance” (di cui l’articolo Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto) da colline granitiche, quattro dei quali da un unico masso e quindi disposti sullo stesso asse, si tratta per la verità di cosiddetti vimana, il termine usato nell’India del sud per designare la cella del tempio contenente l’immagine sacra (murti) con la sua elevazione. Non vi è però nessun riferimento storico riguardo al rapporto di questi con i cinque fratelli Pandava. Si tratta invece di templi dedicati al culto delle divinità principali dell’induismo i quali tuttavia non vennero mai consacrati bensì, come accadde spesso a Mamallapuram, lasciati incompiuti.
(Da sinistra: tempio di Dharmaraja, tempio di Bhima, tempio di Arjuna e tempio di Draupadi)
Unica nel suo genere è la copertura del tempio chiamato di Draupadi, di fatto dedicato a Durga, assomigliante al tetto di paglia di una capanna di villaggio. Purtroppo, essendo ancora in una sorta di fase sperimentale, alcune forme, tra cui questa, non verranno più riproposte. Sulla parete di fondo della cella è raffigurata la dea: qui, diversamente che nel nord, i muri interni del sacrario non sono necessariamente disadorni.
(Da sinistra: tempio di Arjuna e tempio di Draupadi)
Il tempio di Bhima, di pianta rettangolare, ospita un’immagine non terminata di Vishnu disteso sul Serpente cosmico. E’ coronato da un tetto a botte. Una copertura simile la possiede anche il tempietto, non allineato agli altri e privo di scultura, noto con il nome dei gemelli Nakula e Sahadeva; questo tuttavia termina con un’abside in ricordo degli antichi santuari buddhisti.
Ma a fare scuola nell’architettura del sud saranno i templi detti di Arjuna, e soprattutto, di Dharmaraja (Yudishtira). Di pianta quadrata, presentano nella loro sovrastruttura riproduzioni in scala ridotta di edifici con tetti a botte (shala) e cieche finestrelle ad arco (chandrashala) le quali si allineano su diversi piani formando una piramide a gradoni che culmina con una pietra scolpita (stupi). I templi sono affiancati da grandi sculture di animali quali un leone e elefante che non necessariamente rappresentano il veicolo divino della divinità a cui è dedicato il tempio.
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