Oggi ritorno col pensiero in Gujarat e lo faccio mentre leggo il libro sull’India di Stefano Cotone. “Ti racconto l’India…” mi venne regalato otto anni fa da una persona che si diceva essere “per nulla interessata a quel paese” e che colse l’occasione di un incontro per passare a me ciò che a sua volta aveva ricevuto in dono. Forse la mancanza di tempo, una partenza imminente o chissà cosa non ricordo, mi fece commettere l’errore di riporre il libro sullo scaffale dei libri già letti: testi che ho divorato in pochi giorni perché troppo belli, libri che mi hanno dato ispirazione e insegnato un sacco di cose, che ho sottolineato, evidenziato e pasticciato in tutti i modi ma anche libri che ahimè, pur sforzandomi, non ce l’ho fatta a terminare, libri noiosi, pesanti, su cui ti ci addormenti.
Per uscire dal quel mondo e fare ritorno sullo scaffale dei libri da leggere, a casa mia di solito devono passare degli anni, quando per una coincidenza improbabile non mi sono rimasti più libri in lista d’attesa oppure perché, dimenticandomi totalmente di cosa parlasse il testo, decido di riprenderlo in mano e di ricominciare a sfogliarlo.
Ebbene, questo è quello che è successo con il libro di Cotone di cui mi sono resa conto di non aver mai letto neanche una riga nonostante mi fossi convinta di averlo fatto; pagine e pagine che ora scopro trattare tantissimi dei luoghi che ho visitato durante il mio ultimo viaggio in India e da cui avrei potuto forse trarre ispirazione o semplicemente qualche informazione in più. Niente di male tuttavia: secondo il mio punto di vista, avere troppe informazioni prima della partenza, può essere controproducente; lasciare che il luogo mi stupisca e mi sorprenda con cose di cui non ho mai sentito parlare né mai visto una foto è invece quello che preferisco.
Lo stato del Gujarat diciamo che a questo ben si presta: se ne sente infatti parlare ben poco e a meno a che non ci si informi di proposito, è raro che le notizie a riguardo ci piovano dal cielo. Seguendo questa filosofia dello “scoprire strada facendo”, allora sono almeno tre i luoghi che in questo ultimo viaggio in Gujarat mi hanno sorpreso e stupito perché di loro non conoscevo praticamente nulla: Junagadh, Mandvi e Diu Island.
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1. MANDVI
Mandvi è facilmente raggiungibile tenendo come base la città di Bhuj. Dalla stazione degli autobus prendete la prima corriera in partenza: la distanza tra le due località è di 59 km, il costo di 35 rupie e il tempo di percorrenza di circa 1h30.
Situata come Bhuj nella regione del Kutch ma affacciata al Mare Arabico, Mandvi è una piccola località punteggiata da splendidi edifici d’epoca color pastello e famosa ancora oggi in diversi paesi del mondo per il suo rinomato cantiere navale. Imbarcazioni di legno che possono superare i 20 metri di lunghezza vengono qui costruite da oltre 400 anni grazie alla tecnica non comune di centinaia di operai e maestri d’ascia che utilizzano un robusto legname (teak o iroko) proveniente dalla Malesia.
Fondata nel 1574 come un importante città portuale – la più importante prima dell’ascesa di Mumbai – Mandvi, nel corso della storia, superò in ricchezza la città di Bhuj costituendo un importante punto di transito soprattutto lungo le rotte vie mare: qui le imbarcazioni arrivavano dall’Africa, dal Golfo Persico, dalla Costa del Malabar (odierno Kerala) e anche dal Sud-Est Asiatico e ancora oggi diversi paesi si servono del cantiere navale di Mandvi per le loro flotte di pescherecci.
Per pranzo potete fermarvi in centro per un thali all’Osho Hotel oppure camminare fino alla spiaggia dove, nell’unica struttura turistica che troverete, c’è anche il ristorante.
A pochi chilometri da Mandvi, con una breve corsa in tuk tuk potrete raggiungere inoltre il Vijay Vilas Palace, la residenza estiva dei regnanti del Kutch datata 1929, oggi utilizzata per lo più come set cinematografico. Circondata da un immenso giardino, è il luogo ideale dove riprendersi un po’ dai rumori del traffico prima di fare ritorno a Bhuj.
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2. JUNAGADH
Se da Bhuj siete diretti sulla costa meridionale del Gujarat o verso il Gir National Park, Junagadh costituisce un interessante tappa intermedia. Da Bhuj c’è solo una compagnia di autobus privati che offre il servizio diretto notturno e al momento del mio viaggio si trattava della Jai Somnath. Chiedete comunque alle varie agenzie che si trovano in zona Bus Stand e vi verrà sicuramente detto.
Molti sono i pellegrini sia hindu che jaina che arrivano fin qui per intraprendere la scalata dei quasi 10.000 gradini della Girnar Hill e raggiungere stremati i templi che si trovano sulla sua sommità ma a parte questo la cittadina offre altro: un fatiscente quanto pittoresco centro storico, un suggestivo forte in rovina e due meravigliosi mausolei, anch’essi abbandonati al loro destino ma di incredibile fascino.
Mahabat Maqbara, così si chiama il sontuoso mausoleo del nawab Mahabat Khan II, affiancato da quello del vizir, ancor più decorato. Due sontuosi esempi di architettura euro-indo-islamica che si trovano proprio accanto alla moschea dove potrete andare a chiedere le chiavi nel caso in cui doveste trovare il cancello chiuso.
Un consiglio logistico: per visitare Junagadh e i suoi monumenti vi basteranno a dir tanto 3 ore. A meno che non siate arrivati fin qui per salire sulla collina sacra – in questo caso vi converrebbe aspettare la mattina successiva per cominciare all’alba – perdere troppo tempo da queste parti non ne vale davvero la pena. Se, come me, avete intenzione di raggiungere Junagadh partendo da Bhuj, sappiate che il vostro autobus, salvo imprevisti, raggiungerà destinazione molto presto, verso le 5.30 del mattino e vi converrà dunque aver già prenotato un hotel. Il Relief Hotel di Junagadh è un’ottima soluzione ma sappiate che per entrare a quell’ora vi farà pagare comunque la metà del costo dell’intera notte permettendovi di tenere la camera fino alle ore 12. Se avete riposato abbastanza, vi siete fatti una doccia e visti i monumenti, non ha senso dunque trattenersi oltre in città. Fossi in voi piuttosto prenderei un autobus diretto a Somnath (circa 2 ore al costo di 56 rupie) dove si trova uno dei templi più sacri del Gujarat e dell’India intera. Trovata una stanza mi godrei quindi, a partire dal tardo pomeriggio, l’atmosfera di questo sentito luogo di pellegrinaggio. Nell’edificio di fronte alla stazione degli autobus di Junagadh, all’ultimo piano, c’è un ottimo ristorante dove potrete rifocillarvi prima di partire per Somnath.
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3. DIU ISLAND
Scrive Stefano Cotone nel suo libro: “Diu è stata l’ultima terra d’Europa in India che insieme a Daman controllava lo stretto di Cambay e con la lontana Goa costituiva la terna portoghese. Nel 1961 gli indiani con un colpo di mano se ne sono impossessati. Riconquistata si direbbe.”
Diu è un’isola, un mondo appartato con un’identità non ben definita: è tutto così ordinato e pulito che quasi non sembra di essere in India; le chiese e le case coloniali farebbero più pensare ad un villaggio del Portogallo ma qui nessuno parla il portoghese né tanto meno sembra conoscere esattamente i fatti che riguardano la propria storia, seppur non molto lontana. Chiedendo dunque a qualcuno qual’è la parola che definisce meglio questo mondo isolato dalla terraferma per soli pochi chilometri di mare, è quasi sicuro che vi risponderanno “whisky!”; sì perché Diu è l’unico posto nel Gujarat proibizionista dove è permessa la vendita di alcolici. Per evitare scene raccapriccianti di uomini ubriachi e giovani molesti sarebbe dunque meglio evitare di capitarci durante il weekend.
A parte visitare la zona del forte portoghese da cui avrete delle viste spettacolari sulla costa frastagliata dell’isola e a parte perdersi tra le viuzze della città vecchia per raggiungere le chiese o passeggiare sul lungo mare della zona turistica, quello che a mio avviso è valso veramente la pena di arrivare fin qui, è stata l’escursione al villaggio di Vanakbara, situato nella parte opposta dell’isola.
Un piccolo villaggio di pescatori dove rimanere affascinati guardando lo svolgersi delle attività commerciali e di riparazione delle centinaia di barche variopinte che al mattino rientrano al porto per mettere in vendita il pescato. Un tripudio di colori in un angolo di India praticamente sconosciuto al turismo di massa e a cui, a maggior ragione, vale la pena di dedicare del tempo.
Ah, dimenticavo: di seguito una foto della mia Guest House sull’isola di Diu. Ebbene sì, trovando posto potrete anche pernottare nell’edificio della vecchia Chiesa portoghese di San Tommaso, oggi sconsacrata. La vista dalla terrazza è forse la più bella della città!