Se c’è una città dell’India che riassume in sè perfettamente l’idea di “mercato”, questa, signori, e’ certamente Mysore: tessuti di seta, legno di sandalo, incenso, essenze, frutta, ghirlande di fiori e verdura sono solo alcuni dei prodotti che vengono commerciati ovunque per le sue strade, nei suoi negozi e mercati, in un contesto tanto antico quanto moderno ma non per questo meno autentico. Assolutamente niente di turistico: a Mysore sono infatti gli indiani stessi i protagonisti di quello scambio frenetico che concede alla città solo poche ore di sonno e, così, puntualmente tutti i giorni dell’anno.
Imperdibile è l’appuntamento con il Devaraja Market, esempio perfetto di un mercato tradizionale indiano, carico di colori sgargianti, profumi inebrianti, chiasso e confusione. Percorretelo da cima a fondo senza tralasciare le vie adiacenti, assaporatene la bellezza, la vivacità e con questo lasciatevi trasportare indietro nella storia, quando Mahishūru era ancora un piccolo villaggio, governato dalla famiglia Wodeyar, allora alle dipendenze del grandioso impero Vijaianagara.
Correva l’anno 1565 quando, con il declino di quest’ultimo, il Regno di Mysore cominciò ad acquisire gradualmente quell’indipendenza che la portò, nel 1637, ad ottenere il titolo di stato sovrano e fu l’isola di Srirangapatna ad essere scelta come capitale del regno, strappata senza indugio ad altri vassalli dell’impero.
Situata a soli 15 chilometri da Mysore, Srirangapatna e’ completamente circondata dalle acque del fiume Kaveri che proprio in questo punto dà origine alla sua prima isola (Adi Ranga). Dal Devaraja Market spostatevi quindi al City Bus Stand (fermata degli autobus locali) e salite sull’autobus 313 il quale, in circa mezz’ora e al costo di 30 rupie, vi porterà esattaemente all’ingresso del tempio che dà nome all’isola stessa.
Si tratta del Ranganathaswami Temple, dedicato a Vishnu che dorme sulle spire del serpente cosmico. Il tempio venne fondato nel corso del IX secolo dalla dinastia dei Ganga Occidentali i quali, alleatisi prima con i Chalukya di Badami e poi con i Rashtrakuta, riuscirono a mantere la propria influenza sulla regione circostante dal 350 fino al 1000 d.c. circa. Ampliato al tempo degli Hoysala e successivamente sotto il governo Vijayanagara, si tratta di uno dei cosiddetti Pancharanga Kshetrams, luoghi di pellegrinaggio dedicati a tale manifestazione della divinità.
Racconta la storia che Vishnu Ranganatha venisse venerato anche dal controverso Tipu Sultan, meglio conosciuto come la Tigre di Mysore. Tipu Sultan ricoprì il ruolo di Sultano della città dal 1782 al 1799 e fece costruire proprio sull’isola il Daria Daulat Bagh, la sua residenza estiva. Semplice ma ricco di decorazioni e dipinti che ne ricoprono tutte le pareti interne, il palazzo, al ridicolo costo di 100 rupie, merita indubbiamente una visita. Nei suoi pressi potrete poi anche ammirare il cosiddetto Gumbaz, un mausoleo costruito in memoria del padre Hyder Ali ma destinato ad ospitare anche le sue spoglie mortali.
Ma ritornando ai templi, vi è un altro luogo di pellegrinaggio della fede hindu che potrete visitare partendo da Mysore ed è il Tempio Chamundeshvari, arroccato sulla cima della Chamundi Hill, sovrastante la città ad un altezza di circa 1000 metri. Non preoccupatevi, per i meno coraggiosi esiste una valida alternativa al percorrere a piedi gli oltre mille gradini che conducono alla sua sommità, ovvero il pullman n. 201, anch’esso in partenza dal City Bus Stand (costo 28 rupie, distanza 13 chilometri).
La Dea Chamundi, venerata per secoli dai regnanti di Mysore, fu colei che, secondo il mito, uccise il demone Mahishasura, rendendo alla città l’antico nome di Mahishūru. Chamunda, aspetto terrifico della Madre Divina, della Dea con la “d” maiuscola, conosciuta anche come Durga, deve il suo nome ai demoni Chanda e Munda che trovarono sconfitta di fronte alla sua ira.
Vuole la tradizione che il tempio rientri nella lista dei 51 Shakti Peetha, ovvero di quei luoghi sacri alla divinità femminile dove, in accordo con il mito, sarebbero cadute le parti del corpo smembrato di Sati, la prima consorte di Shiva. Centinaia di pellegrini giungono fin qua da ogni parte dell’India offrendo fiori e noci di cocco che verranno spaccate e benedette dai sacerdoti del tempio per poi essere consumate da chi le ha recate.
L’elenco delle meraviglie collegate alla fede induista non si esaurisce tuttavia qui: esiste ancora un santuario che, seppur non più attivo, bensì monumento archeologico, costituisce uno dei massimi capolavori dell’India, commissionato dalla dinastia degli Hoysala. Risalente al XIII secolo, il Tempio di Chennakeshava a Somnathpur è certamente il meglio conservato, il più raffinato e completo esempio di architettura a pianta stellata, dotato di tre celle e abbellito da splendide sculture in pietra.
Somnathpur si trova a 35 chilometri da Mysore e potrete raggiungerlo facilmente dal Main Bus Stand (stazione degli autobus a lunga percorrenza) salendo su qualunque pullman diretto a Bannur e lì cambiare mezzo per percorrere gli ultimi chilometri di meravigliosa campagna indiana. Sarà la vostra occasione per entrare in contatto con la vita rurale dell’India, una delle tante esperienze interessanti e appaganti che questo paese vi riuscirà ad offrire.
Tornati dunque a Mysore, se è domenica e sono circa le 19.00, non perdetevi assolutamente lo spettacolo più pacchiano ma al tempo stesso incantevole che la città vi possa offrire: recatevi al Palazzo Reale (anche conosciuto come Amba Vilas Palace) e aspettate che si accendano le luci…wow…”stupefacente”!
Il palazzo costituisce ancora oggi la residenza ufficiale della famiglia Wodeyar che governò il Regno di Mysore dal 1399 al 1947 (anno dell’indipendenza) con un breve intervallo tra il 1760 e il 1799, quando il controllo passò nelle mani di Hyder Ali e, in seguito, al figlio Tipu Sultan.
Elementi architettonici indo-saraceni, islamici, rajput e talora gotici, ne decorano sia le facciate esterne che gli ampi locali interni, rendendogli la fama di essere uno tra i palazzi più belli di tutta l’India, seppur di fattura abbastanza recente. La costruzione della residenza, commissionata nel 1897, venne infatti portata a termine solo nel 1912. Se non lo avete già fatto, ritornateci dunque anche di giorno – quando gli spazi interni sono aperti al pubblico – e non stupitevi se tra i visitatori troverete anche tanti monaci buddhisti.
A circa 80 chilometri da Mysore sorgono infatti alcuni insediamenti di rifugiati tibetani a cui lo stato del Karnataka ha concesso la possibilità di trasferirsi in seguito all’esilio del 1959. Nel villaggio di Bylakuppe potrete visitare il più grande centro di insegnamento di Buddhismo tibetano Nyingma al mondo. Sono oltre 5000, infatti, i monaci e le monache che qui risiedono e i quali, non appena gli viene dato il permesso di uscire, amano recarsi a Mysore per entrare a far parte della folla di consumisti sfrenati (i negozi di elettronica sono i loro preferiti!).
Meno riconoscibili sotto il profilo estetico sono invece i seguaci della fede cristiana e jainista. Per quanto riguarda questi ultimi, sempre ad una distanza di circa 80 chilometri da Mysore, a Shravanabelagola, si trova uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti per la tradizione monastica Digambara (per uno studio completo sulla fede jainista fate riferimento al testo di Paul Dundas, “Il Jainismo”).
Qui, sulla cima della collina granitica Vindyagiri, si incontra l’imponente statua di Gommateshvara Bahubali, secondo la tradizione, figlio del primo grande santo jaina (Tirthankara). Alta 17 metri e scolpita nella roccia monolitica, la statua di Bahubali venne anch’essa commissionata nel X secolo sotto il regno della dinastia dei Ganga.
Tornati di nuovo a Mysore non vi rimane dunque altro che visitare la Chiesa di Santa Philomena, costruita nel 1936 nello stile neogotico che prese ispirazione da quello della cattedrale di Colonia, in Germania.
Lo scambio a Mysore non riguarda quindi soltanto le merci: la città rappresenta un luogo di incontro e di convivenza tra le maggiori religioni dell’India, a dimostrare l’immensa tolleranza che regna sovrana in questo paese. E’ questo uno dei tanti aspetti positivi che chi continua imperterrito sulla strada del terrorismo psicologico, contribuendo a diffondere nient’altro che banalità e tragedie, dovrebbe prima valutare e quindi mettere in risalto!