VIAGGI CULTURA

Danza Pulikali

Onam: il festival più colorato dell’India più India

Onam: il festival più colorato dell’India più India 990 626 Sonia Sgarella

Arriva il giorno in cui, in India, gli abitanti del Kerala di ogni classe e casta, si riuniscono a celebrare il ritorno del loro grande re Mahābalī, condannato da Visnu a vivere e a governare nel regno degli inferi (pātāla), ma concessogli tuttavia di far visita ogni anno ai suoi fedeli devoti in terra.

Racconta il mito che Mahābalī, conosciuto anche come Bali o Māveli, fosse un asura, un demone, ma benevolo, educato alla pratica della verità (satya), della correttezza e della devozione dal nonno paterno Prahlada. Il suo regno era immenso e comprendeva non soltanto la terra ma anche il paradiso (svarga), strappato al controllo dei deva, la schiera degli dei governati da Indra, il più grande guerriero.

Nel suo regno dominavano pace e prosperità, non esistevano malattie né bugie, tutti gli uomini erano uguali, non vi erano caste, e Mahābalī era profondamente amato dal suo popolo. In paradiso, su consiglio del grande maestro Sukracharya, Bali si impegnò ad officiare il più importante dei sacrifici, l’Ashvameda, il sacrificio del cavallo, per potersi garantire il mantenimento del controllo sui tre mondi (Bhur, Buvah, Svah = Terra, Atmosfera, Cielo).

Qui promise che, durante il periodo sacrificale, si sarebbe impegnato a soddisfare qualunque richiesta ricevuta dai propri sudditi. Approfittando di questa dichiarazione, Visnu, sotto forma di Vamana, un nano brahmano, si presentò al cospetto del re. Venne accolto con tutti gli onori, ripetutagli la disponibilità a soddisfare ogni suo desiderio. <<Non ti chiedo grandi cose>> disse Vamana, <<solo di poter avere tanta terra quanta io ne riesca a coprire con tre dei miei passi>>.

Sukracharya, il grande guru in grado di vedere il futuro, cercò di dissuadere Mahābalī dall’acconsentire alla richiesta, in quanto a conoscenza della vera natura di quel piccolo brahmano. Comunicò al discepolo la ragione della sua visita ma il re Bali, determinato ad onorare la sua promessa, non si fece convincere.

Vamana, da piccolo che era, diventò un gigante. Con un primo passo coprì la terra e con il secondo arrivò fino al cielo. Non avendo più altro da offrire Mahābalī, grande devoto, chiese a Vamana di compiere il terzo passo sulla sua testa e così Visnu lo spinse giù nel mondo degli inferi, fino al regno di Sutala. Qui avrebbe potuto governare e solo una volta all’anno, come premio per la sua immensa devozione e onestà, avrebbe potuto fare visita ai suoi fedeli in terra.

Vamana

Vamana

Quel giorno in Kerala cadeva quest’anno il 7 settembre, all’inizio del mese di Chingam, il primo mese dell’anno secondo il calendario Malayalam. Anche se le celebrazioni durano ben 11 giorni e cominciano con la preparazione di decorazioni floreali (pookalam) – disegnate pazientemente da mani sia femminili che maschili, dentro e fuori casa – la festività vera e propria ha una durata di quattro giorni, di cui il secondo (Thiruvonam), è il più importante.

Pookalam

Pookalam

Gli abitanti del Kerala si vestono di abiti nuovi, comprati apposta per l’occasione, simbolo di purezza, coincidente con l’abbandono di pensieri e sentimenti negativi. Pranzi ricchi (onasadya), serviti su foglie di banana, vengono cucinati in ogni casa e anche i più poveri cercheranno di preparare qualcosa, seppur più umile, per non perdere l’occasione. Un detto locale dice: “Kaanam Vittum Onam Unnanam”, ovvero, “tutti dovrebbero mangiare a Onam, anche a costo di vendere tutte le proprietà”.

Onamsadhya

Onamsadhya

Giochi di ogni sorta e gare in barche lunghe come serpenti (vallamkali), danze spettacolari tra cui Pulikali e Kathakali e processioni di elefanti avranno luogo nei centri culturali più importanti del Kerala, per dar vita ad una delle feste più colorate dell’India intera. Un trionfo di sacralità nell’India più autentica, nell’India più pura, nell’India più India!

Vallamkali

Vallamkali

Danza Pulikali

Danza Pulikali

Danza Kathakali

Danza Kathakali

Per maggiori info visitate il sito www.onamfestival.org

Thiruvonam 2015: 28 agosto

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Dahi handi

Torri umane per il compleanno di Krishna

Torri umane per il compleanno di Krishna 900 522 Sonia Sgarella

Krishna, personaggio composito e dalla molteplice origine che vede tre figure del culto divino – Krishna Vāsudeva, Krishna Gopāla e Krishna Narayana – fondersi l’una nell’altra nel corso dei secoli e dare vita un unico Grande Dio, “Uno e Supremo”, conosciuto anche come l’ottavo avatara (discesa in terra) di Vishnu;

Krishna, gioioso e dispettoso bambino, adolescente ruba cuori, protagonista di amori adulteri ma anche capo del clan degli Yadava, nonché divino grande eroe del Mahabharata, dispensatore di consigli e dottrina;

Krishna, che oggi festeggia oltre 5000 anni!.

Gli studiosi indiani, così come quelli occidentali, sembrano ormai concordare sulle date in cui, secondo la tradizione, Krishna avrebbe vissuto sulla terra, in un periodo compreso tra il 3200 e il 3100 a.c., anni in cui, in coincidenza con la sua morte, viene fatta iniziare l’era cosmica della corruzione, il cosiddetto Kali Yuga. Trattasi di un’era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale e che, purtroppo per noi, durerà ancora per parecchi secoli.

Krishna nacque, secondo il mito, alla mezzanotte dell’ottavo giorno (Ashtami) di luna calante (Krishnapaksha) del mese di Shravan (agosto/settembre). Questo giorno di particolare auspicio prende il nome di Janmasthani o Krishnasthami.

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Racconta la leggenda che Krishna nacque da Devaki e Vasudeva, membri della famiglia reale di Mathura, nell’odierno stato dell’Uttar Pradesh. Kamsa, il sovrano in carica al tempo, udita la profezia che avrebbe ricevuto la morte per mano di uno dei figli della cugina Devaki, li fece uccidere tutti, uno ad uno, man mano che nascevano. Krishna tuttavia venne scambiato, appena in tempo, con un altro neonato e affidato di nascosto al pastore Nanda e alla moglie Yashoda, perchè lo crescessero.

Un bambino dispettoso, ghiotto di burro e cagliata e quindi avvezzo a rubarlo in continuazione dalla cucina materna; spese la sua infanzia nella campagna di Vrindavana, tra quelle mandriane che negli anni si innamoreranno follemente della sua bellezza, attirate dalla musica ammaliante del suo flauto.

Durante il giorno del suo compleanno l’India intera e in particolare gli abitanti della regione di Mathura e dello stato del Maharashtra, si riuniscono per celebrarne la nascita, organizzando danze (rasa lila) che ne rievochino la frivola adolescenza, e poi ancora giochi che ricordino invece il lato gioioso della sua infanzia.

Il Dahi Handi, oggi diventato una sorta di sport nazionale, è il gioco più popolare. Chiamato anche Govinda Sport da uno degli appellativi di Lord Krishna – Govinda (“il protettore delle mucche”) – il gioco consiste nel formare una piramide umana che permetta al più giovane della squadra di raggiungere un contenitore di terracotta, contenente burro o cagliata, sospeso per aria ad una altezza prestabilita. Il giovane atleta  incaricato di raggiungere la cima della piramide, dovrà rompere il coccio con l’aiuto di un bastone o di qualsiasi oggetto contundente e fare in modo che il liquido si rovesci sull’intera squadra al fine di consacrarne l’unione nell’impresa.

Dahi Handi

Dahi Handi

Dahi Handi

Grandi e bambini, uomini e donne possibilmente a digiuno dal mattino, rimarranno svegli oltre la mezzanotte, ora in cui si riuniranno per recitare canti devozionali rivolti al supremo e divino Signore. La prossima volta sarà il 15 agosto 2017. E allora che dire? Om nama Bhagavate Vasudevaya!

I templi dei Chola, un grandioso Patrimonio Mondiale

I templi dei Chola, un grandioso Patrimonio Mondiale 1024 675 Sonia Sgarella

Cholamandalam, letteralmente il “cerchio dei Chola”, così venne chiamata per lunghi secoli quel tratto di costa orientale dell’India del Sud – compresa tra il delta dei fiumi Krishna e Kaveri e che vide l’arrivo, a partire dal XVI secolo, dei grandi colonizzatori europei, primi tra tutti i Portoghesi, seguiti da Inglesi, Olandesi, Francesi e Danesi, attratti dal commercio delle spezie e in cerca di esotiche ricchezze.

Protetta parzialmente – grazie alla presenza dei monti Ghat Occidentali – da quelle piogge continue che tra i mesi di giugno e settembre si riversano invece in abbondanza sull’opposta Costa del Malabar (negli attuali stati del Kerala e di Goa), quella che è oggi conosciuta con il nome di Costa del Coromandel, costituisce una meta perfetta – seppur un po’ calda – per tutti quegli italiani costretti ad andare in vacanza nel mese di agosto ma i quali non vogliono rinunciare a conoscere l’India, quella più autentica, per nulla influenzata dalla cultura islamica, fortemente presente invece nelle regioni del Nord.

Ma chi furono i Chola – che i conquistatori occidentali non fecero in tempo ad incontrare – e perché questo tratto di costa prese nome proprio da loro? E’ il caso di dirlo che quella dei Chola fu una fra le più potenti dinastie mai sorte sul suolo indiano; una tra le più longeve e sicuramente quella sotto la quale l’arte dell’India meridionale visse un periodo di massimo fulgore, che segnò una svolta decisiva nello sviluppo dell’architettura templare dravida (“del Sud”).

Templi di proporzioni mai viste, di massima dedicati al culto di Shiva, raffinate statue di bronzo, eloquenti iscrizioni, preziosi dipinti murali e icone divine che faranno scuola nei secoli successivi, sono quanto di più squisito ci è stato lasciato da quei sovrani della dinastia che vollero esprimere con l’arte e con l’architettura il loro potere, il quale si espanse nei secoli ben oltre i confini dell’India.

Nonostante le origini dei Chola vengano presentate dalle fonti come assai remote (III secolo a.C.), è solo a partire dal IX secolo d.C. che si può cominciare a parlare di dinastia imperiale, quando il sovrano Vijayalaya (850-871 d.c.) – forse un feudatario dei Pallava – fondò un piccolo regno nella zona di Thanjavur, destinata a diventare, sotto i suoi successori, la capitale di un fiorente impero.

Ma dovette passare oltre un secolo perché questo accadesse, ovvero sotto il regno di Rajaraja Chola (“Re dei Re”), il quale, sconfitti i vicini Chera e Pandya, estese poderosamente il domino della dinastia verso nord, invase lo Sri Lanka e le Isole Maldive e come coronamento delle sue imprese, fece innalzare proprio nel centro di Thanjavur, il tempio più maestoso che l’India avesse conosciuto fino ad allora, oggi inserito nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco.

Correva l’anno 1010 quando in tutta l’India del Sud, riecheggiavano le voci che la costruzione di un imponente tempio di granito fosse appena stata portata a termine, grande cinque volte i templi costruiti dai suoi predecessori, circondato da alte mura di protezione e con uno shikara (“elevazione della cella”) alto 66 metri, coronato da un elemento a calotta (stupi) del peso di ottanta tonnellate che secondo la tradizione fu collocato in posizione facendolo scorrere sopra una rampa lunga sei kilometri. Si trattava del tempio di Brihadeshvara, del “Grande Signore Shiva”, comunemente noto come il tempio di Rajarajeshvara, del “Signore di Rajaraja”.

Uno shivalingam (icona fallica) alto tre metri e mezzo, vuole essere il simbolo della presenza del Dio che, ancora oggi, a distanza di un millennio, viene venerato durante tutto il giorno da folle di fedeli, le quali si recano il più vicino possibile al sancta sanctorum, per assistere alle celebrazioni della puja quotidiana che vede i sacerdoti (brahmini) del tempio cospargerlo da cima a fondo di burro e latte. Uno spettacolo da non perdere!

Ed è sempre Shiva, nei vari momenti del suo mito, il protagonista del programma scultoreo ospitato nelle nicchie che si estendono lungo tutte le facciate del tempio: Shiva Nataraja, il “Re della Danza”; Shiva Bhikshatana, ovvero nella forma di un mendicante nudo, la cui bellezza e il cui fascino vinsero i cuori di tutte le donne che gli si avvicinavano; Shiva Ardhanari, metà uomo e metà donna; Shiva Tripurantaka, vittorioso dopo la sconfitta di tre demoni con una sola freccia e Shiva Lingodbhava, ovvero Shiva che emerge dal lingam di fuoco proclamando implicitamente la sua superiorità  rispetto a Brahma e Vishnu.

Il recinto, che misura 241 metri per 121, può essere diviso in due quadrati, al centro dei quali si trovano rispettivamente il sancta sanctorum e il toro Nandin, cavalcatura di Shiva. Quest’ultimo, che si trova in un padiglione di epoca successiva meravigliosamente dipinto, come  da tradizione, guarda nella direzione dello shivalingam come a volerlo proteggere.

Ma il tempio, raccontano le iscrizioni poste lungo tutta la sua base, non si limitava a svolgere una funzione meramente religiosa, bensì serviva da sede amministrativa e finanziaria, commerciale e culturale: 850 addetti tra cui 67 musicisti, 400 danzatrici, 174 sacerdoti, 143 guardiani e ancora tesorieri, contabili, astrologi, artigiani, gioiellieri. Il tempio venne anche utilizzato infatti come forziere per custodire donazioni preziose e bottini di guerra.

E ancora le iscrizioni raccontano che il tempio possedeva 66 immagini di bronzo, tutte create con il metodo della cera persa che ancora oggi viene utilizzato dagli artigiani per riprodurre l’infinita serie di icone divine che viene venduta in tutti i negozi e mercati dell’India. Le immagini, debitamente vestite e ingioiellate, venivano portate in processione in occasione di festival religiosi.

Due anni dopo aver completato la costruzione del tempio, Rajaraja I decise di incoronare imperatore il figlio Rajendra I, durante il cui regno il dominio dei Chola giunse alla massima espansione: marciò a nord fino alle rive del Gange, dalle quali tornò con anfore piene di acqua; ordinò spedizioni navali che giunsero fino alla penisola Malese, a Giava e a Sumatra; occupò le isole Andamane e Nicobare e intrattenne rapporti diplomatici con la Birmania e con la Cina.

Fu così che, nel tentativo di eguagliare la grandiosità del tempio paterno, Rajendra fece edificare l’altro tempio di Brihadeshvara, ma questa volta a Gangaikondacholapuram (“Città del Chola che ha conquistato il Gange”), 65 kilometri a nord di Thanjavur. Qui, le figure nelle nicchie sono spesso scolpite a tre-quarti, quasi  come se emergessero di lato, a differenza del tempio di Thanjavur dove sono scolpite frontalmente. Di grande pregio è quella che raffigura Shiva e Parvati nell’atto di benedire Chandesa, uno dei 63 Nayanar, santi-poeti devoti di Shiva.

Ma la lista dei templi Chola inseriti nella lista dell’Unesco non si esaurisce qui: ve ne è ancora uno che potrete visitare lungo la strada che collega Gangaikondacholapuram a Thanjavur ed è quello di Darasuram, dedicato a Shiva Airavateshvara. Ancor più rifinito dei due precedenti, abbellito da raffinati motivi floreali , figure divine, animali mitologici e da padiglioni accessori concepiti nella forma di carri celesti trainati da cavalli galoppanti – elemento che verrà riproposto nei secoli successivi anche a distanza di centinaia di kilometri, nell’odierno stato dell’Orissa – il tempio di Airavateshvara, il “Signore di Airavata”, fu il luogo dove, secondo la tradizione, Airavata, l’elefante bianco di Indra, si recava per venerare Shiva. Vuole la leggenda che, a causa di una maledizione lanciatagli dal saggio Durvasa, la pelle di Airavata cambiò colore fino a che, immergendosi nelle acque divine che circondavano allora il tempio, l’elefante del grande dio vedico riacquisì le sue sembianze originali.

Una profusione di scene relative alla danza e alla musica, arti di cui i re Chola furono grandi patroni, nonché notevoli statue scolpite nel basalto nero e inserite nelle nicchie presenti lungo tutte le facciate, rendono il tempio di Darasuram un esempio artistico di grande valore, sicuramente degno di una visita durante il vostro viaggio in Tamil Nadu.

Ecco dunque presentati i tre complessi templari che l’Unesco ha voluto insignire del titolo di Patrimonio Mondiale ma certo non si tratta degli unici commissionati da questi grandi regnanti dell’India del sud. All’incirca cento templi, per lo più dedicati a Shiva, sono infatti ascritti a quest’epoca, tra i quali il meraviglioso complesso di Chidambaram!

Leggi anche Il meraviglioso tempio di Chidambaram

 

 

Torre della Televisione (Fernsehturm)

Berlino con vista – I migliori punti panoramici della città

Berlino con vista – I migliori punti panoramici della città 2729 1900 Sonia Sgarella

I ricordi – ancora evidenti – di quella che è stata in passato la Berlino divisa, siedono oggi – fortunatamente – fianco a fianco con il suo rinnovato presente di città unita. Conosciuta in tutto il mondo per la stravaganza e tolleranza che la contraddistinguono e per la cultura alternativa all’avanguardia, il punto di forza della capitale tedesca  è stato quello di sapersi reinventare negli anni, allentando gradualmente il legame con  una storia decisamente oppressiva che l’ha segnata per lungo tempo.

Il mondo dunque è oggi curioso di andare a vedere che cosa succede in città – testimone la crescente affluenza di stranieri che li si recano in visita per qualche giorno o che  li si trasferiscono per rimanerci, gli italiani tra i primi della lista.

Una volta arrivati a Berlino allora, cosa ne dite di cominciare col salire in alto per godere delle migliori viste panoramiche della città? Ecco una lista di alcuni punti da cui è possibile farlo:

1. TORRE DELLA TELEVISIONE (FERNSEHTURM)

Torre della Televisione (Fernsehturm)

Torre della Televisione (Fernsehturm)

La torre della televisione è l’edificio più alto di Berlino. Visibile da tutti i distretti centrali della città, la ragione della sua costruzione scaturì dal fatto che l’allora Berlino dell’Est non possedeva ancora una propria torre della televisione, presente invece a Berlino Ovest. Molti progetti furono proposti, la maggior parte dei quali calcavano lo stile architettonico sovietico, fino a che nel 1965 vennero cominciati i lavori di costruzione che proseguirono fino al 1969.

Il design, originale e snello, ricorda il fascino della tecnologia degli anni sessanta, con evidenti richiami alla stagione dei viaggi spaziali. Walter Ulbricht, l’allora leader della RDT (Repubblica Democratica Tedesca), stabilì l’altezza della torre a 365 metri, come il numero dei giorni dell’anno, per essere ricordata più facilmente . Solo Mosca oggi, in Europa, può vantare di avere una torre più alta.

Con un ascensore potrete raggiungere la grande sfera d’argento dove, ad un altezza di 203 metri si trova la piattaforma panoramica da cui potrete godere di viste magnifiche. Il prezzo di 13 euro è tuttavia un po’ eccessivo.

Per maggiori informazioni visitate il sito http://tv-turm.de/

2. PARK INN HOTEL

Park Inn Hotel in Alexander Platz

Park Inn Hotel in Alexander Platz

Volendo risparmiare 10 euro e rimanendo a due passi dalla torre della televisione, un’opzione valida è quella di salire sulla terrazza panoramica dell’hotel Park Inn, ad un’altezza di 125 metri.

Costruito alla fine degli anni ’60, trattasi dell’altro simbolo di Alexander Platz, l’unico punto dal quale vi ritroverete faccia a faccia con la torre della televisione che vi sembrerà di poter toccare con un dito.

3. WEEKEND CLUB

Weekend Club Berlin

Weekend Club Berlin

Uno dei club più importanti di Berlino ma frequentato per lo più da turisti, offre una terrazza panoramica – aperta solo in estate dalle 19.00 – da cui potrete ammirare lo skyline della città, sempre in Alexander Platz.

4. DUOMO DI BERLINO (BERLINER DOM)

Duomo di Berlino (Berliner Dom)

Duomo di Berlino (Berliner Dom)

Su ordine dell’imperatore Guglielmo II, J. Raschdorff progettò e costruì questa cattedrale tra il 1894 e il 1905. L’imperatore desiderava una chiesa principale che rappresentasse il protestantesimo prussiano a Berlino. Nella cripta sono custoditi 95 sarcofagi della famiglia reale, gli Hohenzollern. Durante la Seconda Guerra Mondiale la cattedrale subì gravissimi danni e il restauro terminò solamente nel 1993. L’ingresso purtroppo non è gratuito ma l’eccezionale vista dalla cupola vale sicuramente la spesa.

5. PARLAMENTO (REICHSTAG)

Cupola della Nazione di Normann Foster

Cupola della Nazione di Normann Foster

Dicono che la “Cupola della Nazione” abbia portato luce nel Parlamento. Il curioso percorso al suo interno consiste in due rampe a spirale, salendo le quali Berlino  si mostra in tutte le sue facce: dalla Porta di Brandeburgo alla Potsdamer Platz, dalla Colonna della Vittoria alla Chiesa della Commemorazione.

Al centro della cupola vi è il “Light Sculptor”, un tronco di cono che, largo 2,5 m alla base inferiore e 16 m alla base superiore, perfora il soffitto della Sala Plenaria e si estende verso l’alto fino a raggiungere la sommità della cupola. Il “Light Sculptor”, grazie ai 360 specchi di cui è rivestito, indirizza la luce verso la sala delle assemblee plenarie impedendo tuttavia la penetrazione di calore e di luce solare diretta. Di notte, il processo è invertito e la luce artificiale nella Sala Plenaria è riflessa esternamente, illuminando la cupola, come una lanterna, in modo che i Berlinesi sappiano quando il Bundestag è riunito.

Per garantirsi l’accesso alla Cupola della Nazione sarebbe meglio prenotare online sul sito http://www.bundestag.de/anche se ultimamente hanno aperto la possibilità di entrare anche ai visitatori last-minute che dovranno tuttavia fare la coda.

6. COLONNA DELLA VITTORIA (SIEGESSÄULE)

Colonna della Vittoria (Siegessäule)

Colonna della Vittoria (Siegessäule)

All’interno del Tiergarten, nel mezzo della rotonda conosciuta come Großer Stern, la colonna della vittoria simboleggia le vittorie della Prussia contro la Danimarca, l’Austria e la Francia. Il monumento non nasconde le sue radici belliche e militari: sono infatti ben visibili alcune canne di cannone dorate sul fusto della colonna, sulla cima del quale si trova, non a caso, l’immagine della Dea della Vittoria.

Da una scala a chiocciola di 285 gradini, si può raggiungere la piattaforma panoramica dalla quale si riesce a vedere tutta la città di Berlino.

7. TORRE KOLLHOF

Torre Kollhof a Postdamer Platz

Torre Kollhof a Postdamer Platz

In mattonelle scure e alto 103 metri, il grattacielo progettato da Hans Kollhof, interamente occupato da uffici, offre la possibilità di accedere al Panoramapunkt per godere di viste spettacolari. Il viaggio nell’ascensore più veloce d’Europa dura solo 20 secondi e trasporta il visitatore al miglior punto panoramico di Potsdamer Platz.

Già prima della Seconda Guerra Mondiale, Potsdamer Platz era una delle piazze più animate d’Europa, ma in seguito alla guerra fu ridotta in rovine. Quando nel 1961 venne costruito il Muro di Berlino, la piazza rimase per 40 anni un luogo vacante nel centro della città. Solo negli anni ’90, dopo la riunificazione tedesca, essa divenne il più grande cantiere d’Europa. Nell’arco di pochi anni, è sorto qui un nuovo quartiere cittadino, caratterizzato da numerosi grattacieli e dal Sony Center.

Fu il famoso vulcano Fujiyama in Giappone ad ispirare il progetto del Sony Centre, oggi simbolo della nuova Berlino. L’imponente cupola fu la realizzazione del coraggioso progetto di Helmut Jahn e costituisce oggi un’ importante attrazione turistica.

Chong Khneas - Lago Tonlé Sap - Cambogia

Mondi sospesi e galleggianti

Mondi sospesi e galleggianti 681 454 Sonia Sgarella

Passare una settimana sulle spiagge di Ko Samui ed affermare di conoscere la Thailandia, girovagare per un paio di giorni tra i templi di Luang Prabang e ritenere di aver visto il Laos, scattare qualche foto tra i tunnel della seconda guerra mondiale di Ho Chi Min e credere di essere stati in Vietnam: se c’è un errore che spesso si commette viaggiando in Indocina, è quello di pensare che una o due località al massimo per ogni paese, ci possano raccontare tutto quello che c’è da sapere di un territorio che si estende tre volte quello dell’Italia, dal mare alle montagne, ricco di tradizioni e costumi che variano da etnia a etnia, da nazione a nazione… pensarla in questo modo è un peccato estremamente limitativo!

Firenze non è la Toscana, Roma non è il Lazio e allora la Cambogia non è Siem Reap e Siem Reap non è solo Angokor Wat. Ci sono mille motivi per fermarsi più a lungo in questo paese, luoghi da scoprire al di fuori delle rotte turistiche, luoghi rari  – se non unici – al mondo, luoghi che vi faranno emozionare, che sarete felici di aver conosciuto e a cui sarete soddisfatti di aver dedicato del tempo.

Per esempio, una breve corsa in tuk tuk è tutto quello che divide Siem Reap – la cittadina più turistica e meno cambogiana della nazione – dal lago Tonlé Sap, il più grande lago di acqua dolce del sud-est asiatico dichiarato “riserva della biosfera”  dall’ Unesco nel 1997. Non solo quindi una grande distesa d’acqua da ammirare in lontananza lungo la strada che conduce a Phnom Penh – la capitale – ma un ambiente sorprendentemente originale in cui l’uomo è riuscito ad adattarsi e a insediarsi,  dando vita a veri e propri mondi galleggianti che dalle acque di questo riescono a ricavare il proprio sostentamento.

Il Tonlé Sap – che significa “grande fiume dalle acque fresche” – è in realtà un sistema combinato di fiume e lago (aventi lo stesso nome) la cui ampiezza varia a seconda delle piogge. Durante la stagione secca (da novembre ad aprile) il lago è infatti relativamente piccolo e presenta un’estensione di circa 2500 km² e una profondità massima di circa 2 metri. Durante la stagione dei monsoni tuttavia (da maggio a ottobre), le acque possenti del Mekong – che si collega al fiume Tonlé Sap nel centro di Phnom Penh – vengono spinte all’interno verso il lago, provocando esondazioni che andranno a ricoprire la campagna e le foreste circostanti, facendone aumentare l’area fino a 15.000 km² e la profondità fino a 10 metri. Al termine della stagione delle piogge poi, il corso si invertirà di nuovo e il fiume Tonlé Sap ritornerà a fluire dal lago in direzione del Mekong, nel quale riverserà tutta l’acqua in eccesso.

La zona soggetta all’allagamento diventa così un’area perfetta per la riproduzione dei pesci, rendendo il lago Tonlé Sap una delle zone di pesca interna più ricche del mondo, che contribuisce per il 75% al totale della pesca cambogiana, fornendo cibo e proteine sufficienti a più di tre milioni di persone.

Sulle acque del lago e su quei terreni che si ritrovano sommersi per buona parte dell’anno, si sono quindi insediate intere comunità di pescatori/agricoltori che da secoli ormai vivono in armonia con l’ambiente che li circonda, profondamente legati a quell’ecosistema così particolare e ai ciclici cambiamenti che si susseguono da generazioni, pronti costantemente a seguire letteralmente il flusso degli eventi.

Scuole, negozi, chiese e abitazioni, a questi villaggi galleggianti o su palafitte non manca proprio nulla tanto che i loro abitanti difficilmente lascerebbero le acque del lago per trasferirsi sulla terra ferma.

Visitare una – o più – di queste comunità è un’esperienza assolutamente da non perdere! Vi consiglio a tal proposito di prendervi il tempo per raggiungere i villaggi più lontani da Siem Reap, più autentici e meno affollati di turisti. Non soffermatevi dunque solo a Chong Kneas e optate piuttosto per un tour più lungo verso Kompong Khleang, Kompong Phluk, Me Chrey o Prek Toal, quest’ultimo situato nei pressi di una Riserva avi-faunistica.

Chong Khneas - Lago Tonlé Sap - Cambogia

Chong Khneas – Lago Tonlé Sap – Cambogia

Chong Khneas - Lago Tonlé Sap - Cambogia

Chong Khneas – Lago Tonlé Sap – Cambogia

Kompong Khleang - Lago Tonlé Sap - Cambogia

Kompong Khleang – Lago Tonlé Sap – Cambogia

Kompong Khleang - Lago Tonlé Sap - Cambogia

Kompong Khleang – Lago Tonlé Sap – Cambogia

Kompong Khleang - Lago Tonlé Sap - Cambogia

Kompong Khleang – Lago Tonlé Sap – Cambogia

 

Leggi anche Lago Inle, un mondo sospeso sull’acqua

 

Ta Prohm - Eastern Angkor

Cinque templi imperdibili tra le rovine di Angkor

Cinque templi imperdibili tra le rovine di Angkor 640 480 Sonia Sgarella

Chi, tra di voi, non ha mai sentito parlare delle rovine di Angkor?

Pensate, la prima volta che questa parola giunse al mio orecchio, mi trovavo letteralmente dall’altra parte del mondo, in Bolivia. Era forse il giorno di Natale del 2006 quando un eccentrico ragazzo belga mi presentò una versione indubbiamente avventurosa della sua esperienza passata tra quelle che lui diceva essere le rovine più suggestive e impressionanti del mondo, assolutamente imperdibili!

Decine di templi, un tempo manifestazione di immensa grandezza di quei sovrani committenti che si elevarono allo status di divinità, rovine immerse in una fitta giungla tropicale che per lunghi secoli se ne riprese possesso fino a quando, alla fine del XIX secolo,  cominciarono i lavori di conservazione e restauro del sito, portati avanti da una commissione internazionale di esperti e ricercatori, presieduta dagli ambasciatori di Francia e Giappone.

Affascinata oltremodo dai suoi racconti, non lasciai dunque passare troppo tempo, solo tre anni, prima di trovarmi finalmente anch’io a varcare i confini tra Thailandia e Cambogia, in direzione di Siem Reap, porta d’ingresso a quella che per molti costituisce oggi l’ “ottava meraviglia del mondo”, al magico e maestoso complesso dei templi di Angkor,  degnamente incluso dal 1992 nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Fu solo in seguito però, in conseguenza degli studi intrapresi in ambito “Indologico”, che cominciai a rimettere insieme i pezzi, foto, ricordi, miti e leggende – prima di allora certo affascinanti ma parte di un mondo a me ignoto e incomprensibile – per trovare numerosissimi punti di connessione tra quel sito, uno dei più vasti ed importanti dell’Asia e l’immenso, strano e stravolgente paese chiamato India.

Per oltre cinque secoli Angkor fu la capitale politica e religiosa di un regno, quello Khmer, che tra il IX e il XV secolo, arrivò ad estendere la sua influenza su buona parte degli odierni territori di Thailandia, Laos e Vietnam. Un impero allora, fondato da Jayavarman II (il “protettore della vittoria”), reso grande da Suryavarman II (il “protetto dal dio-sole”) e arricchito di templi da Jayavarman VII, l’ultimo dei grandi chakravartin, “re universali”, come erano soliti farsi proclamare.

Grandi nomi quindi e ancor più grandi epiteti, tutti di derivazione sanscrita, lingua ereditata da secoli di scambi commerciali e culturali intrattenuti con le più importanti dinastie dell’India del Sud, tra le quali i Pallava di Kanchipuram, i Chalukya di Badami e i Chola di Tanjavur. E’ quindi a loro che si deve la  diffusione della religione induista nel Sud Est asiatico e con essa la concezione simbolica dell’architettura religiosa. Particolare devozione venne accordata inizialmente a Shiva e a Vishnu per essere sostituita tuttavia in seguito da quella al Buddha.

Ed è quindi sicuramente Angkor Wat, la “città-tempio” più grande e più bella dell’intero complesso, costruita da Suryavarman II nella prima metà del XII secolo, quella che per nessun motivo si dovrebbe mancare di visitare, ma questo è troppo scontato. Vi presento quindi gli altri cinque siti che nella mia classifica personale, vengono subito dopo questo:

 — BAYON —

Situato all’interno di Angkor Thom (la “grande città”) – fondata da Jayavarman VII a cavallo tra il XII e il XIII secolo – il cosiddetto Bayon venne concepito come tempio di stato per la nuova capitale del regno che fu disegnata sulla falsariga di un mito cosmogonico, in modo che la costruzione materiale della città corrispondesse a un’autentica rinascita dell’impero dopo l’attacco subito dai vicini Cham.

Passando attraverso la monumentale Porta Sud, preceduta dalle non meno suggestive schiere di dei e demoni che delineano il ponte sul fossato difensivo, procedete fino al centro del quadrilatero e lì lasciatevi incantare dalla moltitudine di visi sorridenti, scolpiti sulle quattro facce delle guglie che si elevano sempre di più man mano che ci si avvicina alla massiccia torre centrale. Che siano la rappresentazione del Buddha, del Bodhisattva Avalokiteshvara o del re Jayavarman stesso, la profusione di volti pacifici regala al luogo un’atmosfera unica, carica di fascino e di mistero al tempo stesso.

Bayon - Angkor Thom

Bayon – Angkor Thom

— TA NEI —

Immerso nella fitta vegetazione, non lontano da Angkor Thom ma al di fuori dei circuiti prettamente turistici, il Ta Nei, costruito anch’esso da Jayavarman VII alla fine del XII secolo, è uno di quei luoghi che riporterà il vostro immaginario indietro nella storia. Vi sembrerà, di fronte a questo tempio lasciato cadere in rovina e per nulla frequentato, di aver scoperto un sito nuovo, abbandonato, dimenticato, ma non per questo meno affascinante. Anzi, sono proprio la solitudine e il silenzio che lo caratterizzano e lo circondano a donargli quell’atmosfera di sacralità che ancora pochi templi conservano.

Ta Nei - Eastern Angkor

Ta Nei – Eastern Angkor

Ta Nei - Eastern Angkor

Ta Nei – Eastern Angkor

Ta Nei - Eastern Angkor

Ta Nei – Eastern Angkor

— TA PROHM —

Uno dei maggiori templi di  Jayavarman VII, concepito e costruito come monastero buddhista e centro di studio, da cui il nome originale Rajavihara, il “monastero reale”. Secondo alcune iscrizioni ritrovate in loco, la divinità principale, Prajnaparamita – la “perfezione della sapienza” – fu modellata sull’immagine della madre del sovrano, come parte del programma di venerazione della famiglia reale.

Scelto dalla École française d’Extrême-Orient per essere lasciato così come era stato trovato, il Ta Prohm costituisce un ottimo esempio di come l’intero complesso dovesse apparire al tempo della sua riscoperta nel XIX secolo nonostante molti sforzi furono fatti per stabilizzare le rovine e permetterne l’accesso ai visitatori. Enormi radici di alberi, intrecciati tra le rovine, sono protagonisti nel creare quell’atmosfera pittoresca di apparente trascuratezza che rende il luogo tanto suggestivo e speciale, a tal punto da essere stato scelto come location cinematografica nel film Tomb Raider.

Ta Prohm - Eastern Angkor

Ta Prohm – Eastern Angkor

Ta Prohm - Eastern Angkor

Ta Prohm – Eastern Angkor

Ta Prohm - Eastern Angkor

Ta Prohm – Eastern Angkor

— PREAH KHAN —

Come il vicino Ta Prohm, Preah Khan – costruito anch’esso da Jayavarman VII per essere sede di un’università buddhista – è rimasto in gran parte non restaurato e tra le rovine sono cresciuti alberi ed arbusti. Una serie di gallerie rettangolari concentriche circondano un santuario buddista con una torre centrale, ma la disposizione è resa meno lineare, quasi caotica, dalla compresenza di templi induisti satelliti dello stesso periodo e da numerosi altri aggiunti in seguito.

Dedicato questa volta al padre del re, Dharanindravarman, Preah Khan non fu solo un centro religioso, ma anche amministrativo e culturale. A partire dal 1991 la manutenzione del sito è stata assunta dal World Monuments Fund, promotore di una serie di campagne di restauro. Il World Monuments Fund ha continuato a mantenere un approccio genericamente cauto, nella convinzione che un’attività di restauro su larga scala sarebbe stata inevitabilmente invasiva e frutto di supposizioni, preferendo invece rispettare l’aspetto di edificio in rovina ormai connaturato al tempio.

Preah Khan - Northeastern Angkor

Preah Khan – Northeastern Angkor

Preah Khan - Northeastern Angkor

Preah Khan – Northeastern Angkor

— BANTEAY SREI —

A poco più di 20 km a nord di Angkor si trova il piccolo ma notevole tempio di Banteay Srei, il cui nome significa “cittadella della bellezza”. A differenza degli altri siti principali di Angkor, Banteay Srei non fu un tempio reale, bensì commissionato da uno dei consiglieri di Rajendravarman, padre di Jayavarman V.

Consacrato il 22 aprile 967 al dio Shiva, il tempio colpisce il visitatore per la bellezza della decorazione – caratterizzata da minuziosi dettagli scolpiti sulle facciate di arenaria rossa – che non può essere paragonata a quella di nessun altro tempio presente ad Angkor. Queste caratteristiche lo hanno reso particolarmente popolare tra i turisti tanto da essere stato definito “una gemma preziosa” o “il gioiello dell’arte khmer”.

Banteay Srei - Dea Lakshmi bagnata dagli elefanti

Banteay Srei – Dea Lakshmi bagnata dagli elefanti

Banteay Srei - "Volto di Gloria"

Banteay Srei – “Volto di Gloria”

Banteay Srei - "Volto di Gloria"

Banteay Srei – “Volto di Gloria”

Ingresso del Tempio di Durga a Aihole

Badami, Aihole e Pattadakal: le meraviglie dei Chalukya

Badami, Aihole e Pattadakal: le meraviglie dei Chalukya 2560 1920 Sonia Sgarella

Grossomodo nello stesso periodo che vide fiorire il regno dei Pallava in Tamil Nadu, dall’attuale stato del Karnataka si espanse il dominio della dinastia dei Chalukya. I Chalukya di Badami o Primi Chalukya Occidentali – per distinguerli da altre branche che si successero nel tempo – stabilirono la propria capitale nell’antica Vatapi (Badami) e da lì arrivarono a dominare un impero che si estendeva dalle rive del fiume Kaveri, a sud, alle sponde del fiume Narmada, a nord, ai margini settentrionali dell’Altopiano del Deccan.

Grandi nemici dei Pallava di Kanchipuram, con cui ingaggiarono guerre dalla alterne vicende, i Chalukya di Badami segnarono il passaggio dall’epoca dei piccoli regni del sud a quella dei grandi imperi meridionali, sotto la guida di valorosi sovrani che combatterono mille battaglie, nelle quali alcuni di loro persero la vita.

Pulakeshin I (540-566 d.c. circa), il fondatore della dinastia; Pulakeshin II (610-642 d.c. circa), forse il meglio conosciuto e uno tra i più rimarchevoli sovrani nella storia dell’India, colui che arrestò l’avanzata verso sud del potente Harsha di Kanauj e che da grande eroe morì combattendo contro i Pallava; Vikramaditya I (655-680 d.c. circa), che ristabilì l’ordine nel regno dopo la morte del padre e scacciò i Pallava dalla capitale Badami; Vikramaditya II (733-744 d.c. circa), riconosciuto in tutto l’impero per la sua benevolenza e che risollevò le sorti della dinastia espandendo il suo dominio in gran parte del Tamil Nadu; Kirtivarman II, l’ultimo regnante della dinastia che venne sconfitto dai Rashtrakuta, feudatari dei Chalukya, i quali regnarono fino al 973 d.c., quando il potere tornò nelle mani dei Chalukya di Kalyani (o Chalukya Occidentali).

Sono questi i nomi di coloro che, non solo rivoluzionarono la storia dell’India meridionale, ma diedero inizio ad un capitolo cruciale nell’architettura religiosa indiana. Instancabili costruttori di edifici sacri, i Chalukya di Badami diedero vita al cosiddetto stile vesara (ibrido), punto di convergenza tra le tradizioni artistiche del Nord e del Sud. I Chalukya non adottano infatti con decisione né lo stile templare nagara (del Nord), né quello dravida (del Sud): al contrario, edificarono uno accanto all’altro, santuari costruiti nei due stili, nonché forme peculiari che tuttavia non verranno sviluppate o riproposte in futuro.

Il repertorio dell’edilizia religiosa Chalukya conta tra i suoi esemplari templi rupestri, di cui si hanno testimonianze notevoli ad Aihole (pronunciato Aivolli) e a Badami, e templi costruiti, di cui gli esempi più rappresentativi si conservano ad Aihole e Pattadakal, sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

I segni distintivi della scuola architettonica Chalukya di Badami sono di facile identificazione: assemblaggio a secco dei blocchi di arenaria, tetti per lo più piatti, soffitti finemente decorati e immagini divine ben isolate le une dalle altre, il tutto inserito in uno spirito estetico canonico definibile “classico”.

Situata sulle rive del fiume Malaprabha, Aihole, che fu la capitale del regno Chalukya prima di Badami, venne definita dallo studioso britannico Percy Brown “una delle culle dell’architettura templare indiana”. Oltre 125 templi, commissionati tra il VI e l’XI secolo dai Chalukya di Badami, dai Rashtrakuta e dai Chalukya di Kalyani, si trovano infatti concentrati in uno dei siti archeologici più ricchi di monumenti di tutta la regione, divisi oggi in 22 gruppi.

Raro nel suo genere per la planimetria a forma absidale che lo caratterizza è il cosiddetto tempio di Durga, il cui nome sembrerebbe trarre origine da una fortezza (“durga”) che si trovava nei pressi del tempio e di cui effettivamente se ne conservano ancora oggi i resti. Il tempio, costituito di una veranda con due scalinate, di un padiglione colonnato (mandapa) e della cella sacra, è circondato da un ambulacro, ovvero da un portico perimetrale che regala al devoto un’ulteriore opportunità di circumambulazione, atto di culto che si compie porgendo la destra al sacrario. Le pareti interne dell’ambulacro sono decorate con splendide sculture ad alto rilievo tra le quali spicca l’immagine della dea Durga nell’atto di sconfiggere il demone Bufalo, una tra le più notevoli in assoluto. Edificato alla fine del VII secolo, il tempio ricorda molto, per forma, le sale di culto (Chaityagriha) che erano tipiche dei templi in grotta di stampo buddhista, tradizione religiosa che per lunghi secoli aveva fortemente influenzato la produzione artistica della regione.

Altrettanto interessante dal punto di vista architettonico, per la funzione di “modello embrionale” che svolge nella storia dello sviluppo dello stile Chalukya,  è il cosiddetto Lad Khan Mandir che prende il nome da colui che lo occupò per qualche tempo, probabilmente un pastore o un santo musulmano. A pianta quadrata, il tempio venne edificato alla fine del VII secolo e manca totalmente di quelle forme slanciate che caratterizzeranno in maniera distinta sia i templi del Nord che quelli del Sud. Il tetto risulta infatti piatto, composto da massicci lastroni di pietra che culminano con una piccola cappella dove sono ospitate alcune immagini sacre.

Leggermente spostata rispetto a questi due, situata sul fianco della collina che circonda il sito sacro, si trova la Ravanaphadi Cave, forse il più antico tempio in grotta dei Chalukya. Scavata intorno al 550, la grotta consiste di un portico a due colonne che vede una splendida rappresentazione di Shiva Nataraja ( “il re della danza”) accompagnato dalle Sette Madri (saptamatrika) raffigurate a grandezza naturale.

Ancora più in alto sulla collinetta che sovrasta l’intero sito archeologico di Aihole, vi è poi il Meguti Jain Temple, il più antico tempio strutturale della zona consacrato alla fede jainista. Datato 634 d.c., venne commissionato sotto il regno di Pulakeshin II ma rimase molto probabilmente incompiuto. Raggiungendo la cella posta sul tetto, potrete godere di meravigliose viste panoramiche.

Retro del Tempio di Durga a Aihole

Tempio di Durga a Aihole

Ingresso al Lad Khan Mandir di Aihole

Lad Khan Mandir a Aihole

Ravanaphadi Cave a Aihole

Ravanaphadi Cave a Aihole

Situato anch’esso sulle rive del fiume Malaprabha a pochi chilometri da Aihole, sorge il parco archeologico di Pattadakal, oggi sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco e che servì, nei secoli VII e VIII, come luogo di  incoronazione dei re Chalukya. Qui, quattro templi nagara e sei dravida, assegnabili alla fase più matura dell’arte Chalukya, sono custoditi all’interno di un ordinato giardino, la cui quiete potrebbe essere facilmente interrotta dagli schiamazzi delle scolaresche in visita didattica.

Meravigliosi esemplari nei due stili architettonici si trovano costruiti l’uno accanto all’altro, ora ricordandoci la struttura dei templi Pallava di Kanchipuram – da cui molto probabilmente presero ispirazione – ora le slanciate forme del Nord, con alti shikhara (pinnacoli) che sovrastano le celle sacre. E’ il caso rispettivamente del Tempio di Virupaksha e del cosiddetto Galaganatha, entrambi capolavori di grande pregio.

Tempio di Virupaksha a Pattadakal

Tempio di Virupaksha a Pattadakal

Sito archeologico di Pattadakal

Sito archeologico di Pattadakal

Tempio di Galaganatha a Pattadakal

Tempio di Galaganatha a Pattadakal

Giunti quindi finalmente a Badami, antica capitale del regno e oggi cittadina incastonata in un suggestivo paesaggio, tra colline di pietra rossa affacciate sul lago Agastya, ecco apparire di fronte ai nostri occhi alcuni tra i templi rupestri più affascinanti di tutta l’India. Scavate nel fianco della collina chiamata South Fort, le quattro grotte di patrocinio reale, si trovano collocate a diversi livelli, la prima dedicata a Shiva, la seconda e la terza a Vishnu mentre la quarta al culto jainista. Sulle pareti, grandi pannelli a rilievo, riproducono varie forme delle divinità, tutte finemente scolpite ed estremamente elaborate.

Lungo le sponde del lago e sulla collina chiamata North Fort, si trovano altri esempi di templi costruiti in stile dravida, alcuni dei quali colpiscono per le forme particolari, rare nel loro genere. Tra questi il tempio di Mallikarjuna e il Melagitti Shivalaya Mandir, entrambi dedicati a Shiva.

Badami, che si apprezza meglio se vista al tramonto quando la luce del sole accende di rosso le pareti rocciose che la circondano, è uno dei quei tanti luoghi dell’India capace di trasmettere grande spiritualità e immenso fascino, un luogo che trasuda storia di altre epoche. Occhio alle scimmie!

Vista della collina North Fort a Badami

North Fort a Badami

Guardiano della porta a Badami

Guardiano della porta a Badami

Interno della grotta n. 2 a Badami

Vishnu Narasimha

Pannello della grotta n. 2 a Badami

Vishnu nella forma di Vamana

Interno della grotta n.3 a Badami

Vishnu sul serpente Shesa

Interno grotta jaina a Badami

Interno grotta jaina a Badami

Tutti questi luoghi possono essere facilmente raggiunti con i mezzi pubblici tenendo come base Badami oppure, se state pernottando ad Hampi, non sarà difficile organizzare un’escursione in giornata prenotando un taxi in qualsiasi agenzia di viaggi. Un’ottimo ristorante che serve solo piatti tipici dell’India del Sud è il “Geeta Darshini”,  vicino alla stazione dei bus di Badami.

Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto

Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto 1024 640 Sonia Sgarella

Lo chiamavano il “grande eroe”, maha malla, ed era tra i più eminenti sovrani della dinastia Pallava. Narasimhavarman I, che regnò all’incirca tra il 630 e il 668 d.c., dotato di vitalità creativa raramente eguagliata, diede vita ad una tra le più celebri e preziose arti dell’India di ogni epoca e ad un linguaggio espressivo che diventerà caratteristico dell’India meridionale, cosiddetta dravidica.

In un tentativo di esaltazione della sua figura, volto ad identificarlo almeno parzialmente con la divinità, Narasimha fece di un piccolo porto sulla costa del Coromandel, già da tempo immemore conosciuto come Mallai, un importantissimo scalo commerciale sulle rotte per l’oriente, nonché un’autentica galleria d’arte a cielo aperto.

Mamallapuram - spiaggia

Venne così rinominata Mamallapuram, “la città del grande eroe” quella che è ancora oggi una rilassante cittadina di pescatori affacciata sul Golfo del Bengala. Punteggiata di palme e incorniciata a levante da una lunga spiaggia di sabbia dorata, Mamallapuram, anche conosciuta come Mahabalipuram, conserva intatto un esuberante repertorio di opere d’arte, espressione del lavoro di decine, centinaia o forse migliaia di scultori, tutt’oggi sconosciuti, che fecero di questa località uno dei più importanti laboratori d’arte del subcontinente.

Santuari in grotta, templi monolitici o costruiti, bassorilievi, altorilievi e sculture a tutto tondo sono nell’insieme volti ad onorare gli dei e costituiscono oggi un patrimonio mondiale dell’umanità, scolpito nelle levigate collinette di granito che spuntano lungo questo tratto di costa indiana. Non sempre portate a termine, le opere risultano a volte di dubbia interpretazione ma forse, ancora una volta, tutto è riconducibile al fatto che Mamallapuram fosse la sede di una grande scuola d’arte  dove le leggi scultoree venivano sperimentate, testate e, una volta esaurito l’interesse del patrocinante, abbandonate.

Risalendo dalla spiaggia, dove vi sarete già immersi nella storia raccontata dalle pietre scolpite dello Shore Temple (Tempio della Spiaggia) – esemplare più antico di “tempio strutturale”, costruito nell’India del Sud ad opera del successore Pallava Narasimhavarman II (700-728 d.c.), detto anche Rajasimha – camminando verso il centro dell’abitato lungo la Shore Temple Road, improvvisamente vi apparirà di fronte agli occhi quella che è sicuramente l’opera più straordinaria commissionata da Narasimhavarman I: un rilievo di proporzioni grandiose (all’incirca 30 metri per 15) che occupa l’intera facciata di una bassa collina rocciosa.

Mamallapuram - Arjuna's Penance

Voleva forse essere il biglietto da visita del grande sovrano rivolto ai mercanti e ai viaggiatori che giungevano dal porto – tra i primi, si racconta, Marco Polo –  e nelle giornate di festa doveva mostrarsi in tutta la sua bellezza, con una cascata d’acqua che dalla sommità discendeva nel solco centrale del monolite, a riempire la vasca d’acqua che si trova ancora oggi ai suoi piedi. L’acqua, fonte di vita e purificatrice, abitata da creature serpentine, i cosiddetti naga, voleva essere la probabile illustrazione della discesa del Gange sulla terra. Il sacro fiume scorreva infatti in cielo, finché il re Bhagiratha, con la sua penitenza e la sua fede, ottenne da Shiva che si riversasse in terra a purificare i resti dei suoi antenati.

Un’altra interpretazione, che va per la maggiore, vuole però che il grande rilievo, conosciuto localmente come Arjuna’s Penance (Penitenza di Arjuna), sia la rappresentazione di un episodio famoso del Mahabharata, il più grande poema sacro dell’India. Arjuna, costretto insieme ai fratelli Pandava ad un esilio di 12 anni nella foresta, si ritira in ascesi al fine di recuperare le armi divine indispensabili per vincere la guerra contro i cugini Kaurava. Rifugiatosi sull’Himalaya in cerca di Shiva, dedicatosi a mortificanti pratiche ascetiche, riceve dal grande dio la grazia di poter disporre di pashupata, tremenda arma divina.

L’episodio viene raffigurato a sinistra della fenditura centrale, che vede un asceta ritto su una gamba sola, a braccia alzate di fronte alla figura maestosa del grande dio. Tutto attorno, una profusione di figure celestiali, divine (vedi l’immagine di Vishnu posta all’interno di un tempietto), umane e animali , donano al rilievo una sorprendente vitalità. La ricchezza e l’eleganza della scultura Pallava sono qui espresse magnificamente e vi lasceranno a dir poco stupiti. Ma aspettate un attimo…che cosa ci fa un gatto in posizione ascetica di fronte a un gruppo di topi devoti? L’umorismo della scultura Pallava, oltre all’eleganza e alla ricchezza, vi lascerà estremamente stupiti!

Mamallapuram - Arjuna's Penance

A destra, a sinistra e alle spalle dell’ “Arjuna’s Penance”, una concentrazione di monumenti e formazioni rocciose dedicati alle maggiori divinità dell’induismo, vi terranno occupati una mezza giornata: il padiglione di Krishna (Krishna Mandapa), ornato con magnifiche sculture che raccontano le gesta del dio adolescente, la “palla di burro” (Krishna’s butter ball), roccia in precario equilibrio da millenni, la grotta di Durga che uccide il demone bufalo, con un magnifico rilievo che raffigura la mitica impresa, e ancora il tempio della Trimurti, con le immagini dei tre principali dèi dell’induismo e la grotta del Varaha, dal nome della discesca (avatara) in terra di Vishnu sotto forma di cinghiale.

Prendetevi il vostro tempo in questa zona prima di dirigervi a sud dell’abitato, alla ricerca dell’altro grande capolavoro di Mamallapuram: conosciuto col nome di “Five Ratha” (cinque carri), si tratta di un gruppo di cinque templi dedicati anch’essi ai cinque fratelli Pandava e alla moglie Draupadi (ebbene sì, in India succede anche che una sola donna possa essere la moglie di cinque fratelli!). Ognuno di questi prende il nome di uno (o due nel caso dei gemelli) dei sei personaggi leggendari. Ricavati, come l’“Arjuna’s Penance”, da colline granitiche – quattro dei quali da un unico masso e quindi disposti sullo stesso asse – si tratta per la verità di cosiddetti vimana, termine usato nell’India del sud per designare la cella del tempio contenente l’immagine sacra (murti), con la sua elevazione. Non vi è però nessun riferimento storico riguardo al rapporto di questi con i cinque fratelli Pandava. Si tratta invece di templi dedicati al culto delle divinità principali dell’induismo i quali, tuttavia, non vennero mai consacrati bensì, come accadde spesso a Mamallapuram, lasciati incompiuti.

Mamallapuram - Five Ratha Mamallapuram - Five Ratha Mamallapuram - Five Ratha

Ritornate quindi verso la spiaggia, dove potrete finalmente godervi le luci del tramonto affacciati sul Golfo del Bengala. Immaginate: qui il 26 dicembre del 2004, quando l’acqua dell’Oceano si ritrasse di circa 500 metri per abbattersi poco dopo sulla costa sotto forma di un devastante tzunami, turisti e residenti videro emergere dall’acqua quelli che gli studiosi hanno successivamente constatato essere i resti di alcuni templi sommersi. Ciò non conferma ma sicuramente fortifica la tesi secondo cui a Mamallapuram sorgevano un tempo sette pagode.

Un mito o forse storia, questo non è dato sapersi: quel che è certo è che un tempo la zona sacra della città era molto più estesa di quello che è oggi e chissà che forse, un giorno, nuove e significative testimonianze dell’arte Pallava non verranno rubate alle onde del mare per fare finalmente luce sui misteri di una delle dinastie più curiose dell’India del Sud.

Altri siti interessanti

A circa quattro kilometri a nord del sito principale, rimanendo lungo la costa, si trova la cosiddetta Grotta degli Yali (o della tigre), creature mitologiche le cui teste mostruose circondano la facciata arrotondata di un masso scolpito.

Accanto a questa, a distanza di poche decine di metri, un altro padiglione dedicato al dio Shiva contenente un moderno lingam (icona fallica simbolo del dio) di granito e recante eloquenti iscrizioni (per chi le capisce ovviamente!). Quale fosse la loro funzione? Neanche in questo caso è dato saperlo. Alcune ipotesi sostengono che potesse trattarsi di un sito secondario dove venivano trasportate in processione le immagini sacre durante periodi di festa per poi fare ritorno in città.

Grotta degli Yali: entrata

Dei 108 templi sacri a Vishnu (Divya Desam) elencati nei testi dei 12 Santi poeti Tamil (Alvar), uno si trova proprio qui a Mahabalipuram. Situato nel cuore del villaggio, accanto alla fermata principale degli Autobus, si tratta del  tempio di Sthala Sayana Perumal, risalente all’epoca Pallava ma ampliato e rimodernato nel corso dei secoli. Essendo l’unico tempio attivo della città, è qui che potrete assistere alle cerimonie di omaggio alla divinità (puja). Il tempio è aperto dalle 6.30 alle 12 e dalle 15 alle 20.30.

Questo articolo è stato pubblicato sul sito IndiaInOut.com in data 01/08/2014

 

 

Scimmia al Galwar Bagh di Jaipur

Viaggio tra i templi degli animali

Viaggio tra i templi degli animali 904 500 Sonia Sgarella

Articolo in 2 minuti – E se Dio fosse un animale, quale sarebbe? Una scimmia, un serpente ma anche un topo: così potrebbe rispondervi qualunque indiano, aggiungendo tanto di spiegazione mitologica alla propria affermazione. Non importa quale sia l’orientamento religioso, se la divinità prediletta sia Vishnu, Shiva o la Dea: modificando il soggetto il risultato non cambia.

La zoolatria, ovvero il culto religioso che considera gli animali come una manifestazione della divinità, ha fatto si che in tutta l’India, creature di ogni sorta venissero (e vengano ancora) elevate allo status di entità divine per essere oggetto di culto da parte della stragrande maggioranza della popolazione hindu. 

Migliaia sono infatti i devoti pellegrini che ogni giorno, spinti da sentimenti di devozione ma anche di profana curiosità, si recano nei templi degli animali per render loro omaggio.

Dalla collina delle aquile in Tamil Nadu al tempio dei topi del Rajasthan, passando per quello dei cani in Karnataka, andiamo alla scoperta dei più importanti templi dedicati agli animali, in un viaggio che ci porterà in alcuni dei meno noti angoli del paese.


Per approfondire

Tempio delle aquile

A soli 15 kilometri da Mamallapuram, sulla strada che porta a Kanchipuram, si trova l’allegro villaggio di Thirukazhukundram. Sulla sommità di una collina presso questa città sorge il tempio di Vedagirishvara, dedicato a Shiva.

Il nome del paese appena menzionato, di difficile pronuncia, ci racconta la storia leggendaria del luogo: Thiru-Kazhugu-Kundram, che in lingua tamil significa “la rispettabile montagna delle aquile”, ci parla di quei due volatili che intorno a mezzogiorno, dovrebbero sorvolare le fertili pianure del Tamil Nadu per giungere a posarsi in cima al promontorio roccioso, in cerca di cibo.

La tradizione vuole che le cosiddette aquile (trattasi invece di due avvoltoi egiziani), probabile incarnazione di due veggenti divini (rishi), siano originarie di Varanasi e che, qualora dovessero mancare all’appuntamento, la colpa sarebbe da imputare alla presenza di peccatori tra i visitatori.

Sarà dunque per il dilagare della corruzione nel mondo che di questi volatili pare non essersi più vista neanche l’ombra dal lontano 1998? Un piccolo dettaglio che tuttavia non trattiene i fedeli dal raggiungere la cima del monte.

Una scalinata di 550 gradini, da percorrere a piedi scalzi, è ciò che separa il santuario dal fondo valle, da dove centinaia di pellegrini giungono infatti ogni giorno per rendere omaggio allo Shiva lingam (icona fallica) custodito nella cella del tempio. Colori da tutta l’India e sorrisi di complicità per lo sforzo sostenuto vi accompagneranno lungo la ripida salita da cui si godono vedute spettacolari dell’altro tempio della città, il Tripurasundari Amman Temple, dedicato invece a Parvati, “la bella dei tre mondi” consorte del grande dio.

Tempio delle lucertole

Ancora in Tamil Nadu, a Chinna Kanchipuram, a pochi kilometri da Kanchipuram stessa, sorge uno dei Divya Desams, i 108 templi consacrati a Vishnu descritti nei testi dei santi poeti Tamil (Alvar) che costituiscono meta di pellegrinaggio per tutti i devoti di fede vaishnava. Il Varadaraja Perumal Temple, oltre all’importanza che ricopre dal punto di vista storico-artistico, è l’unico che vanta la presenza di due lucertole tra le sue icone sacre.

Una d’oro e l’altra d’argento, si trovano custodite all’interno di una delle tante celle del tempio. La tradizione vuole che chiunque le tocchi venga liberato da ogni sorta di problema o malattia risultante dall’accumulo di karma negativo, sia esso consapevole o inconsapevole. Le lucertole sono infatti considerate delle creature divine capaci di trasmettere buona o cattiva sorte.

Si dice, per esempio, che se una lucertola dovesse cadervi in testa, potrebbe accadervi una terribile disgrazia; se invece dovesse cadervi sui piedi, preparate le valigie perché si parla di viaggi in vista!

Tempio dei serpenti

In Kerala, di tutti i templi consacrati al dio serpente, quello di Mannarasala – dedicato al re di questi (Nagaraja) – è sicuramente il più importante. Situato a pochi kilometri da Haripad, nel distretto di Alappuzha, e nascosto tra la fitta vegetazione tipica di questa regione, trattasi di un luogo in cui storia e leggenda si intrecciano l’una nell’altra fino a confondersi.

Fondato secondo il mito dalla sesta discesa in terra (avatara) di Vishnu, ovvero da Parasurama in persona, il tempio custodisce svariate migliaia di icone serpentine, simboli consolidati di fertilità e abbondanza.

Novelli sposi e devoti pellegrini da tutto il paese giungono fin qua recando le loro offerte, ognuna delle quali servirà da pegno per la realizzazione di specifiche richieste: tra le varie burro chiarificato (ghee) per una lunga vita, un caratteristico recipiente di bronzo (uruli) per le coppie in cerca di un figlio e curcuma per proteggersi dal veleno.

Tempio dei topi

Benvenuti a Karni Mata, il tempio di Deshnok, in Rajasthan, l’unico al mondo dove ad essere venerati sono migliaia di topi!

Avete capito bene, autentici ratti!

Ma questa è l’India, perché vi stupite? Il luogo dove tutto è possibile, il paese delle stranezze e delle contraddizioni, dove per ogni cosa è prevista una spiegazione e se non c’è, la si inventa!

Karni Mata, venerata localmente come incarnazione della grande dea Durga, fu una donna-asceta che visse a cavallo tra il XIV e il XV secolo.

Nata nella casta dei Charan, i cui membri sono riveriti per essere grandi poeti e ancor migliori soldati, assunse presto il titolo di divinità madre occupando un ruolo importante nelle vite di grandi sovrani dell’epoca tra i quali Rao Jodha, fondatore di Jodhpur.

Racconta il mito che un giorno la donna chiese a Yama, il Dio della morte, di riportare in vita un bambino, figlio di un cantastorie Charan. Il Dio rispose che non avrebbe potuto farlo, poiché il piccolo si era già reincarnato. Fu allora che Karni Mata andò su tutte le furie e proclamò che da quel momento in poi ogni Charan, dopo la morte, avrebbe eluso il passaggio nel suo regno per essere giudicato e si sarebbe reincarnato direttamente in un topo.

Ecco quindi la ragione di tanta devozione verso i migliaia di roditori scorrazzanti che ogni giorno vengono nutriti con latte, zucchero e gustosi dolcetti a base di burro. Vedere per credere!

Tempio delle scimmie

Sempre in Rajasthan ma questa volta a 10 kilometri da Jaipur, nella località di Khania-Balaji, si trova il famoso Galwar Bagh, anche noto come Galtaji Temple, la dimora dei macachi indiani. Arroccato in una stretta gola rocciosa dei Monti Aravalli, il complesso templare comprende diversi santuari, uno dei quali ovviamente dedicato ad Hanuman che secondo la tradizione sarebbe il re dei primati nonché fedele servitore del dio Rama.

Sette vasche idriche, colme di quell’acqua che sgorga quasi miracolosamente dalle rocce di un territorio altrimenti arido, tra i più aridi dell’India, sono la risorsa naturale che attira una popolazione di pare oltre cinquemila scimmie, la cui presenza ha fatto guadagnare al luogo il soprannome di “Palazzo delle scimmie”.

Munitevi di un bastone se possibile (troverete sicuramente qualcuno all’entrata disposto a noleggiarvelo in cambio di qualche rupia) ed evitate di recare con voi cibo o bevande perché qui – e come del resto ovunque in India – le scimmie possono essere davvero rapaci.

Tempio dei cani

Ebbene si, non ci crederete ma l’ultima trovata indiana è stata quella di inaugurare un tempio dedicato ai migliori amici dell’uomo: i cani. E’ successo nello stato del Karnataka, in un villaggio vicino a Channapatna nel distretto di Ramanagara, a circa 60 kilometri da Bangalore. Era il 2010 quanto gli abitanti del luogo hanno concordato di elevare la razza canina allo status di divinità e di fondare quindi un santuario dedicato al dio cane, emblema per eccellenza di lealtà e fedeltà.

Sembrerebbe che le due icone presenti all’interno della cella sacra, celebrate come divinità dalla gente del posto, siano in grado di esaudire i desideri dei devoti e di proteggerli dalla sventure che potrebbero incombere su di loro.

Ricordate: in India tutto è possibile!

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Tempio dei Topi

Tempio dei Topi

Tempio dei Topi

Tempio dei Topi

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

 

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Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina www.indiainout.com il 14 luglio 2014

Buda, Pest e Isola Margherita. La Perla del Danubio in due giorni d’estate

Buda, Pest e Isola Margherita. La Perla del Danubio in due giorni d’estate 1680 1050 Sonia Sgarella

Budapest è la più bella città del Danubio; dà la sensazione fisica della capitale, con una signorilità e un’imponenza da città protagonista della storia” (Claudio Magris)

Difficile è oggi, camminando per le strade di Budapest, immaginare i momenti bui di questo brillante gioiello del Danubio: l’invasione mongola, le battaglie contro i turchi, le guerre d’indipendenza dalle forze austriache e le rivolte contro il regime comunista sovietico sembrano parlare di un’altra storia, di altri luoghi. Sicuramente più facile risulta oggi esaltarne le glorie e le grandi qualità che si riflettono nella signorilità e nello splendore dei suoi siti Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Pest, Buda e Obuda, sorte sulle sponde opposte di quel grande fiume che scorre lento e maestoso da nord a sud dividendo la città in due metà complementari, l’una adagiata dolcemente in pianura, l’altra, che domina dall’alto delle colline, unite dal 1873 sotto un unico nome e rese inseparabili da quei grandi sette ponti che ne raccontano un’esistenza centenaria. Una città nata dall’acqua e sull’acqua e che di questa ne fa la sua immensa ricchezza. Sotto il suolo di Budapest si muovono infatti le sorgenti termali più rinomate dell’Ungheria, le stesse che sin dall’antichità hanno arricchito il soggiorno di popoli e domini, viaggiatori, aristocratici ed artisti.

La sua storia comincia infatti con i popoli celtici, che diedero al primo insediamento il nome di Ak-ink (“acqua abbondante”) e continua con i romani che chiamarono l’ultima provincia del loro impero “Aquincum”, in riferimento ancora una volta alla presenza di questa grande risorsa naturale. Furono però turchi ed austriaci che regalarono a Budapest l’appellativo di “Città delle Terme”, rendendo i bagni termali delle piccole meraviglie architettoniche. Un grande peccato sarebbe dunque non godere di questa salutare presenza durante un soggiorno in città.

Di seguito vi suggerisco i due bagni termali più famosi:

Terme Gellert: tra le più belle ed eleganti di tutta Europa, costruite in stile liberty e decorate con stupendi mosaici e maioliche.

Indirizzo: 1118 Budapest, Kelenhegyi út 4

Apertura: tutti i giorni dalle 6 alle 20.

Terme Gellert

Terme Széchenyi : uno dei maggiori complessi balneari d’Europa situato nel cuore del parco pubblico di Városliget.

Indirizzo: 1146 Budapest, Állatkerti krt. 11

Apertura: tutti i giorni dalle 6 alle 22.

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La sorgente artesiana di queste ultime si trova ad una profondità di 1250 m. proprio sotto la Piazza degli Eroi (Hősök tere), nel XIV distretto di Pest, luogo che racconta l’evoluzione storica della città attraverso le sculture dei principali personaggi politici succedutisi nel tempo. In mezzo alla piazza di forma absidale, che si apre ad occidente come se si trattasse di una enorme chiesa, spicca verso il cielo il cosiddetto “Monumento del Millenario“, una colonna eretta nel 1896 per commemorare il primo millennio di storia ungherese.

Piazza degli Eroi

Nell’ 896 infatti la regione della pianura pannonica vide l’arrivo di sette tribù magiare, guidate da altrettanti capi leggendari, che fondarono l’Ungheria.  Il personaggio principale tra le sette figure a cavallo è Árpád, primo membro della dinastia Arpadiana. In cima alla colonna la statua dell’Arcangelo Gabriele che reca in mano i due simboli più importanti per la nazione: la corona di Santo Stefano, primo re d’Ungheria (da non confondere con S.Stefano martire!), senza la quale nessuna incoronazione poteva ritenersi valida, e la duplice croce apostolica che fa riferimento alle concessioni fatte a Santo Stefano da Papa Silvestro II, esattamente nell’anno 1000, in riconoscimento dei suoi sforzi per convertire gli ungheresi al cristianesimo.

La sacra corona è oggi custodita all’interno dello stupefacente Parlamento, grande signore della città che vanitoso si specchia nelle acque del Danubio consapevole di essere il monumento più fotografato. Da non perderlo illuminato dopo il tramonto! Indubbiamente la vista migliore la si avrà guardandolo dall’alto delle colline di Buda. Attraversato quindi il famoso Ponte delle Catene, che per primo unì le due sponde del fiume, e raggiunto il “punto zero” della città, a partire dal quale vengono calcolate tutte le distanze, approfittate della pittoresca funicolare per raggiungere il Palazzo Reale e, da lì, la Chiesa di Re Mattia e il panoramico Bastione dei Pescatori.

Sovrastata da splendide guglie in stile neogotico, su una delle quali poggia il corvo reale che porta nel becco un anello d’oro, simbolo di Mattia Corvino ( Mátyás Hunyadi, re dal 1458 al 1490) la Chiesa Mattia, oggi dedicata alla Madonna, è una delle chiese più interessanti della città e una delle più amate dai suoi cittadini. Impreziosita da vetrate, affreschi e da motivi decorativi che rimandano al periodo di occupazione turca, quando fu trasformata in una moschea, la chiesa è stata scenario di memorabili incoronazioni tra cui quella di Francesco Giuseppe I e della consorte Elisabetta (Sissi).

Chiesa Mattia

Dal balcone panoramico del vicino Bastione dei Pescatori, che prende il nome dalla corporazione di pescatori che era stata incaricata di difendere questo tratto di mura della città durante il Medioevo, guardando verso nord si intravede anche l’Isola Margherita (Margit-Sziget), il polmone verde della città, troppo spesso esclusa dagli itinerari più turistici. Lunga quasi tre kilometri e completamente ricoperta di piante e fiori è una pacifica parentesi naturale tra una sponda e l’altra dove godere di un po’ di riposo…non tralasciatela!

Insomma Budapest è bella davvero e lascia piacevolmente stupiti i visitatori che arrivano convinti di incontrare una vecchia e trasandata capitale dell’est Europa. Niente di tutto questo. Ordine, pulizia e splendore regnano sovrani rendendo Budapest degna dell’appellativo di “Perla del Danubio”!

 

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