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Mysore e dintorni: luoghi e culture

Mysore e dintorni: luoghi e culture 2000 1333 Sonia Sgarella

Se c’è una città dell’India che riassume in sè perfettamente l’idea di “mercato”, questa, signori, e’ certamente Mysore: tessuti di seta, legno di sandalo, incenso, essenze, frutta, ghirlande di fiori e verdura sono solo alcuni dei prodotti che vengono commerciati ovunque per le sue strade, nei suoi negozi e mercati, in un contesto tanto antico quanto moderno ma non per questo meno autentico. Assolutamente niente di turistico: a Mysore sono infatti gli indiani stessi i protagonisti di quello scambio frenetico che concede alla città  solo poche ore di sonno e, così, puntualmente tutti i giorni dell’anno.

Imperdibile è l’appuntamento con il Devaraja Market, esempio perfetto di un mercato tradizionale indiano, carico di colori sgargianti, profumi inebrianti, chiasso e confusione. Percorretelo da cima a fondo senza tralasciare le vie adiacenti, assaporatene la bellezza, la vivacità e con questo lasciatevi trasportare indietro nella storia, quando Mahishūru era ancora un piccolo villaggio, governato dalla famiglia Wodeyar, allora alle dipendenze del grandioso impero Vijaianagara.

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Correva l’anno 1565 quando, con il declino di quest’ultimo, il Regno di Mysore cominciò ad acquisire gradualmente quell’indipendenza che la portò, nel 1637, ad ottenere il titolo di stato sovrano e fu l’isola di Srirangapatna ad essere scelta come capitale del regno, strappata senza indugio ad altri vassalli dell’impero.

Situata a soli 15 chilometri da Mysore, Srirangapatna e’ completamente circondata dalle acque del fiume Kaveri che proprio in questo punto dà origine alla sua prima isola (Adi Ranga). Dal Devaraja Market spostatevi quindi al City Bus Stand (fermata degli autobus locali) e salite sull’autobus 313 il quale, in circa mezz’ora e al costo di 30 rupie, vi porterà esattaemente all’ingresso del tempio che dà nome all’isola stessa.

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Si tratta del Ranganathaswami Temple, dedicato a Vishnu che dorme sulle spire del serpente cosmico. Il tempio venne fondato nel corso del IX secolo dalla dinastia dei Ganga Occidentali i quali, alleatisi prima con i Chalukya di Badami e poi con i Rashtrakuta, riuscirono a mantere la propria influenza sulla regione circostante dal 350 fino al 1000 d.c. circa. Ampliato al tempo degli Hoysala e successivamente sotto il governo Vijayanagara, si tratta di uno dei cosiddetti Pancharanga Kshetrams, luoghi di pellegrinaggio dedicati a tale manifestazione della divinità.

Racconta la storia che Vishnu Ranganatha venisse venerato anche dal controverso Tipu Sultan, meglio conosciuto come la Tigre di Mysore. Tipu Sultan ricoprì il ruolo di Sultano della città dal 1782 al 1799 e fece costruire proprio sull’isola il Daria Daulat Bagh, la sua residenza estiva. Semplice ma ricco di decorazioni e dipinti che ne ricoprono tutte le pareti interne, il palazzo, al ridicolo costo di 100 rupie, merita indubbiamente una visita. Nei suoi pressi potrete poi anche ammirare il cosiddetto Gumbaz, un mausoleo costruito in memoria del padre Hyder Ali ma destinato ad ospitare anche le sue spoglie mortali.

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Ma ritornando ai templi, vi è un altro luogo di pellegrinaggio della fede hindu che potrete visitare partendo da Mysore ed è il Tempio Chamundeshvari, arroccato sulla cima della Chamundi Hill, sovrastante la città ad un altezza di circa 1000 metri. Non preoccupatevi, per i meno coraggiosi esiste una valida alternativa al percorrere a piedi gli oltre mille gradini che conducono alla sua sommità, ovvero il pullman n. 201, anch’esso in partenza dal City Bus Stand (costo 28 rupie, distanza 13 chilometri).

La Dea Chamundi, venerata per secoli dai regnanti di Mysore, fu colei che, secondo il mito, uccise il demone Mahishasura, rendendo alla città l’antico nome di Mahishūru. Chamunda, aspetto terrifico della Madre Divina, della Dea con la “d” maiuscola, conosciuta anche come Durga, deve il suo nome ai demoni Chanda e Munda che trovarono sconfitta di fronte alla sua ira.

Vuole la tradizione che il tempio rientri nella lista dei 51 Shakti Peetha, ovvero di quei luoghi sacri alla divinità femminile dove, in accordo con il mito, sarebbero cadute le parti del corpo smembrato di Sati, la prima consorte di Shiva. Centinaia di pellegrini giungono fin qua da ogni parte dell’India offrendo fiori e noci di cocco che verranno spaccate e benedette dai sacerdoti del tempio per poi essere consumate da chi le ha recate.

L’elenco delle meraviglie collegate alla fede induista non si esaurisce tuttavia qui: esiste ancora un santuario che, seppur non più attivo, bensì monumento archeologico, costituisce uno dei massimi capolavori dell’India, commissionato dalla dinastia degli Hoysala. Risalente al XIII secolo, il Tempio di Chennakeshava a Somnathpur è certamente il meglio conservato, il più raffinato e completo esempio di architettura a pianta stellata, dotato di tre celle e abbellito da splendide sculture in pietra.

Somnathpur si trova a 35 chilometri da Mysore e potrete raggiungerlo facilmente dal Main Bus Stand (stazione degli autobus a lunga percorrenza) salendo su qualunque pullman diretto a Bannur e lì cambiare mezzo per percorrere gli ultimi chilometri di meravigliosa campagna indiana. Sarà la vostra occasione per entrare in contatto con la vita rurale dell’India, una delle tante esperienze interessanti e appaganti che questo paese vi riuscirà ad offrire.

Tornati dunque a Mysore, se è domenica e sono circa le 19.00, non perdetevi assolutamente lo spettacolo più pacchiano ma al tempo stesso incantevole che la città vi possa offrire: recatevi al Palazzo Reale (anche conosciuto come Amba Vilas Palace) e aspettate che si accendano le luci…wow…”stupefacente”!

Il palazzo costituisce ancora oggi la residenza ufficiale della famiglia Wodeyar che governò il Regno di Mysore dal 1399 al 1947 (anno dell’indipendenza) con un breve intervallo tra il 1760 e il 1799, quando il controllo passò nelle mani di Hyder Ali e, in seguito, al figlio Tipu Sultan.

Elementi architettonici indo-saraceni, islamici, rajput e talora gotici, ne decorano sia le facciate esterne che gli ampi locali interni, rendendogli la fama di essere uno tra i palazzi più belli di tutta l’India, seppur di fattura abbastanza recente. La costruzione della residenza, commissionata nel 1897, venne infatti portata a termine solo nel 1912. Se non lo avete già fatto, ritornateci dunque anche di giorno – quando gli spazi interni sono aperti al pubblico – e non stupitevi se tra i visitatori troverete anche tanti monaci buddhisti.

A circa 80 chilometri da Mysore sorgono infatti alcuni insediamenti di rifugiati tibetani a cui lo stato del Karnataka ha concesso la possibilità di trasferirsi in seguito all’esilio del 1959. Nel villaggio di Bylakuppe potrete visitare il più grande centro di insegnamento di Buddhismo tibetano Nyingma al mondo. Sono oltre 5000, infatti, i monaci e le monache che qui risiedono e i quali, non appena gli viene dato il permesso di uscire, amano recarsi a Mysore per entrare a far parte della folla di consumisti sfrenati (i negozi di elettronica sono i loro preferiti!).

Meno riconoscibili sotto il profilo estetico sono invece i seguaci della fede cristiana e jainista. Per quanto riguarda questi ultimi, sempre ad una distanza di circa 80 chilometri da Mysore, a Shravanabelagola, si trova uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti per la tradizione monastica Digambara (per uno studio completo sulla fede jainista fate riferimento al testo di Paul Dundas, “Il Jainismo”).

Qui, sulla cima della collina granitica Vindyagiri, si incontra l’imponente statua di Gommateshvara Bahubali, secondo la tradizione, figlio del primo grande santo jaina (Tirthankara). Alta 17 metri e scolpita nella roccia monolitica, la statua di Bahubali venne anch’essa commissionata nel X secolo sotto il regno della dinastia dei Ganga.

Tornati di nuovo a Mysore non vi rimane dunque altro che visitare la Chiesa di Santa Philomena, costruita nel 1936 nello stile neogotico che prese ispirazione da quello della cattedrale di Colonia, in Germania.

Lo scambio a Mysore non riguarda quindi soltanto le merci: la città rappresenta un luogo di incontro e di convivenza tra le maggiori religioni dell’India, a dimostrare l’immensa tolleranza che regna sovrana in questo paese. E’ questo uno dei tanti aspetti positivi che chi continua imperterrito sulla strada del terrorismo psicologico, contribuendo a diffondere nient’altro che banalità e tragedie, dovrebbe prima valutare e quindi mettere in risalto!

Ingresso al chaityagriha di Bhaja

5 grotte del Maharashtra assolutamente imperdibili

5 grotte del Maharashtra assolutamente imperdibili 960 960 Sonia Sgarella

Nonostante il termine “grotte” possa far pensare a luoghi foggiati dalla natura, nel caso specifico dell’India è necessario cambiare prospettiva e ridefinirle come veri e propri monumenti elaborati dall’uomo: templi e monasteri scavati nella roccia, sparsi un po’ per tutto il territorio indiano ma con una grande concentrazione sull’Altopiano del Deccan.

Qui, la morfologia del territorio, caratterizzato da basse colline granitiche, si presta infatti perfettamente a simili scavi ed ha costituito nei secoli un rifugio ideale per quei monaci che, impossibilitati a condurre l’abituale vita itinerante durante la stagione delle piogge, decisero di fermarsi in questi luoghi e adottare un regime di vita sedentario e comunitario.

Inizialmente – almeno la maggior parte – di stampo buddhista, alcuni di questi magnifici complessi templari verranno in seguito ampliati e convertiti a luoghi di culto hindu e jaina, contribuendo ad arricchire il programma artistico e architettonico ancora oggi in perfetto stato di conservazione.

Partiamo allora alla scoperta delle grotte del Deccan, nello stato del Maharashtra che ha per capoluogo la città di Mumbai, punto da cui partiremo per poi spostarci nell’entroterra e, passando per Lonavala, arrivare fino ad Aurangabad.

1-Grotte di Elephanta

I tre volti di Shiva a Elephanta

I tre volti di Shiva a Elephanta

L’unico, tra i cinque complessi templari, ad essere interamente dedicato ad una divinità hindu, in questo caso a Shiva. Elephanta è il nome che venne dato dai portoghesi ad un isolotto che si trova ad una decina di kilometri al largo di Mumbai e facilmente raggiungibile per mezzo dei traghetti che partono dal famoso “Gateway of India”, la porta d’ingresso alla città, commissionata dal governo britannico durante il periodo di occupazione.

Probabilmente risalente al VI secolo d.C., il complesso ospita un gruppo di templi scavati nella roccia cui si accede salendo una lunga scalinata. Nella grande sala centrale, ornata da una serie di meravigliosi pannelli scolpiti, che ripropongono immagini legate al mito del dio, troviamo il grande capolavoro di questo sito, ovvero l’immagine di Shiva a tre volti.

Alta più di cinque metri, quest’immagine maestosa è stata riconosciuta come la rappresentazione della teologia di Shiva che viene qui raffigurato come Tatpurusha (“spirito supremo”) nel volto centrale, come Aghora, ovvero come manifestazione spaventosa nell’immagine di destra e come Vamadeva (“Dio fascinoso”) – corrispondente a Parvati, la sua sposa – nel volto di sinistra.

2-Grotte di Bhaja

Ingresso al chaityagriha di Bhaja

Ingresso al chaityagriha di Bhaja

Uno degli esempi più antichi, situato presso il villaggio di Bhaja, nei dintorni di Lonavala, sulla strada che collega Mumbai a Pune. Risalente agli inizi del I secolo a.C. , questo antico centro monastico scavato nella roccia – poco frequentato dal turismo internazionale – annovera tra le sue strutture un chaityagriha, ovvero una sala di culto, e alcuni vihara visitabili, le residenze per i monaci.

Mentre il chaityagriha – letteralmente la “casa del chaitya“, ovvero dello stupa, oggetto della devozione buddhista – presenta una pianta absidale a tre navate, il vihara (“monastero”) è costituito da una sala quadrangolare lungo i cui lati si aprono le piccole celle dei monaci.

Lo stupa risulta semplice, privo di decorazioni, così come è tipico di quelle sale di culto che sono state scavate nella cosiddetta fase Hinayana del buddhismo quando ancora l’immagine del Buddha non veniva rappresentata in forma antropomorfa.

All’esterno la scultura imita la struttura di un palazzo con tanto di balconi e personaggi che si affacciano a guardare verso la valle. In una sala accanto poi una profusione di stupa di varie dimensioni fa pensare che in questo luogo venissero sperimentate tecniche di scavo e scultura che faranno poi scuola nei secoli successivi.

Sala degli stupa a Bhaja

Sala degli stupa a Bhaja

3-Grotte di Karla

Interno del chaityagriha di Karla

Interno del chaityagriha di Karla

A dieci minuti da quelle di Bhaja si trovano le grotte di Karla databili verso il 120 d.C. Anch’esse arroccate in cima ad una collina raggiungibile per mezzo di una scalinata, sono degne di nota per via delle proporzioni grandiose del loro chaityagriha.

La facciata, preceduta da un ampio vestibolo, presenta un programma scultoreo spettacolare nonché una grande finestra ad arco perfettamente conservata. All’interno, che si estende nella roccia per circa cinquanta metri e che è reso grandioso da una serie di colonne che delimitano lo spazio della navata principale, un imponente stupa è sormontato da un parasole di legno, lo stesso usato per i costoloni fissati sulla volta a botte della struttura.

Scultura all'ingresso del chiatyagriha di Karla

Scultura all’ingresso del chiatyagriha di Karla

All’esterno e risalente a tempi molto più moderni è oggi presente il tempio dedicato ad Ekvira, una manifestazione locale della Grande Dea (shakti).

Tempio di Ekvira a Karla

Tempio di Ekvira a Karla

4-Grotte di Ellora

Tempio del Kailasanatha a Ellora

Tempio del Kailasanatha a Ellora

Ed eccoci raggiunto l’apice della scultura rupestre in India e nel mondo. Il sito di Ellora, facilmente raggiungibile da Aurangabad, è sicuramente il complesso più esteso dell’intero Paese, contando in tutto trentaquattro grotte, all’interno delle quali vengono rappresentate le tre maggiori religioni dell’India moderna, ovvero buddhismo, induismo e jainismo.

Non solo grotte tuttavia: ad Ellora troviamo anche uno dei più maestosi templi hindu scavato nella roccia, una straordinaria scultura che prende il nome di Kailasanatha, ovvero “Signore del Kailash”, la montagna sacra di Shiva.

Risalente all’VIII secolo circa, il tempio, la cui altezza totale raggiunge circa i trenta metri, è stato scolpito a partire dalla cima della collina e mano a mano scendendo verso la base, dove maestose sculture di elefanti sostengono idealmente la struttura, completamente ricoperta di decorazioni.

Shiva e Parvati sul Monte Kailash scosso dal Demone Ravana

Shiva e Parvati sul Monte Kailash scosso dal Demone Ravana

5-Grotte di Ajanta

Interno della Grotta 26 di Ajanta

Interno della Grotta 26 di Ajanta

Posizionate a ferro di cavallo lungo un tratto del fiume Waghora, ad un centinaio di kilometri da Aurangabad, le grotte di Ajanta si suddividono in quattro chaityagriha e venticinque vihara, alcuni dei quali, con il tempo, diventarono anche luoghi per celebrare funzioni e cerimonie.

Mentre alcune grotte appartengono ad un periodo più antico, compreso tra il II secolo a.C. e il I d.C., la grande fioritura del sito si avrà negli ultimi decenni del V secolo, quando il Buddhismo Mahayana, ispirerà la maggiore profusione di sculture.

Buddha reclinato di Ajanta

Buddha reclinato di Ajanta

Ma sarà la pittura murale a rendere famoso questo luogo che custodisce alcune tra le opere più vaste e ambiziose di tutta l’India, rimaste nascoste nell’oscurità fino a che il sito venne riscoperto nel 1819 da un soldato della cavalleria britannica durante una battuta di caccia alla tigre.

Interno della grotta 10 di Ajanta

Interno della grotta 10 di Ajanta

Cascate di Hogenakkal

Dal Karnataka al Tamil Nadu: viaggio tra isole e cascate del fiume Kaveri

Dal Karnataka al Tamil Nadu: viaggio tra isole e cascate del fiume Kaveri 1024 768 Sonia Sgarella

Lo chiamano il “Gange del Sud” ed è sicuramente il fiume più venerato dell’India Meridionale. Lunga circa 800 kilometri, la Kaveri – al femminile, così come femminili sono la maggior parte dei corsi d’acqua indiani – scorre in direzione NO-SE: sgorga dalla Collina Brahmagiri, nei Ghat Occidentali, attraversa l’Altopiano del Deccan e sfocia quindi nel Golfo del Bengala, nei pressi di Chidambaram.

Diverse sono le leggende che ne raccontano la nascita come di una bellissima fanciulla, figlia di Brahma, la quale espresse il desiderio di trasformarsi in un fiume perchè il suo scorrere potesse lavare i peccati della gente e le sue acque essere fonte di vita, rendendo fertili le terre da esse bagnate, oggi divise tra lo stato del Karnataka e quello del Tamil Nadu.

Ed è proprio per ringraziarla del suo essere fonte di abbondanza che migliaia di pellegrini ogni anno raggiungono la località di Talakaveri, nel Distretto di Coorg, in Karanataka, a 1276 metri d’altezza, per immergersi nelle acque sorgive del fiume, raccolte all’interno di una piccola vasca a gradoni, che ben si presta per il rito delle abluzioni.

Il distretto di Coorg, ora Kodagu, è una regione prevalentemente agricola, divenuta importantissima nella produzione di caffè.  Estese piantagioni crescono infatti oggi all’ombra degli eucalipti, accanto ai campi di riso, rendendo il territorio un perfetto esempio di sistema agroforestale che ha reso il distretto uno tra i più ricchi di tutta l’India.

Piantagioni di Caffè - Distretto di Coorg

Piantagioni di Caffè – Distretto di Coorg

Lasciate quindi le montagne alle spalle e giunti ora sull’Altopiano del Deccan, ecco che appare Srirangapatna, la prima isola (Adi Ranga) formata dal fiume Kaveri,  a soli 15 kilometri da Mysore. Da sempre un luogo di pellegrinaggio per i devoti di fede vishuita, l’isola prende nome dal Tempio di Sriranganathaswamy, dedicato a Vishu che dorme sul serpente cosmico, uno dei cinque Pancharanga Kshetrams, luoghi sacri dedicati a tale manifestazione della divinità.

Vishnu disteso sul serpente cosmico

Vishnu disteso sul serpente cosmico

Secondo la concezione ciclica hindu del tempo, alla fine di ogni grande era, ovvero alla fine di una vita del dio Brahma, il cosmo si dissolve e tutto ritorna in uno stato di quiescenza indifferenziata, ciò che precede una nuova rinascita. Tale situazione viene generalmente rappresentata dall’immagine di Vishnu disteso sulle spire del serpente Shesha, un cobra dalle molteplici teste, il simbolo dell’oceano primordiale. Dall’ombelico di Vishnu spunta quindi Brahma, seduto su un fiore di loto, il quale ridà impulso alla creazione.

Ma l’isola di Srirangapatna è forse più famosa perché collegata al nome di un grande sovrano, certamente il più valido oppositore ai piani di espansione degli inglesi in India: Tipu Sultan, meglio noto come la “Tigre di Mysore”. Ancora oggi sull’isola possiamo ammirare alcune delle strutture che furono da lui commissionate per fare di Srirangapatna una vera e propria città imperiale: il Daria Daulat Bagh, ovvero quello che fu il suo Palazzo d’estate – semplice ma riccamente decorato all’interno – e il Mausoleo Gumbaz, costruito in memoria del padre Haider Ali ma destinato ad ospitare le sue spoglie mortali.

Proseguiamo quindi il nostro viaggio lungo le sponde del fiume più sacro dell’India del Sud e, prima che questo cominci a marcare la linea di confine tra Karnataka e Tamil Nadu, raggiungiamo la seconda grande isola, quella “di mezzo” (Madhya Ranga), conosciuta con il nome di Shivanasamudra. Anche qui troviamo un tempio dedicato a Shri Ranganathaswamy ma non solo: l’isola è infatti rinomata per via di quelle cascate che, con un salto di 98 metri sono tra le più alte dell’India intera.

Cascate di Shivanasamudra

Cascate di Shivanasamudra

Shivanasamudra significa “l’Oceano di Shiva” ed è proprio qui che possiamo godere di uno di quegli spettacoli della natura che troppo spesso, parlando di India, vengono sottovalutati e di conseguenza tagliati fuori dagli itinerari turistici. Le cascate gemelle di Gaganachukki, formate dal ramo ovest del fiume Kaveri, e quelle di Bharachukki , formate dal ramo est, sono tutt’oggi fonte di energia per una delle più antiche centrali idroelettriche del paese. Per vederle al massimo della loro portata sarebbe meglio visitarle in autunno, appena finita la stagione dei monsoni.

Superato il confine e prima di giungere all’ultima isola sacra (Antya Ranga), vale la pena di soffermarsi ad ammirare altre cascate del fiume Kaveri, quelle di Hogenakkal, anche dette le “Niagara dell’India”. Nonostante il salto più ridotto rispetto a quelle di Shivanasamudra – solo 20 metri – trattasi di cascate altrettanto spettacolari, certo più impressionanti durante la stagione delle piogge. Qualora tuttavia doveste trovarvi da queste parti nella stagione secca, non disperate: la portata d’acqua sarà forse meno imponente ma almeno potrete godervi un rilassante giro sul fiume a bordo di una coracle boat, piccola imbarcazione rotonda fatta in bambù.

Cascate di Hogenakkal

Cascate di Hogenakkal

Ed eccoci quindi finalmente giunti sull’isola di Srirangam, l’ultima, uno dei principali fulcri religiosi dell’India intera. Situata nei pressi della città di Tiruchirappalli (Trichy), nello stato del Tamil Nadu, l’isola ospita il tempio più venerato tra quelli dedicati a  Vishnu Ranganatha, il “Signore dell’Universo”: un’importantissima meta di pellegrinaggio per i devoti di fede vishnuita e certamente, quello più eminente tra i 108 devya desams – luoghi di culto descritti nei versi dei santi poeti tamil (alvar) – nonchè il più rinomato tra i cinque Pancharanga Kshetrams.

Un luogo d’incontro tra sacro e profano, dove trovano spazio, non solo riti e cerimonie spirituali, bensì vita civile e attività economiche, rendendolo oltremodo uno dei templi più vitali e prosperi di tutta la penisola.

Trattasi di una struttura colossale, mai eguagliata, estesa su un’area di sessantatre ettari, costruita molto probabilmente sulle rovine di un antico tempio Pallava ma ampliata su scala grandiosa solo nei secoli successivi, sotto il dominio dei Chola(XI-XIII sec.), dei Vijayanagara(XIV-XVII sec.) e dei Nayak(XVI-XVIII sec.): rappresenta dunque il punto d’arrivo di secoli di elaborazione, così come è tipico dei complessi religiosi nell’India del Sud.

Mentre gli altri templi della regione sono circondati, al massimo, da quattro cerchia di mura concentriche (prakara), quello di Srirangam ne conta ben sette per un totale di 21 portali d’ingresso (gopuram), il più alto dei quali, quello Sud – ultimato nel 1987 su commissione di una famiglia di ricchi proprietari terrieri – raggiunge oggi i 72 metri d’altezza!

Tempio di Srirangam

Tempio di Srirangam

Solo dal quarto prakara in avanti si entra però nella parte più sacra del tempio ed è qui che vi è quindi richiesto di procedere a piedi nudi. Tutt’attorno, e via via verso l’esterno, una profusione di bancarelle , negozietti, mercanti, che rendono al luogo l’onore di essere letteralmente la principale tra le città-tempio indiane. All’interno una magnifica “sala delle mille colonne” decorata con sculture del periodo Vijayanagara raffiguranti cavalli rampanti e, accanto a questa, l’unico gopuram bianco dell’intero complesso.

"Sala delle Mille Colonne"

“Sala delle Mille Colonne”

Ed eccoci quindi giunti alla fine del corso di questa grande signora, chiamata Kaveri che alla fine del suo viaggio si divide nuovamente in due rami, dando origine a quel delta che lentamente la porterà a sfociare nel Golfo del Bengala.

Tutti i luoghi sopra descritti sono facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici e possono rappresentare meta di interessanti escursioni in giornata dai principali centri abitati di Karnataka e Tamil Nadu. Fateci un pensierino!

 

Diwali, il festival che illumina l’India

Diwali, il festival che illumina l’India 1894 1128 Sonia Sgarella

[…] Rama aveva promesso al padre di restare in esilio per quattordici anni. Il tempo era quasi scaduto, e Rama si preparò a tornare ad Ayodhya sul carro Pushpaka, insieme alla moglie Sita, al fratello Lakshmana e al suo fedele aiutante Hanuman.

Mentre il carro sorvolava i luoghi che avevano visto lo svolgersi dei diversi avvenimenti, Rama raccontava tutto a Sita: gli additò il campo di battaglia, il luogo dove Hanuman era atterrato, l’oceano attraversato e via dicendo.

Quando Ayodhya fu vicina, Rama chiese ad Hanuman di andare avanti per avvertire Bharata del loro arrivo. Hanuman entrò nella città e incontrò Bharata: “O principe, ti porto una buona notizia. Tuo fratello Rama, sua moglie Sita e il virtuoso Lakshmana stanno arrivando. Non sono molto lontani da qui e domani l’incontrerai.” 

Bharata non credeva alla meravigliosa notizia. Fuori di sé dalla gioia, riempì Hanuman di ricchezze e chiese notizie di Rama. Hanuman si sedette e raccontò tutta la storia, della quale Bharata era completamente all’oscuro. 

Lo stesso giorno la città venne pulita, profumata e preparata per il ritorno di Rama, e dopo aver dato le necessarie disposizioni Bharata volle partire per andare ad incontrare Rama nell’accampamento. E quando i due fratelli si rividero, gioirono e si abbracciarono con trasporto. 

Nel momento esatto in cui terminarono i quattordici anni di esilio, Rama rientrò nella sua capitale. Appena furono entrati nella sala reale, Bharata giunse le mani in segno di obbedienza e invitò Rama a sedersi sul trono reale.

Dopo che fu seduto gli parlò di fronte a tutti: “Tu mi affidasti questo regno per le ragioni che tutti conosciamo. Ma ti spetta di diritto. Ora che hai mantenuto la promessa fatta a nostro padre passando quattordici anni della tua vita nella foresta, ti prego, riprendi la guida del regno.” Rama sorrise ed accettò.

Avendo ritrovato il suo regno, Rama fu incoronato e sfilò in processione per le strade della città. I cittadini di Ayodhya, che lo rivedevano dopo tanto tempo, lo acclamarono con entusiasmo. Tutti sembrarono aver ritrovato nuova vita. Tutti furono contenti del ritorno di Rama. 

Rama governò il regno di Ayodhya per undicimila anni e le glorie di quel periodo sono descritte nel Ramayana di Valmiki. La gente non conosceva malattie, sofferenze o miserie: tutti furono felici per tutta la vita. Nessuno mai ebbe da lamentarsi e il cibo fu sempre abbondante. E neanche gli animali soffrirono sotto il regno di quel re santo.

Durante il suo regno nessuno parlava di niente altro che delle glorie di Rama. […] (Rāmāyaṇa).

Rama, Sita, Lakshmana e Hanuman

Rama, Sita, Lakshmana e Hanuman

Racconta la tradizione che fu proprio oggi, migliaia di anni fa, il giorno in cui Rama – anche conosciuto come il settimo avatāra (discesa in terra) di Visnu – fece ritorno nella capitale del suo regno.  File (avali) di luci ad olio (dipa) vennero accese in suo onore, nelle case e per le strade, al fine di celebrare la sconfitta del bene sul male, della luce sulle tenebre.

Da qui deriva il nome Deepavali o più semplicemente Diwali, la festa più importante per l’India intera. I lumini rimangono accesi per tutta la notte e le case vengono tirate a lucido per far si che la dea Lakhsmi, consorte di Visnu, si senta accolta al suo arrivo.

Dea Lakshmi

Dea Lakshmi

Dea dell’abbondanza e della ricchezza, viene celebrata ampiamente in questi giorni di festa che segnano l’inizio del nuovo anno finanziario e vedono le famiglie, riunitesi per l’occasione, condividere dolci di ogni tipo e scambiarsi doni come se fosse una sorta di Natale – e Capodanno – all’indiana!

Si tratta di un festival, il festival delle luci appunto, che ha inizio con il tredicesimo giorno di luna calante (Krishna Paksha) del mese di Ashvin, il settimo mese secondo il calendario hindu. I festeggiamenti si protraggono per cinque giorni e termineranno quindi il secondo giorno di luna crescente (Shukla Paksha) del mese di Kartika, l’ottavo. Il giorno di luna nuova (Amavasya), il terzo, è considerato il più importante.

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Giorni di Diwali Calendario Gregoriano Calendario Hindu Fase lunare
Dhanteras 21 Ottobre 2014 28 Ashvin Luna calante
Naraka Chaturdashi 22 Ottobre 2014 29 Ashvin Luna calante
Diwali / Lakshmi Puja 23 Ottobre 2014 30 Ashvin Luna nuova
Bali Pratipada 24 Ottobre 2014 1 Kartika Luna crescente
Bhaiduj 25 Ottobre 2014 2 Kartika Luna crescente

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Diwali 2015: 11 novembre

Happy Diwali

Vista sulla moschea - Ibrahim Rauza

Bijapur: la chiamano l’Agra del Sud

Bijapur: la chiamano l’Agra del Sud 2498 1836 Sonia Sgarella

La storia dell’ India, tanto affascinante quanto intricata, ci racconta che ad un certo punto, verso la fine del XII secolo, le fertili e ambite pianure del Nord – tra cui certamente quella gangetica – vennero invase da una potenza straniera, proveniente dai passi montani dell’ Hindu Kush, originaria di quel territorio chiamato odiernamente Afghanistan.

Trattavasi, nello specifico, di un potente esercito di combattenti a cavallo e dotati di arco composito, per lo più formato da schiavi o ex schiavi di estrazione turca, persiana e soprattutto afghana, capeggiati dal bellicoso quanto ambizioso Muhammad di Ghur (1160-1206 d.c.), il cadetto di una famiglia di principi di religione sunnita.

A lui, come ci tramandano gli studiosi, toccò in sorte l’importante compito d’iniziare la costruzione di uno stabile potere islamico nell’India del Nord, un potere che, successivamente, si sarebbe esteso a gran parte del subcontinente, inizialmente per mano dei suoi generali.

Fu infatti a uno di questi che venne affidato il compito di impadronirsi di Delhi, quella stessa città nella quale gli verrà conferito il titolo di sultano. Il suo nome era Qutb-ud-din Aibak e fu con lui che, nel 1206, ebbe inizio la storia del sultanato di Delhi e, con essa, quel lungo periodo che cade sotto il nome di “età musulmana”, destinata a concludersi definitivamente solo nella metà del Settecento.

Un’età che vide il succedersi di numerosi sovrani e il progressivo quanto inevitabile sfaldamento del potere politico tanto più il dominio del sultanato si espandeva verso sud. Non furono rari infatti i tentativi di ribellione dei membri della classe dirigente sultaniale i quali, approfittando della distanza da Delhi, riuscirono nell’impresa di dare origine a sultanati indipendenti, tra cui quello forse più famoso e certamente più meridionale, sultanato bahmanide.

Il sultanato bahmanide e l’impero Vijayanagara – creato nel 1336 da alcuni principi hindù del Meridione come reazione contro il sultanato di Delhi – divennero a questo punto, i protagonisti della lotta per l’egemonia nel Deccan. Una situazione che tuttavia non durò per molto perché, già alla fine del Quattrocento, il sultanato bahmanide si dissolse, dando origine a cinque stati indipendenti, che altro non fecero se non aumentare il numero dei contendenti nella lotta per il potere.

Tra questi (BijapurGolcondaAhmednagarBidar e Berar) fu sicuramente il sultanato di Bijapur il più dinamico e longevo e che si seppe, tra l’altro, maggiormente adattare al contesto hindù. Fondata dai Chalukya di Kalyani nel X secolo con il nome di Vijayapura (“città della vittoria”), Bijapur divenne nel 1518 la capitale della dinastia degli Adil Shah che governarono le redini del neonato sultanato indipendente fino al 1686, quando la città cadde sotto il controllo dell’impero Mughal.

Costantemente in lotta con l’impero Vijayanagara e con gli altri sultanati del Deccan, i governatori della dinastia Adil Shah dotarono Bijapur di imponenti fortificazioni nonché di meravigliosi monumenti che le renderanno in seguito il titolo di “Agra del Sud”. Nonostante infatti, ad un primo impatto, si potrebbe pensare di essere giunti nell’ultimo avamposto dell’India meridionale, basterà poco per ricredersi e realizzare di trovarsi invece in quella che fu la più imponente città musulmana nell’India del Sud.

Un centro di cultura e di apprendimento, un luogo di scambi e di commerci, fu soprattutto sotto il governo di Ibrahim Adil Shah II (1556-1627 d.c.) e di Mohammed Adil Shah (1627-1656 d.c.), profondamente dediti alle arti e all’architettura, che la città fortificata venne abbellita con due perle preziose: l’Ibrahim Rauza e il Golgumbaz.

l’Ibrahim Rauza:

Commissionato originariamente per essere la tomba di Taj Sultana, moglie di Ibrahim Adil Shah II e quindi regina del sultanato, l’Ibrahim Rauza finirà per essere il luogo di eterno riposo di entrambi, situato a poco meno di un kilometro a ovest dei bastioni, all’esterno quindi della cinta muraria che circonda il centro cittadino.

Ibrahim Rauza - Bijapur

Ibrahim Rauza – Bijapur

Costruito nel 1626, trattasi di un luogo incantevole che colpisce per la sua grazia e semplicità, di un paradiso di pace lontano dal traffico e dalle orde di turisti che affollano invece le bellezze del Nord, di un complesso composto da una tomba e da una moschea che si specchiano l’una nell’altra dai lati opposti di una grande vasca per le abluzioni, sfoggiando al cielo i loro meravigliosi minareti che terminano a forma di bocciolo di fiore (o a forma di cipolla, per i meno poetici).

Decorazioni, intarsi ed iscrizioni di altissimo livello artistico ricoprono i pilastri, le arcate, i portali e le finestre di entrambi gli edifici rendendolo davvero uno dei massimi esempi di architettura musulmana in India del Sud, quello che, secondo la tradizione, avrebbe ispirato Shah Jahan nella costruzione del Taj Mahal, il mitico simbolo dell’India.

Intaglio nel legno - Ibrahim Rauza

Intaglio nel legno – Ibrahim Rauza

Iscrizioni - Ibrahim Rauza

Iscrizioni – Ibrahim Rauza

Finestre della moschea - Ibrahim Rauza

Finestre della moschea – Ibrahim Rauza

– Il Golgumbaz:

Sicuramente l’edificio più famoso di Bijapur, visibile da quasi ogni angolo della città, il Golgumbaz, il cui nome significa “cupola tonda”, svetta maestoso ad un’altezza di 50 metri, a poca distanza dalla porta Est, all’interno delle mura cittadine.

Golgumbaz - Bijapur

Golgumbaz – Bijapur

Costruito a partire dal 1626 dal successore di Ibrahim – Mohammed Adil Shah – l’edificio venne concepito come mausoleo destinato alle spoglie del sovrano stesso, nonostante dovettero passare altri trent’anni prima della sua morte (e del completamento dell’opera).

Con un diametro di 37,92 metri, la cupola del Golgumbaz – centrale rispetto ai quattro minareti che si innalzano per sette piani agli angoli dell’edificio cubico che ne forma la base – è senza dubbio una delle più grandi cupole del mondo, seconda solo – almeno così sembrerebbe – a quella della Basilica di S. Pietro a Roma!

Avvicinandosi al mausoleo e quindi solo entrando, ci possiamo rendere conto dell’imponenza della struttura e dell’ingegno tecnico e artistico che venne impiegato nella sua costruzione. Dall’interno la cupola sembra davvero non avere supporto!

Salendo una delle scale a chiocciola che si innalzano all’interno dei quattro minareti ottagonali, potrete raggiungere dapprima la balconata esterna alla cupola, da cui godere di ottime viste sulla città e quindi quella interna, la cosiddetta “Galleria dei Sussurri” (Whispering Gallery),  dalla quale vi potrete affacciare nel vuoto, proprio sopra alla tomba del grande sovrano.

E’ questo il luogo dove ogni suono sussurrato in un angolo, potrà essere chiaramente ascoltato all’angolo opposto, dove riecheggerà per almeno undici volte. Un ambiente magico, la cui quiete viene però presto disturbata dalle orde di studenti che tenteranno di fare arrivare il suono della loro voce il più lontano possibile! Se volete evitarli, cercate di arrivare entro le 8. Il mausoleo apre alle 6…

Golgumbaz - Ingresso

Golgumbaz – Ingresso

Golgumbaz- Dettagli decorativi

Golgumbaz- Dettagli decorativi

Golgumbaz - Interno del mausoleo

Golgumbaz – Interno del mausoleo

Ma le bellezze di Bijapur certo non si esauriscono qui. Vi sono infatti numerosi altri luoghi a cui potrete dedicare del tempo durante la vostra permanenza in questa indaffarata città del Karnataka:

– la Jama Masjid, la moschea che venne commissionata nel 1565 da Ali Adil Shah I (1558-1579 d.c.) per commemorare la vittoria nella battaglia di Talikota del 26 gennaio, che vide i sultanati del Deccan sconfiggere definitivamente l’ultimo grande impero meridionale: quello dei Viajayanagara;

– il Mehtar Mahal, una delle più eleganti strutture di Bijapur, nonostante le sue modeste dimensioni. Trattasi di una torre a due piani, abbellita da meravigliose finestre con balconcini decorati in stile indo-saraceno e coronata da due snelli minareti di fattura altrettanto pregevole. Dalla porta si accede alla moschea retrostante;

– il Gagan Mahal, all’interno di quello che rimane della Cittadella, fu un tempo il “Palazzo Paradisiaco” costruito nel 1561 da Ali Adil Shah I per essere utilizzato come sua residenza. Fu in seguito usato dagli altri sultani come durbar o “sala delle udienze”;

Gagan Mahal - The Citadel - Bijapur

Gagan Mahal – The Citadel – Bijapur

– il Bara Kaman (“dodici archi”), un mausoleo commissionato da Ali Adil Shah II (1657-1672 d.c.) nel 1672 ma rimasto purtroppo incompiuto per via della sua morte improvvisa. Vuole la tradizione che l’edificio dovesse raggiungere un’altezza tale che la sua ombra potesse oscurare l’imponente Golgumbaz e quindi la fama di suo padre.

Bara Kaman - Bijapur

Bara Kaman – Bijapur

– infine il Malik-i-Maidan, un cannone dal peso di 55 tonnellate, forse il più grande cannone medievale mai forgiato.

Detto questo dunque e nonostante sia probabile che nessun abitante hindù del Karnataka troverà motivo per consigliarvi una visita a Bijapur – città oltretutto a maggioranza  musulmana – il mio consiglio è quello che voi ci andiate lo stesso per giudicare coi vostri occhi se davvero esista una città degna dell’appellativo di “Agra del Sud”! Buon viaggio!

Tempio di Chennakeshara a Belur - Facciata Ovest retro

La maestria degli Hoysala in lista d’attesa

La maestria degli Hoysala in lista d’attesa 1200 795 Sonia Sgarella

Torniamo oggi in Karnataka, nella terra della lingua Kannada, il settimo stato dell’India per estensione, l’ottavo per popolazione, luogo di confine tra il centro e l’estremo sud del paese, dove il silenzio e la quiete dei villaggi medievali si contrappongono alla frenesia e al rumore delle città moderne, tra cui, in primis, ovviamente Bangalore, la “Silicon Valley” d’Oriente.

La storia del Karnataka, così come, in definitiva, quella dell’India intera, fu una storia di scontri e incontri: una storia di battaglie, di perdite, di troni usurpati; ma anche storia di alleanze, di conquiste, di feudatari divenuti regnanti; storia di una fusione di tradizioni diverse che diedero vita a stili originali, più unici che rari.

Vi ricordate dunque dei Primi Chalukya Occidentali (VI-VIII sec.), autori delle meraviglie di Badami, Aihole e Pattadakal? Venivano così chiamati per distinguerli da altre branche della stessa dinastia che si successero nel tempo, quali i Chalukya Orientali (VII-XII sec.) e i Tardi Chalukya Occidentali (X-XII sec.).

Fu proprio da questi ultimi, detti anche Chalukya di Kalyani, che originò il regno indipendente degli Hoysala, loro subordinati fino al 1187, anno in cui il sovrano Veera Ballala II (1173-1220 ca.) realizzò l’ambizione d’indipendenza che fu già di suo nonno Vishnuvardhana (1108-1152 ca.).

Un’indipendenza a lungo cercata, che vide una famiglia inizialmente di modeste origini, raggiungere dapprima lo status di regno, per poi gradualmente istituire un vero e proprio impero nello stato del Karnataka, destinato ad una vita grandiosa e fiorente, che lascerà un’impronta indelebile nella storia di quel particolare stile architettonico templare chiamato vesara, cioè “mulo”.

Il nome sta chiaramente ad indicare una forma ibrida, intermedia, che si differenzia, ma che allo stesso tempo fonde in un unico genere, le caratteristiche delle due architetture templari più diffuse: quella nagara, “del nord” e quella dravida, “del sud”.

Fra gli esemplari di maggior pregio che vengono catalogati come vesara si annoverano appunto alcuni complessi templari costruiti sotto la dinastia degli Hoysala, tra cui il Tempio di Chennakeshava, a Belur, e il tempio di Hoysaleshvara, ad Halebid.

Belur, che fu la prima capitale del regno degli Hoysala, costituisce una delle maggiori destinazioni turistiche nello stato del Karnataka, situata nel cuore della campagna a soli 30 kilometri circa da Hassan, il capoluogo dell’omonimo distretto.

Ancora oggi attivo, il tempio cittadino, dedicato a Chennakeshava (una delle 24 forme di Vishnu), venne costruito nel 1117 dal re Vishnuvardhana al fine di celebrare la sua vittoria contro i Chola di Thanjavur a Talakad.

Quello che, a primo impatto, potrebbe sembrare un tempio di modesta struttura, dal tetto piatto e sviluppato insolitamente in una prospettiva di larghezza piuttosto che di altezza, dando un’occhiata più approfondita e avvicinandosi alle facciate, risulta invece essere un’opera d’arte stupefacente, dove la profusione di favolosi dettagli e la raffinatezza delle sculture, lasciano il visitatore stupefatto e senza parole.

Costruito su una piattaforma elevata a forma di stella, come è tipico dei migliori esempi di epoca Hoysala, il tempio di Chennakeshava è costituito da un’unica cella, preceduta da un vasto padiglione colonnato che, aperto in origine, fu in seguito chiuso con l’utilizzo di affascinanti grate traforate.

Tempio di Chennakeshara a Belur

Tempio di Chennakeshara a Belur

E sono proprio le colonne, che troviamo riprodotte anche all’esterno, l’elemento peculiare che caratterizza l’architettura Hoysala: ottenute al tornio, sembra che siano composte di tanti dischi impilati uno sopra l’altro.

Interno del Tempio di Chennakeshava a Belur - colonne

Interno del Tempio di Chennakeshava a Belur – colonne

Centinaia, se non migliaia di immagini divine ricoprono ogni centimetro delle facciate del tempio, che si susseguono a zig-zag creando spazio per la fittissima scultura. La facilità di modellazione della roccia saponaria utilizzata nella costruzione del tempio, che a contatto con l’aria in seguito si indurisce e si lucida, ha permesso ai vari artisti di lasciarci opere di grande valore, il cui intaglio intricato ricorda molto le lavorazioni dell’avorio e del legno di sandalo, ancora diffuse nella regione.

Narasimha - Tempio di Chennakeshava

Narasimha – Tempio di Chennakeshava

La maggior parte di queste figure è, in effetti, firmata dallo scultore, un fatto non comune nell’arte dell’India antica, e comunque mai prominente come in quest’epoca e regione. Famose e pregiatissime sono le figure femminili, dette madanika, shalabhanjika o apsara, che formano come delle mensole fra le colonne e il tetto del padiglione, leggermente inclinate perché siano ben visibili anche dal piano della circumambulazione rituale. Tra tutte, la più rinomata è forse quella di Darpana Sundari, “la bella con lo specchio”.

Darpana Sundari - Tempio di Chennakeshava a Belur

Darpana Sundari – Tempio di Chennakeshava a Belur

Da notare, in entrata, anche la bella statua di Garuda, il veicolo di Vishnu.

Lord Garuda - Belur - Tempio di Chennakeshava

Lord Garuda – Belur – Tempio di Chennakeshava

L’altro grande monumento nello stile ornato degli Hoysala è il Tempio di Hoysaleshvara ad Halebid, a soli 16 kilometri da Belur. Un tempo chiamata Dorasamudra, la città – che fu capitale del regno sotto il governo di Veera Ballala II – venne rinominata Hale-bidu (“città morta”) in seguito al suo saccheggio e alla sua distruzione avvenuta nel 1311 per mano del Sultanato di Delhi.

Il tempio, consacrato al culto di Shiva, venne costruito all’incirca fra i 1121 e il 1160. Come il Chennakeshvara, anche l’Hoysaleshvara si estende in una prospettiva orizzontale ed è probabile che, in entrambi i casi, le elevazioni della cella siano semplicemente andate distrutte, piuttosto che non essere mai state ultimate.

Il complesso, anche in questo caso, è costruito su una piattaforma dalla pianta stellata ma questa volta i santuari sono due, uno posto accanto all’altro in modo simmetrico, ciascuno preceduto da un’ampia sala e collegati fra loro da un transetto. Davanti ad entrambi, un padiglione per il toro Nandin, cavalcatura di Shiva.

Sulle pareti esterne l’arte Hoysala raggiunge il massimo splendore: forme fluide realizzate con straordinaria meticolosità, danno vita ad un insieme di esuberante armonia. Tra le tante sculture ve ne sono alcune di particolare fascino e interesse: il Demone Ravana nell’atto di scuotere il Monte Kailash, dimora di Shiva e Parvati;

Tempio di Hoysaleshvara a Halebid - Ravana che scuote il monte Kailash

Tempio di Hoysaleshvara a Halebid – Ravana che scuote il monte Kailash

Shiva che sconfigge il Demone Elefante (Gajasura Murti);

Tempio di Hoysaleshvara - Gajasura Murti

Tempio di Hoysaleshvara – Gajasura Murti

Krishna che solleva con un braccio la montagna di Govardhana per proteggere il suo popolo dalla pioggia torrenziale;

Tempio di Hoysaleshvara - Krishna Govardhan

Tempio di Hoysaleshvara – Krishna Govardhan

e poi ancora Durga che sconfigge il Demone Bufalo, Vishu nella forma di Cinghiale, processioni di guerrieri a cavallo, episodi del Mahabaratha e del Ramayana, ninfe celesti, danzatrici divine, animali, decorazioni floreali, il tutto volto ad una costante divulgazione della fede induista.

Entrambi i complessi appena descritti sono stati proposti per essere inseriti nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco in quanto considerati di eccezionale valore universale. Tre sono le motivazioni allegate alla domanda, ognuna delle quali rispondente ad uno dei dieci criteri previsti nelle Linee Guida per l’Attuazione della Convenzione del 1972:

– Criterio(ii): i complessi degli Hoysala mostrano un importante interscambio di valori umani.

In una regione dove spesso vishnuiti e shivaiti si trovavavno in conflitto ideologico, i complessi degli Hoysala creavano un ponte di comunicazione, riconoscendo e rispettando entrambe le fedi. Non solo, gli Hoysala furono anche grandi sostenitori della fede jainista. In secondo luogo, lo stile ibrido dei templi Hoysala è testimone di un sincretismo non solo religioso ma anche architettonico.

-Criterio(iii): i complessi degli Hoysala costituiscono una testimonianza eccezionale delle straordinarie realizzazioni artistiche, dell’abilità architettonica e del contributo culturale apportato da una civiltà ormai scomparsa.

La piattaforma a pianta stellata, le colonne tornite, gli intagli squisiti e l’attenzione riposta nello scolpire i minuziosi dettagli ornamentali, gli hanno fatto guadagnare il riconoscimento come eccezionali capolavori di arte.

-Criterio(vi): i complessi degli Hoysala possono essere associati a tradizioni e opere che ancora sopravvivono nel tempo.

Il culto all’interno dei templi è sempre rimasto attivo, la lingua e la letteratura kannada si svilupparono proprio in questo periodo così come la danza Bharatanatyam, che veniva rappresentata nei padiglioni adiacenti al tempio principale. Tutte tradizioni che sopravvivono ancora nei giorni nostri.

Stiamo dunque a vedere: i complessi templari degli Hoysala potrebbero diventare la trentatreesima proprietà indiana iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco.

Destinazione India: a ognuno la sua geografia

Destinazione India: a ognuno la sua geografia 640 414 Sonia Sgarella

29 stati federati; oltre 170 lingue diverse parlate; una superficie che si estende per più di tre milioni di kilometri quadrati; una popolazione di circa 1,2 miliardi di persone che venerano, si dice, 33 milioni di dei (senza considerare le minoranze religiose). Possiamo davvero parlare di un’unica India?

Di India ve ne sono a centinaia e altrettanti sono gli itinerari che noi, turisti e viaggiatori, possiamo scegliere di percorrere nel tentativo di conoscere uno dei paesi più vari al mondo, un masala (miscuglio) per eccellenza di culture e di etnie, di bellezze geografiche, artistiche e architettoniche.

Dalle vette himalayane del Nord alle coste oceaniche del Sud passando per deserti, altopiani e piantagioni di tè, colui che si presterà ad affrontare un viaggio in India verrà ripagato con immensa ricchezza. Culla di una cultura originaria così forte da impedire ogni processo di mutamento reale nonostante il frenetico tentativo di modernizzazione, l’India è un paese che trasuda storia di ogni epoca e che cela un’infinità di tesori da scoprire.

Dove andare dunque, quando, e soprattutto cosa visitare in questo mondo tutto nuovo? Un’analisi della geografia potrebbe aiutarci nella nostra scelta ma trattandosi di India non si può neanche parlare di un’unica geografia: in India esistono la geografia fisica, quella politica e quella umana, certo, ma esiste anche una geografia sacra, forse la più nota alla popolazione locale. Passarle in rassegna potrebbe darci qualche spunto ed ispirarci nella scelta di un possibile itinerario da seguire.

Geografia Fisica

Topography of India

L’India prende nome dal fiume Indo (Sindhu) che dal versante settentrionale dell’Himalaya risale verso Nord-Est attraverso il Kashmir per poi piegare bruscamente a Sud, attraverso l’odierno Pakistan, verso il Mare Arabico. Così come l’Italia è protetta a Nord dall’arco alpino, l’Himalaya, che nel suo punto settentrionale estremo si congiunge al Karakorum, costituisce per l’India uno scudo naturale contro i venti artici, proteggendo la penisola dal gelo e regalandole una temperatura media piuttosto mite che nella valle indo-gangetica difficilmente scenderà sotto i 10° centigradi in inverno mentre a sud rimarrà costante intorno ai 27°.

Le pianure indo-gangetiche, prodotti alluvionali della fascia montuosa settentrionale, insieme al grande Deserto del Thar – che si incunea tra queste formando un corridoio pianeggiante largo poche decine di kilometri – costituiscono la seconda fascia orizzontale in cui, dal punto di vista geografico e per comodità, è possibile suddividere il paese. Il Gange è alimentato da una serie di altri fiumi -provenienti anch’essi dalla fascia himalayana – tra cui i più importanti sono la Yamuna, il fiume che passa per Delhi, e il Brahmaputra che, confluendo nel Gange, va a formare il più grande delta del mondo, oggi diviso tra India e Bangladesh.

L’area dell’India che chiude a Sud la vallata gangetica rimane ancora oggi una delle più selvagge essendo caratterizzata dalla presenza di fitte foreste tropicali, habitat naturale dei grandi felini che abitano tutt’oggi il paese. Al di sotto del Tropico del Cancro, a segnare la cesura tra il Nord e il massiccio peninsulare a Sud, ovvero fra la seconda e la terza area geografica, si estendono le brulle catene dei Monti Vindhya e dei Monti Satpura tra i quali scorre da oriente verso occidente il fiume Narmada.

A Sud dei Satpura, oltre il fiume Tapti, si estende l’Altopiano del Deccan ad un’altitudine compresa fra i 300 e i 1000 metri con alcuni picchi che superano tuttavia i 1200 metri. Si tratta di un territorio prevalentemente arido nonostante la presenza di numerosi fiumi che ne solcano la superfice in direzione Ovest-Est seguendone la naturale inclinazione. Tali fiumi, tra cui i più importanti sono la Godavari e il Krishna, nascono dalla catena montuosa dei Ghat (“gradini”) Occidentali che delimitano l’altopiano a Ovest e, aprendosi un varco nei Ghat Orientali – che lo delimitano invece a Est – sfociano nel Golfo del Bengala.

I Ghat occidentali, in corrispondenza dei Monti Nilgiri che si trovano all’estremità sud della catena, possono raggiungere altezze di oltre 2600 metri e sono l’ambiente ideale per la coltivazione del tè. Il basso litorale costiero e la cuspide meridionale dell’India, irrigata dal fiume Kaveri e favorita dall’andamento delle piogge più abbondante, costituiscono invece una zona fertile molto più simile a una foresta tropicale, una delle migliori al mondo per la coltivazione delle spezie.

I venti che spirano dalle coste dell’Africa, caricati dell’acqua dell’Oceano Indiano e ostacolati dalla presenza dei Ghat Occidentali, si riversano infatti sulle coste Ovest della penisola durante i mesi estivi di giugno e luglio per poi proseguire il loro viaggio verso Nord-Est, intorno a Capo Comorin e risalendo il Golfo del Bengala. Bloccati questa volta dalla presenza dell’imponente Himalaya, scaricheranno sotto forma di grandi piogge sull’intera vallata gangetica prevalentemente nei mesi da agosto a ottobre.

Definito quindi il tipo di paesaggio che vorremmo trovarci di fronte agli occhi e stabilita la stagione in cui intendiamo visitare il paese, possiamo partire dalla geografia fisica per decidere il tipo di itinerario da affrontare.

Geografia Politica

Political Map of India

L’India, ufficialmente Repubblica dell’India, è composta da 29 stati federati (è del 2 giugno 2014 la notizia della nascita di un nuovo stato, il Telangana) e da 7 cosiddetti Territori dell’Unione (di cui fa parte anche il Territorio della Capitale), i primi aventi parlamenti e governi autonomi mentre i secondi direttamente dipendenti da Nuova Delhi.

La ripartizione politica degli stati è stata ufficializzata 9 anni dopo la dichiarazione d’indipendenza dell’India dal governo britannico (1947) per lo più su base linguistica, il che pone in evidenza differenze che riguardano anche altri aspetti culturali.

Una visita incentrata su un singolo stato ci darà la possibilità di approfondirne i caratteri particolari e di essere in grado di meglio metterli in raffronto con quelli degli stati la cui visita decideremo di relegare ad un altro momento.

Geografia Umana

Strettamente collegata alla geografia fisica, si intende quella disciplina che studia la distribuzione dell’uomo nello spazio e le relazioni tra l’uomo e l’ambiente. La presenza dei Monti Vindhya e dei Monti Satpura tra la piana gangetica e l’Altopiano del Deccan ha da sempre costituito un ostacolo allo spostamento di popoli, genti ed eserciti tanto che, ancora oggi, nel parlare di India del Nord e India del Sud ci si riferisce quasi a due mondi separati, diversi per origine e per evoluzione.

Se infatti gli stati del Nord sono abitati da popolazioni di origine indo-europea, provenienti dall’Asia centrale e insediatisi nel subcontinente a partire dal 1500 a.C., quelli del Sud sono abitati da una popolazione cosiddetta dravidica, ovvero autoctona. Questi ultimi, per lunghi secoli, sono rimasti protetti dalle invasioni islamiche che si sono invece ripetutamente riversate al Nord.

La maggior parte dei regni e degli imperi che hanno dominato la storia dell’India, sia a Nord che a Sud, sono in genere fioriti e si sono sviluppati intorno ad aree ecologicamente favorevoli all’insediamento umano, quali le vallate dei grandi fiumi, e lì hanno dato vita ad una produzione artistica e architettonica che trova nella diversa collocazione geografica il proprio carattere distintivo.

Si parla infatti di arte templare nagara (“cittadina”) al Nord, di arte dravida al Sud e di arte vesara (“ibrida”) nei luoghi di incontro tra le prime due. La presenza dei monsoni, inoltre, ha permesso lo sviluppo dei commerci via mare sfruttando la forza dei venti e il conseguente contatto con popolazioni esterne provenienti da oriente e occidente che, nel corso della storia, hanno lasciato la loro impronta sul territorio indiano.

Nella programmazione di un itinerario potremmo quindi decidere di andare a visitare i luoghi di insediamento delle varie dinastie, alla scoperta dei gioielli artistici e architettonici da queste commissionati nel corso dei secoli.

Geografia Sacra

Nel paese della spiritualità esistono dei percorsi, ben noti alla popolazione locale, che collegano per mezzo di linee immaginarie quei luoghi dove si ritiene che la divinità sia manifesta, luoghi quindi ritenuti particolarmente sacri dagli appartenenti alla religione di riferimento.

Spesso situati in prossimità dei corsi d’acqua per la funzione purificatrice che questa ricopre nella tradizione, si trovano sparsi per tutto il territorio nazionale, a volte anche a distanza di centinaia di kilometri l’uno dall’altro. Vi sono luoghi sacri agli hindu alcuni dei quali connessi alla divinità femminile (pitha) e altri invece connessi alle divinità maschili (tirtha).

Gli espedienti di connessione tra la divinità e questi luoghi sono scritti nei testi sacri e la tradizione vuole che il devoto che gli renda visita almeno una volta nella vita sia avvantaggiato lungo il percorso che lo condurrà  alla liberazione (moksha). Ma esistono anche i luoghi del Buddha, quelli sacri ai devoti musulmani o ai jainisti, così come esistono luoghi di ritiro collegati a personalità religiose del presente e del passato che, particolarmente frequentati dagli occidentali, possono costituire una meta unica per un soggiorno prolungato.

Percorrere uno di questi itinerari o semplicemente visitare uno di questi luoghi ci permetterà di entrare in contatto con l’essenza più spirituale dell’India, con l’anima più profonda di un paese che in questo campo  è detentore di una tradizione millenaria.

Seguiteci dunque nel nostro viaggio tra i luoghi dell’India più o meno noti che, per un motivo o per l’altro, vale la pena di visitare e troverete facilmente uno spunto per l’organizzazione della vostra prossima partenza. L’India, questo è certo, è un paese che non vi deluderà!

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Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina www.indiainout.com il 17 giugno 2014

(immagine tratta da voicemagazine.org)

Shiva Nataraja

“Chidambaram è dovunque, dovunque la Sua danza”

“Chidambaram è dovunque, dovunque la Sua danza” 640 413 Sonia Sgarella

Se volessimo trovare un minimo comune denominatore che ci accompagna nella visita del densamente popolato Stato del Tamil Nadu, nell’India del Sud, di cosa potrebbe trattarsi? Ma certamente degli imponenti gopuram, magnifiche strutture piramidali, torreggianti portali di ingresso ai templi la cui altezza può essere compresa tra i 20 e i 60 metri.

Mentre i primi gopuram si ergevano timidamente all’ombra dei più alti shikhara (elevazioni delle celle), come era il caso del “Tempio della Spiaggia” di Mamallapuram o del “Tempio di Brihadeshvara” di Thanjavur, a partire dall’ XI secolo, la situazione viene completamente rovesciata, essendo ora proprio il gopuram l’elemento di spicco che svetta deciso verso il cielo, un gigante possente che rende quasi insignificante l’edificio della cella.

I complessi templari, a partire da questo momento, vengono racchiusi in una serie sempre più numerosa di mura concentriche e quadrangolari (prakara), la più esterna delle quali presenta solitamente aperture ai quattro punti cardinali su cui svettano i portali più alti. Man mano che ci si muove verso l’interno i gopuram diminuiscono sia di numero che di altezza dando vita ad un impianto architettonico intricato e spesso asimmetrico che contribuisce a confondere e disorientare il visitatore occasionale.

Il tempio diviene dunque una città dove la progressiva espansione dello spazio dedicato alla divinità e l’ingigantimento del suo impianto architettonico, altro non sono che il riflesso di un cambiamento di prospettiva avvenuto a livello religioso: se precedentemente, infatti, la presenza della divinità si pensava circoscritta allo spazio angusto e oscuro della cella, da cui poteva ricevere omaggi e dispensare benedizioni, a partire dall’XI secolo, ad essa vengono assegnati molti altri ruoli, simili a quelli di un monarca terreno.

Il dio celebra ora nascite e matrimoni, concede udienza ai suoi devoti, prende parte alle festività sotto forma di sculture di bronzo “movibili” (chala, in contrapposizione ad achala, “fisse”), che vengono trasportate in processione lungo le strade del tempio, progettate, per l’appunto, abbastanza ampie da permettere il passaggio dei carri processionali (ratha).

A segnare la svolta verso questa complessità architettonica si ritiene sia stato il tempio di Chidambaram, un grande complesso templare di epoca Chola, in larga parte edificato tra l’XI e il XIII secolo e risultato di una stratificazione di interventi architettonici avvenuti molto probabilmente nell’area di un più antico tempio di Shiva (VII-VIII secolo), di cui tuttavia non si sono conservati i resti.

Il primo impulso per la futura espansione del tempio di Chidambaram arrivò dal grande Kulottunga Chola (1070-1122 d.c.), il primo sovrano della linea dinastica cosiddetta dei Chalukya-Chola, alleatisi gli uni agli altri per mezzo di vincoli matrimoniali. Fu infatti sotto il suo regno che venne innalzata la prima cinta muraria, alla quale si accedeva per mezzo di due gopuram.

La seconda cinta, dotata di altrettanti portali, venne aggiunta durante il regno di Vikrama Chola (1118-1135 d.c.), il quale commissionò anche lo scavo dell’imponente vasca per le abluzioni, conosciuta con il nome di “Shiva Ganga Tank”.

Shiva Ganga Temple Tank - Chidambaram

Shiva Ganga Temple Tank – Chidambaram

Fu poi Naralokaviran, che servì entrambi i sovrani in qualità di Ministro, a commissionare la costruzione di numerose sale accessorie, tra le quali la “Sala delle Mille Colonne”, situata accanto alla vasca per le abluzioni, all’interno del perimetro della terza cinta muraria. Maestosi sono in questo caso i portali d’ingresso posti ai quattro punti cardinali e costruiti in un’epoca compresa tra il 1150 e il 1300, probabilmente sotto il governo di Kulottunga III ma certamente ingigantiti sotto il regno dei Vijayanagara, i quali commissionarono anche l’innalzamento della quarta cinta muraria.

Costruita su basamenti verticali di pietra, l’elevazione dei gopuram – consistente in una serie di piani digradanti, modellati nello stucco che riveste una struttura piramidale di mattoni – è coronata da un tetto a botte sul quale si allineano simbolici vasi (Kalasha). Nel passaggio dei gopuram Est e Ovest sono scolpite le celebri 108 posture della danza indiana, i cosiddetti karana, la cui origine si fa risalire al Natya Shastra,  il più antico testo di teoria teatrale giunto fino ai giorni nostri.

West Gopuram - Chidambaram

West Gopuram – Chidambaram

Non per altro infatti il tempio di Chidambaram è famoso in tutta l’India come il tempio di Shiva Nataraja, il “re della danza” che qui danzò per la prima volta e che qui, secondo la tradizione, continua tuttora a farlo. Shiva, il “Danzatore Cosmico” che con il suo movimento frenetico, incessante, risveglia le energie latenti che possono dare forma al mondo, il quale altro non è che un effetto della sua danza eterna.

Ed è sicuramente quella di Shiva Nataraja, la creazione più celebre della statuaria Chola, immagine che riproduce in bronzo il cosiddetto anandatandava, la “danza della beatitudine”, la quale vede il Dio segnare il ritmo del tempo, guidando l’esistente nel suo ciclico processo di creazione, vita e distruzione.

Shiva Natarja - Bronzo moderno

Shiva Natarja – Bronzo moderno

Shiva, il signore del lingam (icona fallica) che qui a Chidambaram viene venerato come lingam d’etere, akashalingam, il primo dei cinque elementi, prima manifestazione della sostanza divina da cui si dispiegano, nell’evoluzione dell’universo, tutti gli altri elementi: aria, fuoco, acqua e terra. Ed è dunque dall’insieme di etere e suono, provocato dal tamburello (damaru) che Shiva reca nella mano destra, che ha origine il primo momento della creazione.

La mano opposta, in alto a sinistra, reca invece sul palmo una lingua di fiamma, simbolo della distruzione. Ma Shiva, in quanto Dio, è ovviamente dotato di più arti, in questo caso di un totale di quattro. Ci racconta Heinrich Zimmer, grande studioso, che “la seconda mano destra fa il gesto del “non temere” che dispensa pace e protezione, mentre la rimanente mano sinistra, sospesa all’altezza del petto, indica in basso il piede sinistro, sollevato. Questo piede simboleggia la Liberazione ed è il rifugio e la salvezza del devoto”.

Nel cuore del tempio di Chidambaram, all’intreno della Cit Sabha (“sala della conoscenza”), è custodito quindi un lingam invisibile, fatto di etere, il cosiddetto “segreto di Chidambaram”, accanto al quale, nella Kanaka Sabha (“sala d’oro”), si trova invece un lingam di cristallo, venerato ogni giorno, alle 12 e alle 18, con cerimonie del fuoco che si svolgono al ritmo del suono di cimbali e tamburi.  Nonostante la regola dica che gli stranieri non siano ammessi all’interno del sancta sanctorum, capita spesso che i sacerdoti addetti alle funzioni religiose, ne permettano invece l’accesso.

All’interno del tempio di Chidambaram convivono e lavorano sacerdoti di origine diversa: i Dikshitar, che si distinguono per la particolare acconciatura, consistente in un ciuffo di capelli sulla testa rasata, gli Ouduvar, i cantori di inni sacri e i brahmini comuni.

Chidambaram si trova 58 kilometri a sud di Pondicerry e la si può raggiungere facilmente utilizzando il servizio di pullman pubblici che connette quasi ogni angolo dello stato. La stazione degli autobus si trova a 500 metri dal tempio.

Danza Pulikali

Onam: il festival più colorato dell’India più India

Onam: il festival più colorato dell’India più India 990 626 Sonia Sgarella

Arriva il giorno in cui, in India, gli abitanti del Kerala di ogni classe e casta, si riuniscono a celebrare il ritorno del loro grande re Mahābalī, condannato da Visnu a vivere e a governare nel regno degli inferi (pātāla), ma concessogli tuttavia di far visita ogni anno ai suoi fedeli devoti in terra.

Racconta il mito che Mahābalī, conosciuto anche come Bali o Māveli, fosse un asura, un demone, ma benevolo, educato alla pratica della verità (satya), della correttezza e della devozione dal nonno paterno Prahlada. Il suo regno era immenso e comprendeva non soltanto la terra ma anche il paradiso (svarga), strappato al controllo dei deva, la schiera degli dei governati da Indra, il più grande guerriero.

Nel suo regno dominavano pace e prosperità, non esistevano malattie né bugie, tutti gli uomini erano uguali, non vi erano caste, e Mahābalī era profondamente amato dal suo popolo. In paradiso, su consiglio del grande maestro Sukracharya, Bali si impegnò ad officiare il più importante dei sacrifici, l’Ashvameda, il sacrificio del cavallo, per potersi garantire il mantenimento del controllo sui tre mondi (Bhur, Buvah, Svah = Terra, Atmosfera, Cielo).

Qui promise che, durante il periodo sacrificale, si sarebbe impegnato a soddisfare qualunque richiesta ricevuta dai propri sudditi. Approfittando di questa dichiarazione, Visnu, sotto forma di Vamana, un nano brahmano, si presentò al cospetto del re. Venne accolto con tutti gli onori, ripetutagli la disponibilità a soddisfare ogni suo desiderio. <<Non ti chiedo grandi cose>> disse Vamana, <<solo di poter avere tanta terra quanta io ne riesca a coprire con tre dei miei passi>>.

Sukracharya, il grande guru in grado di vedere il futuro, cercò di dissuadere Mahābalī dall’acconsentire alla richiesta, in quanto a conoscenza della vera natura di quel piccolo brahmano. Comunicò al discepolo la ragione della sua visita ma il re Bali, determinato ad onorare la sua promessa, non si fece convincere.

Vamana, da piccolo che era, diventò un gigante. Con un primo passo coprì la terra e con il secondo arrivò fino al cielo. Non avendo più altro da offrire Mahābalī, grande devoto, chiese a Vamana di compiere il terzo passo sulla sua testa e così Visnu lo spinse giù nel mondo degli inferi, fino al regno di Sutala. Qui avrebbe potuto governare e solo una volta all’anno, come premio per la sua immensa devozione e onestà, avrebbe potuto fare visita ai suoi fedeli in terra.

Vamana

Vamana

Quel giorno in Kerala cadeva quest’anno il 7 settembre, all’inizio del mese di Chingam, il primo mese dell’anno secondo il calendario Malayalam. Anche se le celebrazioni durano ben 11 giorni e cominciano con la preparazione di decorazioni floreali (pookalam) – disegnate pazientemente da mani sia femminili che maschili, dentro e fuori casa – la festività vera e propria ha una durata di quattro giorni, di cui il secondo (Thiruvonam), è il più importante.

Pookalam

Pookalam

Gli abitanti del Kerala si vestono di abiti nuovi, comprati apposta per l’occasione, simbolo di purezza, coincidente con l’abbandono di pensieri e sentimenti negativi. Pranzi ricchi (onasadya), serviti su foglie di banana, vengono cucinati in ogni casa e anche i più poveri cercheranno di preparare qualcosa, seppur più umile, per non perdere l’occasione. Un detto locale dice: “Kaanam Vittum Onam Unnanam”, ovvero, “tutti dovrebbero mangiare a Onam, anche a costo di vendere tutte le proprietà”.

Onamsadhya

Onamsadhya

Giochi di ogni sorta e gare in barche lunghe come serpenti (vallamkali), danze spettacolari tra cui Pulikali e Kathakali e processioni di elefanti avranno luogo nei centri culturali più importanti del Kerala, per dar vita ad una delle feste più colorate dell’India intera. Un trionfo di sacralità nell’India più autentica, nell’India più pura, nell’India più India!

Vallamkali

Vallamkali

Danza Pulikali

Danza Pulikali

Danza Kathakali

Danza Kathakali

Per maggiori info visitate il sito www.onamfestival.org

Thiruvonam 2015: 28 agosto

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Dahi handi

Torri umane per il compleanno di Krishna

Torri umane per il compleanno di Krishna 900 522 Sonia Sgarella

Krishna, personaggio composito e dalla molteplice origine che vede tre figure del culto divino – Krishna Vāsudeva, Krishna Gopāla e Krishna Narayana – fondersi l’una nell’altra nel corso dei secoli e dare vita un unico Grande Dio, “Uno e Supremo”, conosciuto anche come l’ottavo avatara (discesa in terra) di Vishnu;

Krishna, gioioso e dispettoso bambino, adolescente ruba cuori, protagonista di amori adulteri ma anche capo del clan degli Yadava, nonché divino grande eroe del Mahabharata, dispensatore di consigli e dottrina;

Krishna, che oggi festeggia oltre 5000 anni!.

Gli studiosi indiani, così come quelli occidentali, sembrano ormai concordare sulle date in cui, secondo la tradizione, Krishna avrebbe vissuto sulla terra, in un periodo compreso tra il 3200 e il 3100 a.c., anni in cui, in coincidenza con la sua morte, viene fatta iniziare l’era cosmica della corruzione, il cosiddetto Kali Yuga. Trattasi di un’era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale e che, purtroppo per noi, durerà ancora per parecchi secoli.

Krishna nacque, secondo il mito, alla mezzanotte dell’ottavo giorno (Ashtami) di luna calante (Krishnapaksha) del mese di Shravan (agosto/settembre). Questo giorno di particolare auspicio prende il nome di Janmasthani o Krishnasthami.

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Racconta la leggenda che Krishna nacque da Devaki e Vasudeva, membri della famiglia reale di Mathura, nell’odierno stato dell’Uttar Pradesh. Kamsa, il sovrano in carica al tempo, udita la profezia che avrebbe ricevuto la morte per mano di uno dei figli della cugina Devaki, li fece uccidere tutti, uno ad uno, man mano che nascevano. Krishna tuttavia venne scambiato, appena in tempo, con un altro neonato e affidato di nascosto al pastore Nanda e alla moglie Yashoda, perchè lo crescessero.

Un bambino dispettoso, ghiotto di burro e cagliata e quindi avvezzo a rubarlo in continuazione dalla cucina materna; spese la sua infanzia nella campagna di Vrindavana, tra quelle mandriane che negli anni si innamoreranno follemente della sua bellezza, attirate dalla musica ammaliante del suo flauto.

Durante il giorno del suo compleanno l’India intera e in particolare gli abitanti della regione di Mathura e dello stato del Maharashtra, si riuniscono per celebrarne la nascita, organizzando danze (rasa lila) che ne rievochino la frivola adolescenza, e poi ancora giochi che ricordino invece il lato gioioso della sua infanzia.

Il Dahi Handi, oggi diventato una sorta di sport nazionale, è il gioco più popolare. Chiamato anche Govinda Sport da uno degli appellativi di Lord Krishna – Govinda (“il protettore delle mucche”) – il gioco consiste nel formare una piramide umana che permetta al più giovane della squadra di raggiungere un contenitore di terracotta, contenente burro o cagliata, sospeso per aria ad una altezza prestabilita. Il giovane atleta  incaricato di raggiungere la cima della piramide, dovrà rompere il coccio con l’aiuto di un bastone o di qualsiasi oggetto contundente e fare in modo che il liquido si rovesci sull’intera squadra al fine di consacrarne l’unione nell’impresa.

Dahi Handi

Dahi Handi

Dahi Handi

Grandi e bambini, uomini e donne possibilmente a digiuno dal mattino, rimarranno svegli oltre la mezzanotte, ora in cui si riuniranno per recitare canti devozionali rivolti al supremo e divino Signore. La prossima volta sarà il 15 agosto 2017. E allora che dire? Om nama Bhagavate Vasudevaya!

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