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Chi vede Siviglia, vede…

Chi vede Siviglia, vede… 1280 960 Sonia Sgarella

“Ercole mi edificò, Cesare mi cinse di mura e il re santo mi conquistò”: basta una frase per descrivere l’anima di Siviglia, la quarta città in ordine di grandezza della Spagna, capitale della Regione Autonoma dell’Andalusia, terra di Gitani, patria del Flamenco e di tante altre manifestazioni, religiose e non, Patrimonio Mondiale dell’Unesco, un tempo “Porta d’America” e ancora oggi ponte tra Africa ed Europa, una città dove perdersi tra le tradizioni, in quell’atmosfera sensuale, vitale e spensierata che la rende unica e magica. Siviglia è arte che si dispiega nel dedalo di stradine che la compone e nei suoi monumenti. Siviglia è meraviglia che si assapora lentamente.

1. Storia e geografia

Se sulla leggenda mitologica di Ercole possiamo sorvolare, certamente Siviglia fu abitata dai Romani i quali, guidati da Publio Cornelio Scipione (236-183 a. C.), chiamato poi l’Africano, sconfissero i Cartaginesi nella Seconda Guerra Punica, giungendo alle porte della città nel 206 a.C. I Romani la chiamarono Hispalis, città a cui Giulio Cesare concesse il rango di colonia romana facendone, già da allora, una delle città più importanti di Spagna.

Situata sulle sponde del fiume Guadalquivir, Siviglia si trovava in un punto strategico per quel che riguardava il commercio interno all’Andalusia, una posizione che solo successivamente alla scoperta dell’America nel 1492, gli garantì il ruolo di città più ricca e cosmopolita della Spagna: qui giungevano infatti, a bordo di poderosi bastimenti, le merci provenienti dalle colonie americane che risalivano il fiume raggiungendo l’immenso porto della città.

Wādī al-kabīr (“la grande valle”), vocabolo dal quale deriva la denominazione attuale del fiume, fu il nome che gli venne attribuito sotto il dominio arabo, lo stesso che convertì il nome della città in Ishbīliya, da cui deriva quello attuale. Un dominio che durò a lungo, dall’VIII al XIII secolo circa, che ne influenzò irrimediabilmente arte e cultura e che segnò un periodo di grande fioritura artistica in cui la città si arricchì di importanti monumenti.

Nel 1248 la città fu conquistata dal re Ferdinando III di Castiglia il quale annesse definitivamente Siviglia al mondo cristiano: la città si ripopolò di castigliani e i monumenti musulmani vennero convertiti in chiese o palazzi reali. Siviglia divenne quindi la “Porta delle Indie”, centro commerciale attivissimo ed emporio internazionale, raggiungendo addirittura i 150.000 abitanti. Fu questa un’epoca d’oro e di massima espansione che terminò purtroppo quando, nel 1680, la città di Cadice, venne scelta come porto unico dei traffici con l’America.

Solo nel 1929 Siviglia ritornerà al centro della scena mondiale, grazie all’Esposizione Iberoamericana che si poneva, tra i vari obbiettivi, quello di una riforma urbanistica della città, che potesse sfociare non solo in un incremento del turismo ma nel potenziamento generale dell’economia andalusa. Oggi Siviglia è dunque espressione di una lunga storia, una città visitata da milioni di persone, centro artistico, culturale, finanziario ed economico del sud della Spagna.

Godendo di un clima temperato caldo la città può essere visitata in ogni momento dell’anno nonostante le estati siano molto calde, superando facilmente i 35°C.

2. Monumenti e musei

Uno degli aspetti più importanti di Siviglia è certamente il suo grandioso patrimonio monumentale, un ineguagliabile miscuglio di stili e culture: chiese, palazzi, torri, musei, fortificazioni, il tutto sempre pronto a farvi ombra, in qualunque angolo della città vi troviate. A farla da esponenti sono certamente la Cattedrale, la Giralda e l’Alcazar, situate l’una accanto all’altro in pieno centro, non distanti dagli altri simboli della città: Plaza de Toros, l’Università (ex fabbrica di tabacco) e Plaza de España.

Plaza de Espana

In questa occasione vi vorrei però parlare di attrattive forse meno scontate, meno visitate, per quanto comunque ben conosciute:

Metropol Parasol: per un’ottima vista sui tetti della città. 

Il Metropol Parasol de la Encarnación, detto comunemente setas (“funghi”), è uno dei nuovi simboli della Siviglia moderna. Opera dell’architetto Jurgen Meyer, la sua costruzione è stata terminata solo nel 2011 nel tentativo di riqualificare la vecchia Plaza de la Encarnación. Trattasi della struttura in legno più grande al mondo, di un grande reticolo dalla forma astratta su cui si estende un lungo percorso pedonale che vi regalerà una magnifica vista sui quartieri antichi di Siviglia. L’accesso alla terrazza ha un costo di 3 euro.

Metropol Parasol

Metropol Parasol

Italica: per un ritorno alle origini. 

Quando Scipione l’Africano sconfisse i Cartaginesi, nel 206 a.C., era talmente grato ai suoi soldati che come segno tangibile della sua riconoscenza, fondò per i veterani e per i feriti un oppidum civium romanorum che proprio in ricordo del Bel Paese venne chiamata Italica. La città, che sorge oggi a 9 chilometri da Siviglia, occupò subito un posto privilegiato: se la vicina città di Hispalis (Siviglia) aveva una tradizione più propriamente mercantile, Italica, invece, era al contempo città aristocratica, militare e contadina.

Qui nacque Traiano (53-117 d.C.), che non solo fu il primo imperatore romano originario delle provincie, ma soprattutto quello sotto il cui governo l’impero romano raggiunse la sua massima estensione territoriale. E ancora a Italica vide la luce il suo successore, l’imperatore Adriano (76-138 d.C.). Fu lui a decidere un nuovo ampliamento della sua città natale che coincide proprio con il sito archeologico oggi visitabile.

Italica

Italica

Italica

Circondata da mura, la città nuova aveva al centro il grande foro dominato dal tempio dedicato a Traiano e ampie terme. Il tessuto urbano era disegnato da larghe vie perpendicolari fra loro, che formavano dei lotti rettangolari, le insulae, occupati da spaziose dimore. Tra queste spiccano la “Casa de los Pajaros” e l’“Edificio de la Exedra”, decorate da meravigliosi mosaici. Fuori dalle mura, l’Anfiteatro che con un’ellissi di 153 metri per 131 è il terzo per dimensioni di tutto l’impero romano, dopo il Colosseo e quello di Capua, e il più grande di Spagna.

Italica

Italica

Per raggiungere il sito dirigetevi alla stazione dei pullman di Plaza de Armas da dove ogni 30 minuti partono gli autobus diretti a Santiponce, la cittadina che si trova esattamente in prossimità delle rovine archeologiche. L’ingresso per i cittadini della Comunità Europea è gratuito.

3. Feste e tradizioni

Dalla Semana Santa alla Feria de Abril, dalla Corrida al Flamenco: Siviglia è una città che ama conservare le sue tradizioni, siano esse religiose oppure no. L’importante è uscire per le strade e, con la scusa di qualunque celebrazione, fare festa!

E a proposito di Flamenco: la danza tipica dell’Andalusia viene proposta in numerosi locali di Siviglia, spesso a pagamento. Se volete assistere ad uno spettacolo gratuito ma comunque di qualità e vi trovate in città dal mercoledì al sabato, dirigetevi in Calle Rosario 15, nel locale chiamato El Tabanco de Sevilla, “donde se encuentran los artistas…”

L’11 giugno 2015, proprio lì, ho assistito ad una performance meravigliosa della ballerina (o meglio bailaora, come dicono i sivigliani) Alejandra Aguila. Tutti i video e le informazioni riguardanti le serate li potete trovare sulla loro pagina facebook Cafè Silverio.

Vedi il video della serata https://youtu.be/om-hhRWVt6o?t=4m12s

4. Gastronomia

Tostadas per cominciare la giornata, tapas, cerveza e “tinto de verano” per continuarla! Ecco per voi il nome di un locale assolutamente da non perdere:

El Rinconcillo: un classico nel mondo delle tapas e della ristorazione di qualità. Fondato nel 1670 sembrerebbe essere il più antico ristorante in Spagna! Date un’occhiata al sito internet alla pagina http://www.elrinconcillo.es/it/

El Rinconcillo

Approfitto intanto dell’ occasione per ringraziare il buon vecchio Nicola che mi ha permesso di scoprire questa città e già che ci sono vi consiglio anche il suo bar, di nuova apertura, all’angolo tra Calle Castellar e Calle Maravillas: passate da lui dove la birra vi costa 1 euro e dove il cibo è spettacolare, degno di un vero modenese!

Un ringraziamento particolare anche a Debora per essere stata una grande compagna di viaggio!

USA: guida alla visita del Death Valley National Park

USA: guida alla visita del Death Valley National Park 2560 1920 Sonia Sgarella

Perfettamente incastonata tra quelle due catene montuose – il Panamint Range e l’ Amargosa Range – che raramente permettono alle nuvole cariche d’acqua di raggiungerla né tanto meno al calore di abbandonarla, e situata in prossimità di una faglia geologica che ne ha causato e che ancora ne causa lo sprofondamento sotto il livello del mare, la “Valle della Morte” è certamente uno tra i luoghi più caldi e asciutti della Terra nonché il punto più basso degli Stati Uniti.

“Valle della Morte”, un nome che evoca presentimenti negativi, desolazione, assenza di vita. Eppure qui la situazione pare essere completamente diversa: è risaputo infatti che proprio in questa valle e sui pendii delle montagne che la delimitano vivano oltre 900 specie di piante, adattatesi in vari modi alle condizioni ambientali più o meno aride nonché una miriade di animali selvatici di diverso tipo – prevalentemente notturni quelli che vivono nel deserto mentre gli animali più grandi dimorano nelle zone più elevate, dove il clima è più fresco e c’è più umidità.

Dalle distese salate sotto il livello del mare e dalle dune del deserto si passa quindi ai picchi più elevati, frequentemente coperti di neve, e sui cui pendii si incontrano boschi di ginepro, mogano e diverse varietà di pino: un mondo di grandi estremi dunque, dove a seconda della stagione il deserto si può far giardino, un mondo fatto di contrasti,  un parco sorprendente e variegato, nonché un museo geologico in continua evoluzione, completamente opposto a quello che il suo nome potrebbe far intendere.

L’appellativo “Death Valley” sembrerebbe derivare piuttosto da una frase pronunciata da un pioniere nel periodo della corsa all’oro il quale, riuscendo a sopravvivere alla traversata della valle stessa ringraziò dio per essere riuscito ad uscire da quella valle della morte!

Con questo articolo vi vorrei dare quante più informazioni possibili sul quando andare, come arrivare, dove alloggiare, cosa fare ma soprattutto come organizzare la visita tenendo bene a mente le regole e gli accorgimenti che in determinate situazioni vi potrebbero evitare grossi problemi. E’ fondamentale tenere a mente che la Death Valley è un territorio selvaggio di oltre 13.000 km2 dove, ahimè e ahi voi, potrebbe succedere di tutto, specialmente nei mesi più caldi dell’anno quando le temperature superano facilmente i 40°. In un territorio così vasto, qualunque sia la natura del vostro problema, i soccorsi non impiegheranno certo due minuti per raggiungervi.

Quando andare

Il Parco Nazionale può essere visitato durante tutto l’anno ma, a seconda della stagione, le condizioni si fanno più o meno favorevoli alla visita, soprattutto per quel che riguarda le escursioni a piedi. Mentre nei mesi invernali (da ottobre ad aprile) le temperature medie sono infatti ancora piacevoli o addirittura fredde, in estate si raggiungono temperature facilmente comprese tra i 40 e i 50 gradi che non solo potrebbero mettere a dura prova la vostra sopportazione fisica ma anche compromettere le funzionalità del vostro mezzo di trasporto. Un periodo particolare in cui visitare la Death Valley potrebbe essere quello primaverile quando, se le precipitazioni invernali sono state favorevoli, i fiori nativi trasformano il deserto in un immenso giardino.

Temperature medie Death Valley

Come arrivare

La Valle della Morte si trova esattamente a ridosso del confine tra California e Nevada, situata ad una distanza di circa 200 chilometri da Las Vegas, di circa 550 da Los Angeles e di quasi 850 da San Francisco. Non esattamente dietro l’angolo quindi ma proprio per la sua collocazione geografica, la Death Valley, costituisce uno dei maggiori crocevia sia per coloro che da Los Angeles si spostano a Las Vegas (e viceversa), sia per coloro che da San Francisco, via Yosemite, Kings Canyon e Sequoia National Park, cercano di raggiungere Las Vegas o Los Angeles.

Per/da Los Angeles

I modi per raggiungere la Death Valley da Los Angeles sono due:

– dalla I-15, via Baker, costeggiando quindi il confine superiore della Riserva Nazionale del  Mojave: a Baker imboccate la strada 127 fino a Shoshone e da lì svoltate a sinistra sulla 178, per fare così ingresso nel parco dalla sua estremità meridionale. Superato il Salsberry Pass a 1010 metri di altezza e il Jubilee Pass a 390, vi ritroverete quindi a guidare lungo il fondovalle, transitando per i luoghi simbolo del parco quali Badwater, Devil’s Golf Course e Artist Drive; in alternativa, è possibile proseguire oltre Shoshone, raggiungere Death Valley Junction e da lì svoltare a sinistra sulla 190, passare per Zabriskie Point e raggiungere Furnace Creek dopo 45 chilometri. Il viaggio da Los Angeles a Shoshone richiederà circa 4 ore (375 km).

– dalla 178, via Ridgecrest e Trona, proseguendo lungo la Panamint Valley Road fino al bivio per Panamint Springs. Da lì imboccare la 190, superate il Towne Pass a 1511 metri di altezza e proseguite in direzione di Stovepipe Wells. Se siete diretti a Las Vegas, onde evitare di ripercorrere la stessa strada due volte, direi che questa seconda opzione rappresenti la soluzione migliore: potrete infatti proseguire l’esplorazione della Death Valley fino a Shoshone, passando per tutti i punti di interesse turistico e da lì ricollegarvi con la I-15. Da Los Angeles a Panamint Springs la distanza è di 372 km, percorribili in circa 4 ore di viaggio.

Per/da Las Vegas

Per chi arriva da Las Vegas, l’accesso diretto sarà ad est del parco, dalla US95. All’altezza di Lathrop Wells scendete in direzione di Death Valley Junction e da lì prendete la 190 fino al Visitors Center di Furnace Creek; in alternativa proseguite lungo la US95 fino a Beatty da dove potrete imboccare la 374 in direzione di Stovepipe Wells. La distanza tra Las Vegas e Death Valley Junction è di 180 km mentre quella da Las Vegas a Beatty di 189.

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Per/dallo Yosemite National Park

Per chi proviene dallo Yosemite NP, la strada più immediata è quella che, superato il Tioga Pass, prosegue fino a Lone Pine (I-395). Da lì prendete la 136 in direzione di Panamint Springs. La distanza tra i due parchi è di circa 480 km.

Per/dal Sequoia National Park

Nonostante i due parchi siano pressoché vicini in linea d’aria la distanza da percorrere su strada supera decisamente tutte quelle elencate finora. Il percorso prevede infatti il passaggio per Bakersfield, Mojave e Ridgecrest, per un totale di oltre 500 km. Da Ridgecrest il percorso è lo stesso che da/per Los Angeles.

Ingresso al Parco

A differenza di altri parchi dove l’ingresso è ben segnalato e sbarrato, al Death Valley National Park si accede liberamente da ogni direzione. E’ richiesto che il biglietto d’entrata venga pagato all’interno di uno dei centri visitatori a Stovepipe Wells, a Furnace Creek o a Scotty’s Castle, oppure presso i distributori automatici situati in diversi punti del parco.  Il costo per una persona munita di veicolo a quattro ruote è di 20 dollari e vi permetterà di accedere o permanere nel parco per ben sette giorni. Qualora foste in moto, bicicletta o a piedi (il che lo vedo un po’ improbabile) il costo è ridotto a 10$.

Dove alloggiare

All’interno del parco vi sono solo quattro esercizi che provvedono a fornire vitto e alloggio ai visitatori: Furnace Creek Ranch, Furnace Creek Inn, Stovepipe Wells e Panamint Springs Resort. Trattandosi di imprese private e delle uniche all’interno del parco ovviamente i prezzi non saranno tra i più economici, partendo dai 70$ e a salire a seconda del pacchetto, della stagione e del resort. Se interessati fate riferimento ai seguenti siti internet per controllare disponibilità e tariffe:

Furnace Creek Resorthttp://www.furnacecreekresort.com/lodging/

  N.B. Furnace Creek Inn chiuso da metà maggio a metà ottobre

Stovepipe Wells Resorthttp://www.deathvalleyhotels.com/our-hotel/

Panamint Springs Resort: http://www.panamintsprings.com/accommodations/lodging/

All’interno del parco vi sono inoltre una decina di campeggi , non certamente da intendere come i nostri, curati e dotati di ogni servizio, bensì molto più spartani e in alcuni casi fino a prevedere solamente uno spiazzo deserto al sole. Alcuni di questi sono collegati agli stessi resort mentre altri sono gestiti direttamente dall’ente del Parco Nazionale. I prezzi per notte variano da 0 a 32 dollari a seconda dei servizi offerti ma tenete conto che almeno la metà di questi chiude durante il periodo estivo per via delle temperature elevate che comunque non vi permetterebbero di dormire la notte.

Campeggio Death Valley

Fuori dal parco sono invece molte di più le possibilità di alloggio e, a seconda di dove siete diretti o da dove arrivate, vi converrà una località piuttosto che un’altra. Lo stesso centro visitatori vi potrà fornire un elenco di strutture ricettive esterne al parco con relativo numero di telefono ma, non essendoci buona ricezione telefonica in zona e visto il probabile tardo orario di arrivo, vi converrebbe aver prenotato qualcosa ancor prima di essere entrati. Ridgecrest, Baker, Pahrump, Beatty, Lone Pine, Bishop sono i maggiori centri dove trovare alloggio ma anche a Trona, Shoshone, Death Valley Junction potrete incontrare qualcosa: una breve ricerca su internet non potrà che schiarirvi le idee su strutture e prezzi.

Guidare nel Parco

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Finché rimarrete sulle strade asfaltate di problemi dovreste incontrare ben pochi sempre che il vostro veicolo sia in buone condizioni ed abbia il serbatoio del carburante pieno. A tal proposito, da qualunque direzione decidiate di accedere al parco, non dimenticatevi di fermarvi dal benzinaio prima di entrare! All’interno del parco potrete rifornirvi solo presso i principali resort e state pur certi che vi spenneranno!

Soprattutto nel caso in cui stiate viaggiando in estate, quando le temperature raggiungono facilmente i 40° controllate che vi sia abbastanza acqua nel radiatore e, qualora dovesse mancare, fermatevi a riempirlo. In diversi punti del parco si trovano serbatoi dell’acqua non potabile ma utile a questo scopo. Spegnete inoltre l’aria condizionata per affrontare salite ripide, onde evitare che il motore si surriscaldi.

Doveste invece decidere di inoltrarvi su strade non asfaltate sarebbe meglio, prima di farlo, assicurarsi di essere almeno in grado di cambiare una ruota e soprattutto che nel baule vi siano sia la ruota di scorta che gli strumenti per cambiarla! Accertatevi inoltre, in fase di noleggio, che sia prevista una copertura per eventuali danni avvenuti su strade non asfaltate.

Ad ogni modo, sia che prevediate di rimanere all’interno del parco per poche ore sia per più giorni, portate con voi abbondanti scorte d’acqua e cibo a sufficienza per sfamarvi in caso di guasto al vostro veicolo. In estate consigliano di bere fino a 4/5 litri di acqua al giorno.

Cosa vedere

 – Badwater Basin: il punto più basso del Nord America. Un luogo surreale costituito da una vasta pianura salata che si può parzialmente coprire di acqua a seconda delle piogge e quindi della stagione. Nonostante la Valle della Morte sia infatti uno dei luoghi più aridi al mondo, può capitare che la zona sia colpita da forti acquazzoni i quali possono causare inondazioni problematiche per gli spostamenti.

Badwater Basin

Badwater Basin

Devil’s Golf Course: a nord di Badwater una breve strada sterrata conduce al “campo da golf del diavolo”, un terreno selvaggio ricoperto di blocchi di sale dentellati.

Artist’s Drive: un percorso di circa 11 km e a senso unico che si snoda tra coloratissime formazioni di roccia vulcanica e sedimentaria e per questo chiamato il “percorso degli artisti”. Particolarmente pittoresco è il punto noto come Artist’s Palette, la “tavolozza dell’artista”.

Artist's Drive

Artist's Drive

Golden Canyon: da percorrere a piedi, trattasi di un percorso a senso unico che si snoda per 1,6 chilometri attraverso un canyon di rocce colorate. Il punto d’accesso è situato circa 3 km a sud di Furnace Creek sulla Badwater Road. Da evitare durante le ore più calde del giorno e nei mesi estivi.

Zabriskie Point: punto panoramico da cui ammirare uno spettacolare paesaggio composto dai sedimenti di un antico lago prosciugatosi cinque milioni di anni fa ancor prima della formazione della Death Valley nella sua forma attuale la quale avrebbe da 3 a 5 milioni di anni. Il nome Zabriskie deriva da Christian Brevoort Zabriskie, che nei primi anni del XX secolo fu vicepresidente della Pacific Coast Borax Company, famosa per l’estrazione e il trasporto di borace dalle miniere della Death Valley tramite i twenty mule teams, pariglie composte da diciotto muli e due cavalli.

Zabriskie Point

Zabriskie Point

Dante’s View: a quanto pare (io non ci sono arrivata per motivi di tempo) il miglior punto panoramico da cui ammirare la zona di Badwater Basin. Situato ad un’altezza di 1669 metri dista da Furnace Creek una quarantina di chilometri.

Sand Dunes: situate nei pressi di Stovepipe Wells offrono possibilità per brevi e lunghe passeggiate.

Sand Dunes

I percorsi poi sarebbero molti altri ma per questi ci vorrebbe un veicolo 4×4 di cui ovviamente non tutti sono muniti. Una cosa importante da cui iniziare sarebbe comunque dare un’occhiata a una mappa (vedi) del parco e quindi decidere come muoversi considerando sempre la lunghezza delle giornate che varia molto da estate a inverno. Quando sono andata io per esempio, nel mese di novembre, il sole calava alle 17.00 riducendo di molto la durata delle giornate.

Per qualunque informazione comunque fate riferimento al sito ufficiale del parco dove, tra le altre cose, troverete informazioni aggiornate e dettagliate sulle condizioni climatiche nonché sulle fasi lunari. Qualora decideste di dormire all’interno del parco infatti, se il cielo sarà limpido e, ancor meglio, sarà luna nuova, potreste ritrovarvi di fronte ad uno degli spettacoli più belli della vostra vita, ovvero ad un cielo stellato che, come pubblicizzato, “comincia dai vostri piedi!”.

Riva delle Erbe

Fiandre, una piccola regione di grandi storie

Fiandre, una piccola regione di grandi storie 599 399 Sonia Sgarella

Se siete seduti difronte a un secchiello di cozze mentre sorseggiate una birra d’abbazia, se state mangiando una porzione delle migliori patatine fritte d’Europa con maionese, un gustoso e croccante waffle o del cioccolato da sogno, ebbene si, vi trovate sicuramente in Belgio!

Waffles

Waffles

Potreste essere nella romantica Bruges, nella “piazza più bella d’Europa” a Bruxelles, ad Anversa, la città dei diamanti, oppure nella medievale Gent: quattro città vicine, uguali ma diverse, dove lo splendore arriva dall’acqua, dalle passioni e dalle tradizioni, incluse quelle del cioccolato e della birra.

E a proposito di birra: con 125 industrie produttrici, circa 600 birre standard e una miriade di birre uniche a produzione limitata il Belgio è, senza ombra di dubbio, il primo produttore di birra in Europa. Tra le marche più curiose o popolari vi sono la Leffe, la Jupiler, la Chimay, la Kriek, al gusto di ciliegia, le birre d’abbazia e quelle trappiste, ognuna col suo bicchiere.

Vi consiglio due locali di Bruxelles dove andarvele a gustare:

1. À la morte subite

Morte Subite Original Kriek

Morte Subite Original Kriek

Un locale storico della città che vanta un’atmosfera d’altri tempi nonché uno dei più famosi in cui recarsi per una birra. Tranquilli, il nome non vi deve intimorire: “la morte istantanea”, non vuole infatti essere di cattivo auspicio bensì ricordarci la storia del posto dove gli impiegati della Banca Nazionale del Belgio, prima che il locale si trasferisse  nella sede attuale in Rue Montagne aux Herbes Potagères 7, erano soliti giocare a carte. Ebbene, l’ultima partita prima di tornare al lavoro veniva soprannominata “mort subite” e in onore di questo fatto il proprietario, in occasione del trasloco del 1928, ribattezzò il locale “À la morte subite”. Mort Subite è anche il nome della birra che qui si produce: una gueuze, ovvero una birra a fermentazione spontanea.

2. Delirium Café

Delirium Tremens Cafè

Delirium Tremens Cafè

Certamente uno dei locali più noti e frequentati della città, che si sviluppa su ben 3 piani e che offre birre da tutto il mondo per un totale di circa 2500 tipi, dalle più classiche alle trappiste passando per insolite birre aromatizzate…un delirio, appunto! Il Delirium Café si trova al 4 di Impasse de la Fidelité, proprio difronte alla fontana della “Jeanneke Pis”, la controparte femminile del “Manneken Pis”, il “bambino che fa pipì”.

Jeanneke Pis

Jeanneke Pis

Bruxelles

Partiamo quindi, già che ci siamo, da Bruxelles, una città fiamminga solo per metà. Capitale dell’intera nazione, nonché capitale d’Europa, la città di Bruxelles che costituisce uno dei tre stati federati belga, rappresenta il punto d’incontro tra la cultura delle Fiandre e quella della Vallonia, un’essenza che si esprime perfettamente nel bilinguismo diffuso tra la sua popolazione.

Cuore pulsante della città è la Grand Place, dove le facciate dorate degli edifici risplendono al sole durante il giorno e si illuminano di colori durante la notte offrendo un meraviglioso spettacolo a cielo aperto, in un contesto rigorosamente Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Bruxelles by Night - Palazzo del Municipio @ Grand Place

Bruxelles by Night – Palazzo del Municipio @ Grand Place

A pochi passi dalla Grand Place, in Rue de Bouchers, troverete una serie infinita di ristoranti di tutte le tradizioni culinarie ed è proprio da qui che dovrete cominciare a perdervi tra le delizie: cozze, birra, patatine fritte, waffles e cioccolato…non vi rimane altro da fare che decidere da cosa cominciare!

Rue de Bouchers

Rue de Bouchers

Ma ora ditemi, quanti di voi sapevano che Bruxelles fosse anche la patria del fumetto? I Puffi, Tin Tin, Lucky Luke, sono tutti nati qui e ce lo ricordano i numerosi murales sparsi per la città, una città eclettica, dove non è neanche così difficile imbattersi in edifici Art Nouveau, come la Casa di Horta, il padre di questo tipico stile dai motivi floreali.

Asterix & Obelix

Asterix & Obelix

Infine degno di nota, ma che certamente non esaurisce la serie di bellezze visitabili a Bruxelles, è l’Atomium, costruzione in acciaio che rappresenta i 9 atomi di un cristallo di ferro, innalzato in occasione dell’Expo 1958. Da non perderlo illuminato di sera!

Atomium

Atomium

Anversa

Viene chiamata la città dei diamanti (l’80% dei grezzi mondiali viene lavorato qui) che dovrete andare a cercare nei dintorni della Stazione Centrale, magnifica porta della città dove è concentrata la maggior parte dei negozi di questo genere.

Ma lo splendore di Anversa non si limita a questa pietra preziosa che solo in pochi si possono permettere. E’ infatti lo splendore dei quadri seicenteschi di Rubens che attira in città la maggior parte dei visitatori, i quali si recheranno nella sua casa o nella Cattedrale di Nostra Signora per ammirarne le sue opere.

Piazza Grote Markt @ Anversa

Piazza Grote Markt @ Anversa

Anversa che nasce sulle sponde della Schelda, il fiume senza ponti che rende la città uno dei principali porti europei. Nell’area del vecchio porto sorge oggi il MAS ( Museum aan de Stroom), il museo marittimo e antropologico di Anversa, costruito in stile decostruttivo e aperto al pubblico dal 2011.

Gent

La definiscono “il segreto meglio conservato d’Europa“, protetto dai profili gotici del Belfort, torre civica medievale alta 95 metri, delle Chiese di San Nicola e di San Michele , della Cattedrale di San Bavone, dove è conservato il “Polittico dell’Agnello Mistico” dei Van Eyck, capolavoro della pittura fiamminga, fino al Castello dei Conti, che scruta i vicoli del Patershol, antico quartiere medievale ora ricco di ristoranti e graziosi negozietti.

Un magnifico skyline medievale perfettamente godibile dalle rive Graslei (“Riva delle Erbe”) e Korenlei (“Riva del Grano”), dove si susseguono le secolari facciate delle gilde. Comprese fra il Grasbrug, “Ponte delle Erbe”, ed il Sint-Michielsbrug, “Ponte di San Michele”, entrambe le rive costituivano infatti il vero nucleo commerciale della città, svolgendo le funzioni di porto d’attracco e carico e scarico delle merci destinate ai mercati del centro città.

Riva delle Erbe

Riva delle Erbe

Io purtroppo non l’ho mai vista di sera ma dicono che Gent mostri il suo splendore soprattutto al buio, quando l’accurato piano di illuminazione creerebbe un percorso mozzafiato tra i ponti e tra le case che riflettendosi nell’acqua darebbero vita ad un paesaggio da favola…

Bruges

Ultima località in questo veloce giro delle Fiandre ma non certo l’ultima in ordine di bellezza, è la romantica città di Bruges, una piccola Venezia del Nord, dove perdersi tra le boutique di cioccolato e quelle di merletti, le due tradizioni della città.

Dal silenzio del beghinaggio Ten Wijngaerde, attraversando una serie di pittoreschi ponti medievali e camminando sui ciottoli delle incantevoli stradine perfettamente conservate, si passa alla vivacità delle piazze Burg e Markt, dove ogni edificio racconta la storia di una gilda o di qualche evento cittadino.

Camminando per le strade di Bruge

Camminando per le strade di Bruge

A proposito, non sapete cosa sono i beghinaggi? Si tratta di oasi di pace, di piccole città autosufficienti dove le beghine, donne che vivevano da sole, vedove o non maritate, si dedicavano alla preghiera e alle opere di bene senza aver preso i voti. Le beghine del beghinaggio di Bruges hanno oggi lasciato il posto alle suore benedettine.

Begijnhof

Begijnhof  Ten Wijngaerde

Buon viaggio allora tra le meraviglie di questa regione – le Fiandre – che conserva i suoi tesori nello scrigno della modestia dei suoi abitanti  e dove la definizione di bello sembra sempre essere riduttiva davanti agli occhi dei suoi scopritori!

Bandiera delle Fiandre

Bandiera delle Fiandre

Charminar vista dal piazzale della moschea

Hyderabad: 5 buoni motivi per visitarla

Hyderabad: 5 buoni motivi per visitarla 2135 1584 Sonia Sgarella

Avete mai sentito parlare di Hyderabad? No, non mi riferisco a quella popolosa città del Pakistan che sorge sulle sponde del fiume Indo, nella provincia del Sindh, bensì ad una città ancor più popolosa dell’India, la settima metropoli indiana in ordine di grandezza, che oggi costituisce la capitale di ben due stati: Andhra Pradesh e Telangana, tra i meno esplorati della nazione.

La città, di forte stampo islamico – come si intende già dalla lettura del nome ( -abad è un suffisso di origine persiana che significa “città” e che in India definisce generalmente l’eredità di governi musulmani) – venne fondata nel 1589 dal sultano Muhammad Quli Qutb Shah, il quinto sultano della dinastia Qutb Shahi di Golkonda.

1- Forte di Golkonda

Comincio quindi subito con l’introdurvi al primo buon motivo per visitare Hyderabad e che sorge esattamente sul fianco della collina di Golkonda (Golla Konda = “collina del pastore”). Trattasi delle rovine di una fortezza immensa, fondata nel X secolo dalla dinastia hindu dei Kakatiya ma passata prontamente, già nel XIV secolo, nelle mani del Sultanato Bahmanide il quale dividendosi, nei primi anni del 1500, diede vita a cinque sultanati minori: Bijapur, Golconda, Ahmednagar, Bidar e Berar.

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L’ingresso al forte avviene dal lato est, tramite la porta Bala Hissar, che già esprime, nella sua splendida decorazione, la grandezza passata di questo luogo, un eccellente esempio di architettura militare, dotato di un altrettanto brillante sistema di allarme che permetteva ai suoni di diffondersi fino ad un chilometro di distanza, dall’ingresso alla cima della collina, da dove il sultano era solito contemplare orgoglioso il suo dominio.

Forte di Golkonda

Forte di Golkonda

Una terra ricca di vegetazione che nasconde nel sottosuolo un segreto ancor più prezioso: la ricchezza e la potenza delle dinastie che regnarono sulla zona si fondarono infatti in buona parte sul commercio di pietre preziose, specialmente di diamanti: il Koh-i-noor, il Regent, l’Hope o il Princie Diamond, per citarne solo alcuni tra i più famosi della storia, provenivano infatti dalle miniere di Golkonda che furono, fino alla scoperta di quelle brasiliane e sudafricane, in pratica le uniche al mondo.

2- Tombe dei Qutb Shahi

Situate a meno di 2 chilometri dal Forte di Golkonda, in un parco tranquillo e poco frequentato, sorgono le tombe di alcuni sultani della dinastia Qutb Shahi che regnò dal 1518 al 1687, prima da Golkonda e poi da Hyderabad. La più maestosa tra queste sepolture – ognuna costruita su una base rialzata, dotata di una grande cupola a bulbo, archi finemente scolpiti, iscrizioni e resti di brillanti decorazioni – è la tomba di Muhammad Quli Qutb Shah, quinto sultano della dinastia, poeta, intellettuale e fondatore di Hyderabad, indissolubilmente associato anche a una delle più celebri storie romantiche indiane per il profondo amore che, secondo la tradizione, lo legò tutta la vita alla moglie hindu Bhagmati.

Tomba del sultano Muhammad Qutb Shah

Tomba del sultano Muhammad Qutb Shah

Riflessi

Riflessi

3- Charminar

Grandiosa struttura a “quattro minareti” (charminar) costruita nel 1591 dallo stesso Muhammad Quli Qutb Shah che fondò la città. Conosciuto come il simbolo della capitale, sembra che questa originale versione di un arco di trionfo venne commissionata dal sovrano per commemorare la fine di un’epidemia di peste diffusasi nello stato. Alto circa 56 metri e a pianta quadrata, il Charminar si trova collocato all’incrocio di alcune importanti arterie commerciali: da non perdere il Laad Bazaar, un antico mercato, famoso per la produzione di bangles, coloratissimi bracciali tanto amati dalle donne indiane.

Charminar

Charminar

Vista dal Charminar

Vista dal Charminar

4- Mecca Masjid

La costruzione di questa moschea, una tra le più grandi dell’India, capace di ospitare al suo interno circa 10.000 fedeli, fu cominciata ai tempi di Muhammad Quli Qutb Shah ma venne terminata solo sotto il governo dell’imperatore Mughal Aurangzeb che conquistò la città nel 1687. Situata nei pressi immediati del Charminar, la moschea si affaccia su un vasto cortile rettangolare dove, all’interno di una lunga galleria, sono ospitate le tombe dei Nizam (“governatori del regno”) appartenenti alla dinastia degli Asaf Jah che governò sullo Stato di Hyderabad dal 1724 al 1948, subito dopo il declino del potere Mughal.

Moschea vista dal Charminar

Moschea vista dal Charminar

Mecca Masjid - Galleria delle tombe

Mecca Masjid – Galleria delle tombe dei Nizam

5- Chowmahalla Palace

Fu la residenza ufficiale dei Nizam di Hyderabad, costruito ispirandosi allo stile del Palazzo dello Shah di Tehran. Unico per eleganza, il palazzo venne costruito a partire dalla fine del XVIII secolo per essere terminato solo dopo la metà del secolo successivo. causando la sovrapposizione e l’accostamento di stili architettonici diversi.

Interno del Chowmallah Palace

Interno del Chowmallah Palace

 

 

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La Lubiana di Plečnik

La Lubiana di Plečnik 2560 1920 Sonia Sgarella

“Evviva tutti i popoli
che anelano al giorno in cui ovunque splenda il sole,
non ci saranno più odio né guerre,
ognuno sarà libero,
amico e non ostile vicino”
(Inno sloveno)

Quel giorno arrivò il 25 giugno 1991 quando l’attuale Repubblica di Slovenia dichiarò l’indipendenza dalla Jugoslavia ottenendo il riconoscimento della propria sovranità.

Sul suo territorio, concentrato in un ambiente prevalentemente montuoso e carsico, nel corso della storia si sono riversate decine di popolazioni euro-asiatiche che trovavano nello stretto passaggio della pianura alluvionale di Lubiana la più immediata via di accesso ai territori confinanti. Come un imbuto, la moderna capitale del paese, tale sin dall’indipendenza, ha visto sfilare in successione Veneti, Celti, Romani, eserciti di Unni guidati da Attila, Ostrogoti e Longobardi, seguiti ancora da Franchi e  Austriaci, genti che ne hanno fortemente influenzato la storia.

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Ma dal 1921 a Lubiana, il cui nome potrebbe voler dire appunto “palude”, è stata regalata  una personalità rinnovata, riflesso delle mire artistiche di colui che l’ha disegnata come nuova capitale degli sloveni in un mondo moderno: Joze Plečnik (1872-1957), nato in Slovenia ma figlio della formazione austriaca viennese, dove studiò presso la Spezialschule für Architektur di Otto Wagner, con il quale aderì alla Secessione

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Rientrato in patria quindi, dopo lunghi soggiorni a Praga e Belgrado, impiegò i successivi trent’anni della sua carriera per ridare vita a Lubiana stessa dove lavorò in qualità di professore universitario. L’architetto sloveno ne ha concepito uno spirito nuovo nel tentativo di  esprimere il sentimento di orgoglio del suo popolo per le proprie radici. Ha poi modellato il pensiero e ne ha edificato una città a misura d’uomo dove ci si potesse riposare, guardarsi intorno, in quell’atmosfera mitteleuropea calma e sognante che qui si mischia con quella mediterranea, sciolta e vivace.

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Una città vitale, animata da giovani artisti e studenti universitari che popolano giorno e notte le sue strade e i suoi caffè, sulle sponde di quel fiume (Ljubljanica) che scorre incerto in entrambe le direzioni, quasi a non volersene andare da quel piccolo villaggio fiabesco che costituisce oggi la più piccola capitale europea.

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Ed è proprio sulle sponde del suo fiume e attraverso i suoi ponti che deve svolgersi la visita di questa città per comprendere meglio l’importanza che Plečnik ha voluto dare all’elemento acquatico altrimenti sottovalutato. Egli ha infatti dedicato tutto il suo potere creativo alla sistemazione delle sponde della Ljubljanica permettendo così ai Lubianesi di entrarci in contatto, per poterne godere maggiormente. Sembrerebbe che guardarne scorrere l’acqua sia un ottimo supporto alla meditazione e che con essa se ne vadano anche tutti i problemi. Il Ponte dei Draghi, il Triplice Ponte, quello dei macellai e dei calzolai; lungo le sponde della Ljubljanica si svolge oggi tutta la vita cittadina.

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Il Drago è il simbolo di Lubiana: secondo la leggenda, Lubiana sarebbe stata fondata dal mitologico eroe greco Giasone il quale aveva rubato il Vello d’oro al Re Aites e che scappò in seguto con gli Argonauti, sulla barca Argo, attraverso il Mar Nero e i fiumi Danubio e Sava, fino al  Ljubljanica.
Lì gli argonauti smontarono la nave e la portarono fino all’Adriatico, dove di nuovo la assemblarono per ritornare in Grecia. Sulla loro strada per il mare, alla sorgente del fiume Ljubljanica, si fermarono presso un grande lago/palude, casa di un grande mostro.  Giasone si scontrò con lui, lo  sconfisse e lo uccise. Il mostro sarebbe  stato il drago di Lubiana, oggi presente sullo stemma della città.
Times Square

Dieci ore a New York: amore a prima vista!

Dieci ore a New York: amore a prima vista! 1280 960 Sonia Sgarella

E’ ufficiale: uscire dall’aeroporto si può, uscire dall’aeroporto si deve!

Nonostante gli Stati Uniti non siano certo i più tolleranti in termini di politiche di immigrazione, uscire dall’aeroporto JFK di New York e andare a farsi un giro per la città mentre si è in scalo è molto più semplice di quanto possiate immaginare. Tutto quello di cui avrete bisogno saranno un’autorizzazione ESTA e circa dieci ore, per potervi garantire un breve ma intenso assaggio di questa elettrizzante metropoli americana.

Non lasciatevi dunque prendere dall’ansia e toglietevi dalla testa che dieci ore in aeroporto non siano poi così tante…sono un’eternità! Credetemi, il JFK non ha nulla di interessante da offrire, anzi, è forse più squallido di tanti altri aeroporti.

Limitatevi dunque a seguire queste poche ma fondamentali istruzioni e vedrete che tutto filerà liscio e che mai come in questa occasione, tornerete soddisfatti di essere riusciti ad ottimizzare il vostro tempo e, oltretutto, al minino costo!

Il modulo ESTA (Electonic System for Travel Authorization), facilmente compilabile online al seguente link, attraverso il pagamento di un’imposta amministrativa di soli 14 dollari vi permetterà di viaggiare negli Stati Uniti senza visto turistico. Ha una durata di due anni a partire dalla data di emissione e può essere riutilizzato per altri viaggi negli Stati Uniti.

Indipendentemente dalla compagnia aerea con cui state volando ricordatevi che a New York è obbligatorio, anche in caso di scalo, provvedere al riconoscimento del bagaglio da stiva, il quale dovrà essere ritirato e quindi riconsegnato.

Dirigetevi dunque al deposito bagagli (Baggage Storage) più vicino e lasciatelo in custodia. Ne troverete uno presso gli arrivi del Terminal 1, aperto dalle 7 alle 23 e uno presso gli arrivi del Terminal 4, aperto 24 ore. Il costo dipenderà dalla dimensione della vostra valigia ma sarà comunque compreso tra i 4 e i 16 dollari (io per il mio zaino ne ho pagati 8). Il pagamento viene richiesto in fase di ritiro.

Se non avete con voi dei dollari prelevateli e per avere un’idea di quanto vi servirà continuate a leggere l’articolo.

Seguite ora le indicazioni per l’Airtrain, il treno di superficie automatico che collega i terminal dell’aeroporto tra di loro e con le fermate della metro Jamaica-Sutphin Blvd e Howard Beach. Seguite in direzione di Howard Beach. Il costo  di 5 dollari a tratta dell’Airtrain dovrà essere pagato direttamente alla stazione della metropolitana dove troverete le apposite macchinette automatiche.

Se non siete mai stati a New York, sempre alle macchinette, dovrete acquistare la Metro Card al costo di 1 dollaro e ricaricarla di quanto vi servirà per gli spostamenti in città più i 10 dollari per andata e ritorno sull’Airtrain. Una corsa singola in metropolitana fino a Manhattan vale 2,5 dollari quindi il vostro conto totale dovrebbe ammontare a 16 dollari (10 per a/r con l’Airtrain + 5 per a/r in metro + 1 per la Metro Card).

Metro Card New York

Metro Card New York

Bene, recuperate presso gli sportelli una mappa della metropolitana e quindi partite: Linea A con destino a Chambers St. Il viaggio in tutto durerà circa un’ora e un quarto ma finalmente sarete arrivati nella Lower Manhattan, a due passi dal sito del World Trade Center! Camminando in direzione sud lungo la Church St. e quindi girando a destra in Liberty St giungerete infatti al 9/11 Memorial, esattamente nel luogo in cui un tempo sorgevano le Torri Gemelle.

9/11 Memorial @ World Trade Centre

9/11 Memorial @ World Trade Centre

Due piscine di 4000 metri quadrati ciascuna che formano le più grandi cascate artificiali degli Stati Uniti. Un luogo carico di significato, tributo alle quasi 3000 vittime dell’attentato del 2001 i cui nomi sono inscritti nei pannelli di bronzo ai bordi delle piscine stesse; un richiamo fortissimo all’immensa perdita di vite umane; un luogo di riflessione dove il rumore della città viene soffocato da quello dell’acqua scrosciante che cade nel vuoto perché nient’altro che vuoto è ciò che hanno lasciato gli attacchi terroristici.

9/11 Memorial @ World Trade Centre

9/11 Memorial @ World Trade Centre

Non lasciate però che il messaggio trasmesso dal Memoriale vi faccia passare la fame perché, proprio li vicino a voi, tornando sulla Liberty St., troverete un’istituzione in campo culinario: è l’ Essex World Cafè, un luogo tanto squallido quanto interessante dove fare colazione o pranzare! Non c’è tempo da perdere qua dentro e gli addetti ai lavori dietro al bancone ve lo faranno bene intendere incitandovi a muovervi ad ordinare mentre voi, confusi all’ennesima potenza, gli chiederete la prima cosa che vi capiterà sott’occhio! Comunque vada, alla fine avrete speso a dir tanto 10 dollari. 🙂

Ora, a meno che non vogliate utilizzare un’ora del vostro tempo per salire su un battello diretto verso la Statua della Libertà e ammirarla da vicino (da lontano non ha proprio senso), direi che potete procedere tranquillamente verso il Ponte di Brooklyn. Scendete lungo la Broadway passando per la Trinity Church che, inaugurata nel 1846, è stata – difficile da immaginare – l’edificio più alto di New York fino al 1890, nonchè il più antico edificio religioso.

Arrivate quindi fino al Charging Bull, il discusso Toro di Wall Street, opera scultorea di Arturo di Modica, un’artista siciliano che, senza preventiva autorizzazione delle amministrazioni pubbliche, la installò di fronte alla sede della borsa nel 1989, luogo da cui non è tuttavia mai stata rimossa. La scultura, simbolo del capitalismo americano è ormai considerata un monumento in esposizione permanente.

Toro di Wall Street (Charging Bull)

Toro di Wall Street (Charging Bull)

Proseguite dunque lungo Wall Street fino a raggiungere l’East River e, da lì, ammirate in tutta la sua imponenza, il famoso Brooklyn Bridge, il primo ponte costruito in acciaio e, per lungo tempo, il ponte sospeso più lungo al mondo.

Ritornate ora verso l’interno e continuate in direzione nord fino a Chinatown, il paradiso delle imitazioni! Tranquilli, non avete cambiato città, siete ancora a New York ma è vero, vi sembrerà di essere stati catapultati in una metropoli asiatica. Perdetevi tra le sue strade, osservate la gente, gli edifici, l’infinità di insegne che addobbano le facciate dei palazzi.

Chinatown

Chinatown

Continuate a camminare fino a che raggiungerete Little Italy. Per noi italiani che non abbiamo colonie oltreoceano, ritrovarsi immersi in un quartiere dove si parla la nostra lingua e dove si mangia il nostro cibo, trovo che sia un’esperienza tra le più interessanti. Parlate con la gente, ascoltate la loro storia e percepitene quel forte patriottismo che difficilmente troverete tornando a casa…

Potreste ora attraversare anche Soho oppure, visto che il tempo comincia a stringere, saltate su un taxi giallo e fatevi portare verso il centro pulsante della città, sotto l’Empire State Building che, con i suoi 443 metri, è stato fino al 1967 il grattacielo più alto del mondo.  Per circa 20 dollari siete dunque arrivati all’incrocio tra la West 34th St. e la 5th Avenue.

Empire State Building

Empire State Building

Proseguite ora fino alla 7th Avenue e, continuando verso nord fino alla 42nd St., giungerete finalmente a Times Square, icona paesaggistica e simbolo della città, nota soprattutto per i grandi e numerosi cartelloni pubblicitari che ricoprono le facciate degli edifici fino alla 47th St.

Times Square

Times Square

Times Square

Times Square

Girando a destra sulla 48th St. potrete facilmente raggiungere il Rockfeller Centre e da lì, proseguendo di nuovo lungo la 5th Ave in direzione nord, Central Park. Sfruttate quindi il tempo che vi rimane per godervi il polmone verde della città prima di fare ritorno alla stazione della Linea E più vicina. Da qui prendete il primo treno con destinazione Jamaica e scendete a Sutphin Blvd per la connessione con l’Airtrain e fate ritorno all’aeroporto in tempo per il vostro volo.

Visto che non era poi così difficile? Siate soddisfatti: in questo modo avrete messo le basi per la vostra prossima visita che certamente durerà più a lungo. E’ sicuro infatti che dieci ore vi saranno bastate per innamorarvi di questa elettrizzante metropoli americana, tanto da volerci tornare al più presto!

Kerala style: se questa è l’India…

Kerala style: se questa è l’India… 1920 1296 Sonia Sgarella

Non c’è ombra di mucche sulla spiaggia, niente clacson, niente rumore, solo quello delle onde del mare. Dov’è finito il cibo piccante? E il coriandolo infestante? Dov’è finita la confusione? Che fine ha fatto la sana devozione?

Varkala Beach

Varkala Beach

Devo proprio dirvelo, è rimasto ben poco di tutto questo nel gettonatissimo stato del Kerala, nel sud dell’India. Per anni mi sono rifiutata di frequentare quella che, nel mio immaginario, corrispondeva all’idea di “India meno India”: le ex colonie di stampo occidentale, le patrie del cosiddetto circuito hippie, le località frequentate dal turismo di massa o da quello d’elite. Inconsciamente già sapevo che ne sarei rimasta probabilmente delusa, sconcertata, in alcuni casi addirittura disgustata…

Ebbene quest’anno, dopo averne sentito tanto parlare, ho pensato che fosse per me giunto il momento di andare a visitare questi luoghi, di passarli in rassegna uno ad uno, per potermene finalmente fare un’opinione.

Luoghi – devo ammetterlo – certamente piacevoli, alla portata di tutti, dove rilassarsi, dove incontrare altri viaggiatori, dove recuperare le forze con del cibo “continentale” dopo che il vostro stomaco vi ha fatto patire le pene dell’inferno; oasi di piacere dove, dopo infinite peregrinazioni forzatamente “alcool free”, potrete finalmente scolarvi quella benedetta birra gelata che state sognando da settimane; luoghi dove – e anche questo non lo nascondo – incontrerete panorami mozzafiato e albe o tramonti indimenticabili che da soli varranno il viaggio…

Tramonto a Varkala Beach

Tramonto a Varkala Beach

Alba sulle Backwaters

Alba sulle Backwaters

Tramonto sulle Backwaters

Tramonto sulle Backwaters

…tuttavia, mi chiedo io: che senso ha andare in India per rimanere segregati in dei mondi che con il resto del paese non hanno niente a che fare, dove tutto è nella norma, una norma banalmente occidentale? Partire da Goa, giungere a Varkala e poi a Kovalam passando da una houseboat sulle Backwaters del Kerala e sostenere di essere stati in India è un po’ come rinchiudersi in un villaggio turistico a Sharm el Sheik, fare un’escursione in cammello nel deserto e sostenere di aver visto l’Egitto. Un po’ riduttivo, non credete?

Se questa è l’India allora potrei dirvi che quel paese incredibile che io ho visitato per anni si trova altrove ma la verità è diversa: l’India è più di una e purtroppo o per fortuna anche questa lo è.

Né più né meno, l’India vera è quella da cui siamo maggiormente attratti… e da cui siamo disposti ad imparare qualcosa! 

Partite dunque, nessuno vi dice di saltare il Kerala. Anzi, non fatelo, ma ricordatevi che in India c’è molto di più da scoprire!

 

 

Cartagena de Indias, una regina muy linda

Cartagena de Indias, una regina muy linda 1915 1276 Sonia Sgarella

“Mi  bastò una passeggiata dentro le sue mura per vederla in tutta la sua grandezza, nella luce color malva del tramonto, e non fui capace di reprimere il sentimento di rinascita”. (Gabriel García Márquez)

Una città magica e leggendaria: cosí appare Cartagena de Indias, la regina indiscussa della costa caraibica. Fondata nel 1533 dallo spagnolo Pedro de Heredia e battezzata con l’appellativo “di Ponente”- per differenziarla da quella “di Levante”, affacciata sul Mar Mediterraneo nella Regione di Murcia – Cartagena è da sempre uno dei centri turistici più frequentati di tutta la Colombia.

Antica e meravigliosamente conservata all´interno di un´imponente cerchia di mura risalente al periodo coloniale, Cartagena, con le sue balconate decorate di bouganville, il labirinto di vicoli acciottolati, le splendide piazze e le imponenti chiese vi riporterà con la mente in un tempo lontano, regale e fiabesco, scenario di ripetuti assedi ma anche e soprattutto di vicende romantiche e leggende di ogni tipo.

Senza niente da invidiare ad altre città coloniali del Sud America, Cartagena fu in passato il più importante baluardo dell´impero spagnolo d´oltre mare ed è proprio a questo periodo che deve la maggior parte del suo patrimonio artistico e culturale, oggi incluso tra i beni dell’Umanità dall´Unesco. Passeggiare senza meta dentro e fuori le mura è il modo migliore per assaporarne l´atmosfera rilassata e sensuale, cercando di lasciarvi sedurre per sempre!

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Un consiglio per la visita: non dedicare abbastanza tempo alla “città fortificata” (ciudad amurallada), sia di giorno che di sera – quando le luci dei lampioni le regalano un´atmosfera ancor più suggestiva – sarebbe sbagliatissimo ma non dimenticatevi che ciò che vi circonda è pur sempre un mondo ricostruito a misura di turista, a discapito di quella che fu, un tempo, la vera essenza della città, fatta di tradizioni e caratterizzata dallo stile di vita dei suoi abitanti.

Se siete in cerca della Cartagena popolare, di quella “negra” che ha dato vita alla storia di questa città, che le ha dato sapore, suoni e colori , dirigetevi allora fuori dalle mura, nel quartiere conosciuto con il nome di Getsemaní, dove la popolazione nativa fu ricollocata per dar spazio, nel centro storico, a ristoranti esclusivi, hotel di lusso e bar gestiti da stranieri.

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Per lungo tempo la zona di Getsemaní è stata considerata come un barrio da evitare, in quanto povero e malfamato, fino a che, negli ultimi anni, grazie all´impegno dei suoi abitanti, si è trasformato invece in un quartiere alternativo, dove riscoprire la vivacità della vita caribeña. Ben lontano dall´esclusività e dal lusso della ciudad amuralladaGetsemaní ha infatti finito con l´attrarre un altro tipo di viaggiatori, di quelli che si accontentano di un ambiente meno formale ma con il vantaggio di avvicinarsi alla gente del posto e alle sue tradizioni.

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Esiste dunque più di un buon motivo per visitare questa perla colombiana dal fascino incredibile: non solo la città stessa vi offrirà infatti dei piacevoli momenti indimenticabili ma anche i dintorni saranno capaci di lasciarvi incantati dalla loro bellezza. E´questo il caso delle vicine Isole del Rosario, il luogo ideale dove prendervi una tregua dal caldo e dall´umidità, a volte davvero opprimenti.

Se non vi piace però l´idea di raggiungere le isole in barca (sappiate che il mare colombiano a volte può mettere davvero a dura prova il vostro stomaco!), una valida alternativa, raggiungibile  con pullman turistici direttamente dal centro città,  è la meravigliosa, seppur abbastanza affollata, Playa Blanca, situata sull´Isola de Barú, a soli 45 minuti da Cartagena.

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Dove mangiare: certamente non uno dei più economici ma nel Ristorante “La Casa de Socorro” potrete degustare ottimi piatti di pesce e i migliori patacones con suero costeño (platano fritto con crema di latte) della città!

Don’t worry, be Hampi!

Don’t worry, be Hampi! 960 960 Sonia Sgarella

Due fratelli, Harihara e Bukka, la benedizione di un santo, Vidyaranya, la vicinanza di un fiume, il Tungabhadra, la particolare conformazione del territorio: sono questi gli elementi che permisero la nascita di una delle più ricche e grandiose città dell’Asia, Vijayanagara, la “città della vittoria”.

Fondata nel 1336 nel luogo in cui già era diffusa la devozione a Shiva e Vishnu, la città, oggi conosciuta come Hampi, rimase abitata per soli 200 anni, periodo in cui tuttavia si successero almeno una quarantina di sovrani appartenenti a quattro dinastie diverse, conosciute come Sangama, Saluva, Tuluva e Aravidu. Ognuno di questi sovrani si insignì del titolo di Raya (dal sanscrito Raja, re) dando seguito all’impero che prese il nome dalla città stessa e che si espanse a tal punto da includere la quasi totalità dell’India meridionale.

Molti furono i viaggiatori arabi ed europei che la descrissero come una bellezza “tale che la pupilla di nessun occhio poteva aver visto qualcosa di simile al mondo” e ancora di più coloro che ne esaltarono la grandezza. Domingo Paes, viaggiatore portoghese del XV secolo scrisse per esempio: ” città infinita, la cui grandiosità non si può dire perché non può essere vista nella sua interezza, perché anche salendo sulle colline più alte, la città continua e non se ne vede la fine”

Eterna come Roma, immersa nell´antichità di un paesaggio prestorico, surreale, a tratti apocalittico e che non ci si spiega; capace di lasciare l´uomo stupefatto, incantato, ammutolito, quasi a credere che davvero tanta bellezza possa essere stata solo opera divina.

Hampi deve essere vista dall’alto, all´alba, al tramonto o a qualunque ora del giorno: solo cosi potrete infatti apprezzarne al massimo la bellezza e l´estensione, rivivere la storia immaginando la vivacità dei suoi bazar quando ancora qui si commerciava di tutto e fantasticando sul chi possa aver abitato quei templi che si estendono a perdita d´occhio. Forse, da qualche parte, nascosto tra quelle rocce antiche, vive ancora qualche essere illumuinato, custode di tradizioni millenarie…

Eccovi dunque una lista dei punti panoramici che vi regaleranno un´esperienza davvero indimenticabile di Hampi e dintorni:

Monkey Temple : decisamente il mio luogo preferito e sicuramente il migliore da cui ammirare il sorgere del sole. Situato dall´altra parte del fiume nel punto in cui – in accordo con il Ramayana – nacque Hanuman (il dio scimmia fedele aiutante di Rama nelle sue peripezie contro il demone Ravana), il tempio puo´ essere raggiunto dal fondo valle attraverso una scalinata di oltre 500 gradini. Occhio alle scimmie!

Monkey Temple

Monkey Temple presso Anjanadri Hill

Monkey Temple

Monkey Temple presso Anjanadri Hill

Sunset Point: se volete che il vostro tramonto venga accompagnato dalla musica dei “fricchettoni” che popolano l’altra parte del fiume allora questo e´ il posto che fa per voi. La vista sui campi di riso e´forse la più spettacolare e raggiungerlo richiede solo un piccolo sforzo: dall´attracco delle barche proseguite sempre dritto fino a che troverete la folla.

Sunset Point in Virupapur Gaddi

Sunset Point in Virupapur Gaddi

Vishnu Temple: prendendo una deviazione nei campi a sinistra appena prima di raggiungere il sunset point e proseguendo tra le rocce innalzandovi non di molto, raggiungerete questo piccolo tempio dedicato a Vishnu, ben visibile anche dalla strada principale di Virupapur Gaddi. Frequentato da poche persone vi regalerà un tramonto all’insegna della pace dei sensi. Portatevi una torcia per il ritorno e fate attenzione a non perdervi!

Vishnu Temple a Virupapur Gaddi

Vishnu Temple a Virupapur Gaddi

Durga Temple: sulla strada che porta ad Anegundi – l´antica Kishkinda secondo il Ramayana – e passato il tempio di Hanuman, sulla destra troverete le indicazioni per questo autentico santuario della fede shakta (dedicato alla Dea). Passate sotto l´arco che ne segna la porta d´accesso e quindi, risalito il versante della collina, prendete le scale che vi condurranno all´ingresso. Proseguite oltre la cella del tempio, verso la cucina e quindi inoltratevi tra la vegetazione: qui, attraversato l´antico portale della fortificazione, troverete il sentiero che vi condurrà ad un favoloso punto panoramico da cui potrete scattare delle foto meravigliose al sottostante Lakhsmi Temple, alla Anjanadri Hill e al fiume Tungabhadra. In lontananza la sagoma del Vithala Temple, il meglio conservato di tutta Hampi.

Durga Temple

Durga Temple – Vista del Lakshmi Temple e dell´Hanuman Temple

Durga Temple

Durga Temple – Vista del Tungabhadra River

Hemakuta Hill: alle spalle del Virupaksha Temple, il tempio principale di Hampi, si estende la collina Hemakuta, cosparsa di rovine archeologiche. Trattasi del miglior punto panoramico dal quale ammirare il tempio cittadino in tutta la sua interezza. Ricordatevi che, se state alloggiando dall´altra parte del fiume, l´ultima barca a motore parte alle 17.30. Passato l´orario potrete comunque servirvi delle “coracle boat”, delle sorte di cesti rotondi galleggianti che vi riporteranno a casa al costo di 50 rupie.

Hampi

Hemakuta Hill – Vista sul Virupaksha Temple

Matanga Hill: anch´essa situata dalla parte di Hampi Bazar, e´in assoluto la collina più alta della zona da cui ammirare il tramonto. Qui, uno spettacolare panorama a 360 gradi sarà la vostra ricompensa per lo sforzo sostenuto a raggiungerne la cima!

Matanga Hill

Matanga Hill – Vista sull´Achyutaraya Mandir

Matanga Hill

Matanga Hill

Davvero non basta una settimana per godere dell’immenso patrimonio che ancora sopravvive ad Hampi: il Virupaksha, il Vithala e l’Achyutaraya Mandir e ancora il recinto reale, il Monkey Temple, la stupefacente bellezza del paesaggio, l’incanto delle albe e dei tramonti, la pace tra i campi di riso, il lago, la cascata…fermatevi il più possibile per assaporarne tutta la magia! Be happy in Hampi!!!

"The Chariot" @ Vithala Temple

“The Chariot” @ Vithala Temple

Mysore e dintorni: luoghi e culture

Mysore e dintorni: luoghi e culture 2000 1333 Sonia Sgarella

Se c’è una città dell’India che riassume in sè perfettamente l’idea di “mercato”, questa, signori, e’ certamente Mysore: tessuti di seta, legno di sandalo, incenso, essenze, frutta, ghirlande di fiori e verdura sono solo alcuni dei prodotti che vengono commerciati ovunque per le sue strade, nei suoi negozi e mercati, in un contesto tanto antico quanto moderno ma non per questo meno autentico. Assolutamente niente di turistico: a Mysore sono infatti gli indiani stessi i protagonisti di quello scambio frenetico che concede alla città  solo poche ore di sonno e, così, puntualmente tutti i giorni dell’anno.

Imperdibile è l’appuntamento con il Devaraja Market, esempio perfetto di un mercato tradizionale indiano, carico di colori sgargianti, profumi inebrianti, chiasso e confusione. Percorretelo da cima a fondo senza tralasciare le vie adiacenti, assaporatene la bellezza, la vivacità e con questo lasciatevi trasportare indietro nella storia, quando Mahishūru era ancora un piccolo villaggio, governato dalla famiglia Wodeyar, allora alle dipendenze del grandioso impero Vijaianagara.

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Correva l’anno 1565 quando, con il declino di quest’ultimo, il Regno di Mysore cominciò ad acquisire gradualmente quell’indipendenza che la portò, nel 1637, ad ottenere il titolo di stato sovrano e fu l’isola di Srirangapatna ad essere scelta come capitale del regno, strappata senza indugio ad altri vassalli dell’impero.

Situata a soli 15 chilometri da Mysore, Srirangapatna e’ completamente circondata dalle acque del fiume Kaveri che proprio in questo punto dà origine alla sua prima isola (Adi Ranga). Dal Devaraja Market spostatevi quindi al City Bus Stand (fermata degli autobus locali) e salite sull’autobus 313 il quale, in circa mezz’ora e al costo di 30 rupie, vi porterà esattaemente all’ingresso del tempio che dà nome all’isola stessa.

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Si tratta del Ranganathaswami Temple, dedicato a Vishnu che dorme sulle spire del serpente cosmico. Il tempio venne fondato nel corso del IX secolo dalla dinastia dei Ganga Occidentali i quali, alleatisi prima con i Chalukya di Badami e poi con i Rashtrakuta, riuscirono a mantere la propria influenza sulla regione circostante dal 350 fino al 1000 d.c. circa. Ampliato al tempo degli Hoysala e successivamente sotto il governo Vijayanagara, si tratta di uno dei cosiddetti Pancharanga Kshetrams, luoghi di pellegrinaggio dedicati a tale manifestazione della divinità.

Racconta la storia che Vishnu Ranganatha venisse venerato anche dal controverso Tipu Sultan, meglio conosciuto come la Tigre di Mysore. Tipu Sultan ricoprì il ruolo di Sultano della città dal 1782 al 1799 e fece costruire proprio sull’isola il Daria Daulat Bagh, la sua residenza estiva. Semplice ma ricco di decorazioni e dipinti che ne ricoprono tutte le pareti interne, il palazzo, al ridicolo costo di 100 rupie, merita indubbiamente una visita. Nei suoi pressi potrete poi anche ammirare il cosiddetto Gumbaz, un mausoleo costruito in memoria del padre Hyder Ali ma destinato ad ospitare anche le sue spoglie mortali.

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Ma ritornando ai templi, vi è un altro luogo di pellegrinaggio della fede hindu che potrete visitare partendo da Mysore ed è il Tempio Chamundeshvari, arroccato sulla cima della Chamundi Hill, sovrastante la città ad un altezza di circa 1000 metri. Non preoccupatevi, per i meno coraggiosi esiste una valida alternativa al percorrere a piedi gli oltre mille gradini che conducono alla sua sommità, ovvero il pullman n. 201, anch’esso in partenza dal City Bus Stand (costo 28 rupie, distanza 13 chilometri).

La Dea Chamundi, venerata per secoli dai regnanti di Mysore, fu colei che, secondo il mito, uccise il demone Mahishasura, rendendo alla città l’antico nome di Mahishūru. Chamunda, aspetto terrifico della Madre Divina, della Dea con la “d” maiuscola, conosciuta anche come Durga, deve il suo nome ai demoni Chanda e Munda che trovarono sconfitta di fronte alla sua ira.

Vuole la tradizione che il tempio rientri nella lista dei 51 Shakti Peetha, ovvero di quei luoghi sacri alla divinità femminile dove, in accordo con il mito, sarebbero cadute le parti del corpo smembrato di Sati, la prima consorte di Shiva. Centinaia di pellegrini giungono fin qua da ogni parte dell’India offrendo fiori e noci di cocco che verranno spaccate e benedette dai sacerdoti del tempio per poi essere consumate da chi le ha recate.

L’elenco delle meraviglie collegate alla fede induista non si esaurisce tuttavia qui: esiste ancora un santuario che, seppur non più attivo, bensì monumento archeologico, costituisce uno dei massimi capolavori dell’India, commissionato dalla dinastia degli Hoysala. Risalente al XIII secolo, il Tempio di Chennakeshava a Somnathpur è certamente il meglio conservato, il più raffinato e completo esempio di architettura a pianta stellata, dotato di tre celle e abbellito da splendide sculture in pietra.

Somnathpur si trova a 35 chilometri da Mysore e potrete raggiungerlo facilmente dal Main Bus Stand (stazione degli autobus a lunga percorrenza) salendo su qualunque pullman diretto a Bannur e lì cambiare mezzo per percorrere gli ultimi chilometri di meravigliosa campagna indiana. Sarà la vostra occasione per entrare in contatto con la vita rurale dell’India, una delle tante esperienze interessanti e appaganti che questo paese vi riuscirà ad offrire.

Tornati dunque a Mysore, se è domenica e sono circa le 19.00, non perdetevi assolutamente lo spettacolo più pacchiano ma al tempo stesso incantevole che la città vi possa offrire: recatevi al Palazzo Reale (anche conosciuto come Amba Vilas Palace) e aspettate che si accendano le luci…wow…”stupefacente”!

Il palazzo costituisce ancora oggi la residenza ufficiale della famiglia Wodeyar che governò il Regno di Mysore dal 1399 al 1947 (anno dell’indipendenza) con un breve intervallo tra il 1760 e il 1799, quando il controllo passò nelle mani di Hyder Ali e, in seguito, al figlio Tipu Sultan.

Elementi architettonici indo-saraceni, islamici, rajput e talora gotici, ne decorano sia le facciate esterne che gli ampi locali interni, rendendogli la fama di essere uno tra i palazzi più belli di tutta l’India, seppur di fattura abbastanza recente. La costruzione della residenza, commissionata nel 1897, venne infatti portata a termine solo nel 1912. Se non lo avete già fatto, ritornateci dunque anche di giorno – quando gli spazi interni sono aperti al pubblico – e non stupitevi se tra i visitatori troverete anche tanti monaci buddhisti.

A circa 80 chilometri da Mysore sorgono infatti alcuni insediamenti di rifugiati tibetani a cui lo stato del Karnataka ha concesso la possibilità di trasferirsi in seguito all’esilio del 1959. Nel villaggio di Bylakuppe potrete visitare il più grande centro di insegnamento di Buddhismo tibetano Nyingma al mondo. Sono oltre 5000, infatti, i monaci e le monache che qui risiedono e i quali, non appena gli viene dato il permesso di uscire, amano recarsi a Mysore per entrare a far parte della folla di consumisti sfrenati (i negozi di elettronica sono i loro preferiti!).

Meno riconoscibili sotto il profilo estetico sono invece i seguaci della fede cristiana e jainista. Per quanto riguarda questi ultimi, sempre ad una distanza di circa 80 chilometri da Mysore, a Shravanabelagola, si trova uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti per la tradizione monastica Digambara (per uno studio completo sulla fede jainista fate riferimento al testo di Paul Dundas, “Il Jainismo”).

Qui, sulla cima della collina granitica Vindyagiri, si incontra l’imponente statua di Gommateshvara Bahubali, secondo la tradizione, figlio del primo grande santo jaina (Tirthankara). Alta 17 metri e scolpita nella roccia monolitica, la statua di Bahubali venne anch’essa commissionata nel X secolo sotto il regno della dinastia dei Ganga.

Tornati di nuovo a Mysore non vi rimane dunque altro che visitare la Chiesa di Santa Philomena, costruita nel 1936 nello stile neogotico che prese ispirazione da quello della cattedrale di Colonia, in Germania.

Lo scambio a Mysore non riguarda quindi soltanto le merci: la città rappresenta un luogo di incontro e di convivenza tra le maggiori religioni dell’India, a dimostrare l’immensa tolleranza che regna sovrana in questo paese. E’ questo uno dei tanti aspetti positivi che chi continua imperterrito sulla strada del terrorismo psicologico, contribuendo a diffondere nient’altro che banalità e tragedie, dovrebbe prima valutare e quindi mettere in risalto!

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