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Festival di Hemis: si aprano le danze!

Festival di Hemis: si aprano le danze! 2000 1333 Sonia Sgarella

E’ il decimo giorno del mese (tsechu) secondo il calendario lunare e, come tutti gli anni, tra maggio e luglio, il monastero di Hemis, il più grande e ricco del Ladakh, si prepara ad ospitare il festival più famoso della regione himalayana. Pellegrini provenienti da ogni angolo del paese, a volte anche a giorni di cammino di distanza, vestiti degli abiti tradizionali migliori, si riuniscono nel cortile principale del gompa per assistere ai due giorni di celebrazioni volti a rievocare la vita e gli insegnamenti di Guru Rimpoche nel giorno della sua nascita.

Conosciuto anche con il nome sanscrito di Padmasambhava (il nato dal loto), Guru Rimpoche è considerato dalla tradizione il fondatore del buddhismo tibetano e colui che ne ha permesso la diffusone. Due giorni di danze scandite dal ritmo intenso di cimbali, trombe e tamburi; un momento di ritrovo e di divertimento ma soprattutto un’occasione per il popolo di entrare in contatto con la vita e la parola del grande Maestro che gli abitanti percepiscono presente all’evento insieme a loro.

Un’imperdibile opportunità per apprendere i contenuti essenziali del suo insegnamento attraverso uno strumento accessibile a tutti. La danza è infatti il mezzo offerto dai monaci residenti ai fedeli per aiutarli a percepire l’essenza della dottrina e dargli uno stimolo per approfondire in seguito la propria ricerca personale. La sequenza delle rappresentazioni  così come i contenuti possono essere modificati per adattarsi al folklore locale purché non vengano mai omessi gli eventi relativi alla vita del grande Guru.

Si dia inizio alle danze quindi! Non sarà difficile farsi trasportare dal coinvolgimento collettivo. Sono tutti presenti, grandi e piccini, uomini e donne, monaci e laici, perché la sola partecipazione, si dice, predisporrà le condizioni karmiche che favoriranno il raggiungimento più veloce della liberazione (nirvana).

E’ fondamentale aprire la cerimonia con le danze di purificazione del luogo in cui si terrà l’evento, uno spazio circolare – riproduzione terrena di un sacro mandala che deve essere ripulito da ogni possibile presenza negativa. L’obiettivo è quello di creare una dimensione pura dove possano manifestarsi le entità divine impersonate dalle maschere. Il danzatore, attraverso la meditazione e le visualizzazioni, entra infatti in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta e con cui ha stabilito un rapporto profondo. “Lui” è la divinità stessa. Le forze negative verranno spinte verso il centro del mandala dal vortice delle danze e convogliate in un oggetto simbolico (un feticcio, una scatola metallica o una rappresentazione fallica) che verrà possibilmente distrutto alla fine del rito.

Entrano quindi in scena i durdag, i guardiani degli 8 luoghi di cremazione posti – secondo la cosmologia buddhista- intorno al monte meru e che indossano maschere bianche aventi le sembianze di un teschio. A loro seguono gli sha-na, i danzatori dai grandi cappelli di feltro nero e dall’abito di broccato colorato. Nessuna maschera gli copre il volto perché loro rappresentano degli yogi, grandi maestri spirituali in grado di uccidere i demoni destinandoli però ad una rinascita in una terra pura dove possano ricevere gli insegnamenti di un buddha e rientrare quindi nella schiera degli esseri protettori della fede. Un’altra sequenza possibile è la danza delle divinità terrifiche (tungam) che vede maschere dall’aspetto terrificante uccidere gli spiriti del male per mezzo del purbha, il pugnale tantrico con tre lame.

Una volta purificato il campo di azione potrà avere inizio il Guru Tshen Gye, la rappresentazione delle 8 manifestazioni di Guru Rimpoche che faranno il loro ingresso in processione accompagnate dal grande Maestro stesso. Caratterizzato da una maschera d’oro, è sempre protetto da un parasole e spesso accompagnato dalle due consorti Mandarava e Yeshe Tsogyal. Per riconoscere le diverse manifestazioni basterà guardarne la fisionomia, l’abito e gli attributi che recano in mano.

  1. Tshokye Dorje: maschera color petrolio dall’aspetto pacifico, abito di broccato blu, nelle mani vajra e campana.
  2. Shakya Senge: maschera dall’aspetto di Buddha, abito monacale rosso e giallo, nelle mani una ciotola per le elemosina.
  3. Loden Chogsey: maschera bianca o arancio dall’aspetto pacifico, abito di broccato bianco decorato o rosso, nelle mani un tamburello e una ciotola.
  4. Padmasambhava: maschera bianca con copricapo rosso a punta, abito monacale rosso e giallo.
  5. Pema Gyelpo: maschera bianca o rosa con la barba, abito di broccato bianco decorato o rosso, nelle mani un tamburello e uno specchio.
  6. Nyima Yeozer: maschera gialla con bara blu, abito di broccato giallo, nelle mani un tridente.
  7. Sengye Dradrok: maschera dall’aspetto terrifico blu, abito di broccato blu. Di solito accompagnato dai suoi attendenti, anch’essi dall’aspetto terrifico.
  8. Dorji Drakpo: maschera rossa dall’aspetto terrifico. Di solito accompagnato dai suoi attendenti, anch’essi dall’aspetto terrifico.

La danza si conclude con una processione finale e con l’uscita di scena di tutte le figure. Seguiranno altre danze e rituali. La purezza del sito dove sorge il monastero è stata così rigenerata e rimarrà tale fino al prossimo tsechu. Allora gli abitanti del Ladakh si rimetteranno in cammino  e si riuniranno di nuovo nel gompa per assistere ad uno degli eventi più attesi dell’anno.

La mia prima volta negli States @ Chicago!

La mia prima volta negli States @ Chicago! 960 960 Sonia Sgarella

La mia prima volta negli States è stata proprio come me l’aspettavo! Quattro amiche, una città –Chicago– e l’occasione di festeggiare i trent’anni per immergerci a picco nella cultura di quel popolo tanto acclamato e di quel paese tanto sognato da decine di generazioni: l’America, la terra dell’abbondanza, la patria dell’eccesso. E se la tradizione culinaria è quella che più esprime l’essenza di una nazione, non c’è dubbio…gli americani sono dei “grandi”! Grandi consumatori di enormi porzioni di cibo, il paese dove la “small” corrisponde alla nostra “extra large”, dove un piatto mezzo vuoto non ha ragione di esistere e dove un singolo pasto, in generale, potrebbe appesantire anche lo stomaco più ingordo! Ma nonostante questo non si può assolutamente, una volta giunti fin li,  rinunciare all’esperienza del mitico Brunch e non sedersi quindi in una tipica caffetteria per godersi quello che di meglio la cucina può offrire: uova, bacon, patate, pancakes, waffles e chi più ne ha più ne metta…la scelta è ampia e sfido chiunque ad ordinare più di un piatto…non fatelo, è umanamente impossibile mandare giù tutta quella roba! Tra i locali testati e più popolari vi sono in ordine di bontà:

“Wildberry” si trova a sud del fiume, al limite settentrionale del Millenium Park, una tappa obbligata per chi è interessato a perdersi in una serie infinita di scatti fotografici al famoso “The Bean“, una delle attrazioni turistiche più gettonate di Chicago. Progettata dall’artista britannico di origini indiane Anish Kapoor, la scultura , selezionata durante una competizione di design nel 1999 e inaugurata ufficialmente nel 2006, venne rinominata “Il Fagiolo” per via della sua forma da legume che riflette e distorce l’immagine dei grattacieli circostanti nonché delle persone che gli sia avvicinano.

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Proseguendo quindi su Jackson Boulevard, fate il vostro ingresso nel cuore della città , il cosiddetto Loop, il centro storico della zona economica per ritrovarvi circondati da decine di meravigliosi grattacieli, uno più interessante dell’altro, e giungere infine alla Willis Tower (nota anche come Sears Tower) che con i suoi 443 metri ha mantenuto il primato di edificio più alto del mondo fino al 1998, ancora oggi il più alto d’America. Con una superficie seconda solo al Pentagono, la struttura della Willis è composta da nove torri di varie altezze  per un totale di 110 piani che culminano con due grandi antenne televisive di colore bianco, visibili da ogni angolo della città . Fatelo dunque, entrate e, acquistato il biglietto al costo di 19$, prendete l’ascensore per salire al 103esimo piano del grattacielo da dove accedere allo “Sky Deck” ovvero a quattro balconcini di vetro esposti all’esterno che vi daranno la sensazione di camminare nel vuoto, a 412 metri di altezza!

GET OUT ON THE LEDGE IF YOU DARE…la vista è mozzafiato!

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Ma il panorama migliore, non c’è dubbio, è quello di cui si può godere dall’alto dell’altro gigante di Chicago, il John Hancock Centre all’ 875 di Michigan Avenue, il cuore commerciale della città, meglio nota come Magnificent Mile (Mag Mile). Dirigetevi quindi a nord del fiume e una volta raggiunta la torre le opzioni sono due: pagare 18$ per accedere all’osservatorio del 94esimo piano oppure raggiungere gratis la “Signature Room and Lounge” al 96esimo e spendere circa 15$ per un drink con vista! L’oservatorio comunque, da non sottovalutare, offre una vista a 360° e la possibilità di provare le brezza del “Tilt“, la nuova attrazione della città: una piattaforma panoramica che si reclina di 30° verso il vuoto regalando emozioni brevi ma intense!

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E poi l’immenso Lago Michigan, di nuovo il Chicago River, il Blues, il Baseball (se possibile non mancate di visitare il Wrigley Field durante una partita!), la “Deep dish Pizza“, Chicago offre una miriade di possibilità per chi vuole visitare una città degli Stati Uniti poco frequentata dai turisti. Se volete un consiglio sull’hotel il WYNDHAM GRAND è un’ottima struttura e in posizione centralissima. Pagate quel qualcosina in più per una stanza con vista fiume e non ve ne pentirete…il panorama è spettacolare!

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Da li potrete raggiungere facilmente a piedi la HOUSE OF BLUES e il PURPLE PIG, due ottimi ristoranti dove poter cenare. Nel primo potrete farlo sulle note  del mitico Blues…

Il mese di giugno è un periodo perfetto per visitare la città, appena prima del caldo estivo. Evitate invece i mesi invernali quando nella Windy City le temperature possono essere estremamente fredde e raggiungere tranquillamente i 20° sotto zero!

Vienna d’autore: Hundertwasser, un filosofo dell’estetica

Vienna d’autore: Hundertwasser, un filosofo dell’estetica 1200 814 Sonia Sgarella

Da “Il Medico dell’Architettura“, 1990:

“Da quando ci sono urbanisti indottrinati e architetti standardizzati, le nostre case sono malate. Non si ammalano, sono già concepite e costruite come case malate. Tolleriamo migliaia di questi edifici, privi di sentimento ed emozioni, dittatoriali, spietati, aggressivi, sacrileghi, piatti, sterili, disadorni, freddi, non romantici, anonimi, il vuoto assoluto. Danno l’illusione della funzionalità. Sono talmente deprimenti che si ammalano sia gli abitanti sia i passanti. Basti pensare che, se 100 persone vivono in una casa, altre 10.000 vi passano davanti ogni giorno e queste ultime soffrono come gli inquilini, forse ancora di più, per il senso di depressione che emana dalla facciata di una casa sterile.

Le costruzioni uniformi simili a campi  di concentramento e a caserme distruggono e appiattiscono quanto di più prezioso un giovane può apportare alla società: la creatività spontanea dell’individuo. Gli architetti non possono risanare queste case malate, che rendono malati, altrimenti non le avrebbero costruite. Si rende quindi necessaria una nuova professione: il medico dell’architettura. Il medico dell’architettura non fa altro che ristabilire la dignità umana e armonizzare la creazione umana con la natura.

Non occorre radere tutto al suolo, basta apportare cambiamenti in punti strategici, senza grande dispendio di energie o di denaro. È necessario riportare i corsi dei fiumi, precedentemente livellati, ai dislivelli originari, spezzare la sterile e piatta skyline, trasformare i tetti in una superficie discontinua e ondulata, agevolare la crescita della vegetazione spontanea nelle fessure dei muri e dei marciapiedi, dove non arreca disturbo, modificare le finestre e arrotondare in modo irregolare angoli e spigoli.

Il medico dell’architettura è competente anche per operazioni chirurgiche più decisive, come la rimozione di muri e l’installazione di torri e colonne. È sufficiente riconoscere il diritto della finestra, ricoprire di vegetazione il tetto, lasciar crescere l’edera, dare ospitalità agli alberi-inquilini, se si lasciano danzare le finestre, dando loro forme diverse e introducendo quante più irregolarità possibili sulle facciate e negli interni, la casa può guarire. La casa inizia a vivere. Ogni casa, per quanto brutta e malata, può guarire.”

Scriveva così Friedensreich Hundertwasser (nato Friedrich Stowasser a Vienna il 15 dicembre 1928) in un manifesto del 1990 quando il comune della capitale austriaca, a fronte del piano di sviluppo di edilizia popolare per gli anni ’80, aveva già approvato l’estroso progetto e permesso la costruzione della Hundertwasserhaus, un complesso abitativo composto di 50 appartamenti.

Dotato di una personalità eclettica e fuori dal comune, convinto che l’uniformità del sistema abitativo dovesse essere abbandonata a favore dell’irregolarità che rispecchiasse la personalità di chi vi abita, in quanto essere unico e particolare, Hundertwasser fu non solo un eccentrico ideatore di stravaganti soluzioni architettoniche bensì uno dei precursori del movimento ecologista nonchè avanguardista della bioarchitettura.

Nei suoi manifesti invita infatti  oltre al sentirsi “re a casa propria” introducendo elementi ispirati all’oriente quali cupole e colonne anche all’armonizzazione della creazione umana con la natura  inglobando nei suoi edifici alberi, ricoprendo di vegetazione il tetto e utilizzando ove possibile materiali organici.

“L’arte come ponte tra uomo e natura” deve essere percepibile e non rimanere solo teoria. L’ambiente è la fonte di ispirazione primaria: una volta scelto il sito, l’edificio che vi crescerà dovrà far parte integrante di esso e valorizzarlo mettendo in evidenza le sue peculiarità.

“Al giorno d’oggi viviamo in un caos di linee rette, in una giungla di immorali linee rette. La livella e il metro dovrebbero essere vietati, sono il simbolo dell’ignoranza e il sintomo della disintegrazione della nostra civilizzazione”

(Hundertwasser, 2009).

A Vienna è oggi possibile ammirare alcune delle sue opere migliori: la Hundertwasser-Krawinahaus, in Kegelgasse 34-38, visitabile solo dall’esterno; la Kunst Haus Wien, in Untere Weißgerberstraße 13, consistente di due piani sui quali è alloggiata una mostra permanente dedicata alle opere di Hundertwasser ed altri due piani con mostre a soggetto sempre diverse, dedicate a temi d’arte contemporanea. Nel pianterreno si trovano un caffè-ristorante ed un negozio. Da non tralasciare è poi l’inceneritore  di Spittelau,  un impianto di trattamento termico dei rifiuti della città di Vienna che fornisce calore per un anno a più di 60.000 famiglie.

“Happy Journey!” – India fai da te: info utili per chi viaggia in treno e autobus

“Happy Journey!” – India fai da te: info utili per chi viaggia in treno e autobus 350 232 Sonia Sgarella

Cari lettori, siete forse stanchi di viaggiare comodi e avete finalmente deciso di immergervi a picco nella quotidianità di un paese abbandonando taxi privati e pulmini turistici in favore degli indubbiamente più pittoreschi mezzi pubblici? O siete forse in quella fascia d’età irrimediabilmente squattrinata da non potervi permettere una stanza col bagno e figuriamoci un autista privato? Bene, sono queste ottime premesse perché il vostro viaggio si trasformi in avventura, certamente indimenticabile se il paese in questione si chiama India e supera decisamente il miliardo di abitanti! Niente panico, se l’idea di un salto nel buio vi spaventa, sarò io ad aiutarvi a fare luce sull’intricato sistema di trasporti indiano che vi permetterà di raggiungere ogni angolo del paese.

Prenotare un TRENO dall’Italia da qualche anno a questa parte è stato reso possibile da un sito internet partner di quello dell’Indian Railways chiamato Cleartrip. La procedura è alquanto macchinosa, in perfetto stile burocratico indiano, ma in fondo con un po’ di pazienza ce la si può decisamente fare.

Per poter prenotare i treni dall’Italia è necessario dunque registrarsi sia al sito delle ferrovie indiane (IRCTC), sia al suo sito partner Cleartrip che permette, a differenza del primo, il pagamento con carte di credito Visa e Mastercard. Andate quindi sul sito www.cleartrip.com e createvi un vostro account seguendo le operazioni necessarie. Una volta effettuata la registrazione simulate l’acquisto di un biglietto inserendo una stazione di partenza e di arrivo (per es. Udaipur City-UDZ e Bundi-BUDI), scegliendo una classe (per es. Sleeper Class-SL) e una data qualsiasi. Una volta visualizzati i risultati della ricerca premete sul pulsante “check availability and book” perchè il sito vi reindirizzi direttamente su quello delle ferrovie indiane.

Per registrarvi su IRCTC utilizzate lo stesso indirizzo email associato all’account di Cleartrip , mentre nel campo relativo al numero di telefono cellulare inserite un numero fittizio di 10 cifre. All’indirizzo email e al numero di telefono fittizio che avete fornito verranno ora inviati dei codici OTP (One Time Password) che dovrete utilizzare per finalizzare la registrazione.

Per recuperare quello inviato al numero di cellulare dovrete mandare una mail al servizio clienti care@irctc.co.in richiedendo di inviarvi il vostro codice Mobile OTP al vostro indirizzo e-mail. Inserite come oggetto la dicitura “OTP request”, indicate nel messaggio il vostro user ID e allegate una copia del passaporto. Una volta ricevuto il codice potrete quindi attivare l’account IRCTC. Attraverso Cleartrip potrete ora acquistare i biglietti dei treni in formato elettronico.

Se però siete già arrivati in India e preferite mantenere un profilo di viaggio più vecchio stile, ovvero senza quell’organizzazione maniacale e premeditata che vi leghi ad un programma prestabilito ed immutabile, potete allora recarvi ad uno sportello prenotazioni (Computerized Reservation Office) presente presso tutte le stazioni principali del paese. Nelle città più importanti (vedi elenco) esistono addirittura degli uffici riservati ai soli turisti che vi offriranno assistenza nella pianificazione dei vostri spostamenti.

Prima di farlo però, accedete alla pagina www.indianrail.gov.in e cominciate col farvi un’idea di quali e quanti treni viaggino tra le località di vostro interesse. Se si tratta di città importanti cliccate su “Trains Between Important Stations” (ATTENZIONE: Calcutta non è CALICUT-CLT ma HOWRAH-HWH!) mentre per partenze e arrivi in centri minori fate riferimento alla sezione “Train Berth Availability” che offre la lista completa delle stazioni. In questo modo riuscirete a farvi una cultura sui diversi tempi di percorrenza, sugli orari di partenza e arrivo e sui giorni della settimana in cui operano servizio. Da qui potrete anche controllare la disponibilità (Get Availability) e il costo (Get Full Fare).  Annotatevi il nome e il numero del treno perché vi servirà per compilare il Railway Reservation Form da consegnare allo sportello prenotazioni qualora decidiate di procedere.

Scegliere la classe

I treni indiani dispongono di svariate tipologie di classi (non tutte presenti all’interno dello stesso treno):

  • 1A = First class Air-Conditioned (AC) : carrozza di prima classe con aria condizionata composta da cabine per 2 o 4 persone con porta chiudibile dall’interno. Lenzuola (pulite), coperta e cuscino inclusi. Solo i treni a lunga percorrenza sono dotati di tale vagone per cui non è sempre possibile accedervi. Costa circa 6 volte tanto rispetto alla classe più economica (SL) e circa due volte rispetto alla 2A.
  • 2A = AC 2 tier : carrozza di seconda classe con aria condizionata composta da 4 brande  per scompartimento poste su due livelli (upper e lower) più due brande lungo il corridoio. Sia lo scompartimento che le brande sul corridoio dispongono di tende per garantire la privacy. Lenzuola (pulite), coperta e cuscino inclusi.
  • 3A = AC 3 Tier : carrozza di terza classe con aria condizionata. È analoga alla 2A, ma con la differenza che ogni scompartimento dispone di 6 e non di 4 brande, questa volta disposte su 3 livelli (upper, middle, lower), più due brande lungo il corridoio. Lenzuola (pulite), coperta e cuscino inclusi.  Si tratta  della classe preferita dal ceto medio indiano e una buona scelta anche per i turisti stranieri soprattutto se state viaggiando durante i mesi più caldi.
  • SL = Sleeper Class : come la 3A ma senza aria condizionata, lenzuola, coperta e cuscino. È la classe più diffusa sul territorio indiano e la più economica per i viaggi a lunga distanza e per questo preferita dalla maggior parte della popolazione. Sarà vostra premura in questo caso munirvi di tutto ciò che potrà rendere più confortevole la vostra permanenza a bordo: cuscino gonfiabile, un lenzuolo o pareo da stendere sulla branda (tendenzialmente non pulitissima) e una coperta o sacco a pelo per ripararvi dagli spifferi (indispensabile nei mesi più freddi).
  • CC = AC chair Car : carrozza per viaggi diurni composta esclusivamente da posti a sedere, con aria condizionata.
  • 2S = Seater Class : come la CC, ma senza aria condizionata. La seduta è su panche e il posto, non prenotabile, non è garantito.

Ora che avete compilato il modulo in tutti i suoi spazi, compresa la classe, non vi resta altro da fare che mettervi in coda (se siete donne è probabile che vi sia stata riservata una corsia o, in mancanza, almeno la precedenza sugli uomini…informatevi e fate valere i vostri diritti!). Se siete fortunati e non state viaggiando in alta stagione o su tratte gettonate ne uscirete vincenti con un biglietto tra le mani. In caso contrario (sempre più frequente) la risposta che riceverete  assomiglierà alla seguente: “Sorry Madam/Sir, no seats available. Only Wait-List”. Mentre un brivido di terrore vi percorrerà la schiena al pensiero di dover rimanere in quel luogo per chissà quanto tempo, dovrete cominciare ad elaborare un piano B. Di seguito vi elenco qualche possibilità:

  1. Decidete di inserire il vostro nome nella Waiting List (WL), consapevoli che la prenotazione non verrà tuttavia confermata fino a che non vi saranno altrettante cancellazioni. Sulle tratte più popolari le  Waiting List che superano le 300 persone non sono affatto strane. Succede sempre più spesso infatti che i piani dei passeggeri prenotati cambino all’ultimo minuto o semplicemente che, date le possibilità di cancellazione con rimborso (vedi dettaglio), sempre più persone prenotino nell’eventualità di uno spostamento che invece non confermeranno. Questa scelta risulta tuttavia un po’ rischiosa se non avete tempo da perdere.
  2. Assicuratevi che l’incaricato allo sportello abbia controllato la disponibilità nella Foreign Tourist Quota (FT) o, se donne, nella Ladies Quota (LD). Circa il 10% dei posti sono infatti riservati ai turisti stranieri che potranno accedervi (a costo maggiorato) su presentazione del passaporto. Questa possibilità è prevista tuttavia solo su alcune tratte.
  3. Presentatevi allo sportello tra le 10 e le 12 del giorno precedente la partenza desiderata per tentare di accaparrarvi un biglietto in Tatkal Quota (CK). La Tatkal Quota è una sorta di prenotazione last minute che può essere effettuata dietro presentazione di una prova d’identità. I posti riservati, che vengono sbloccati secondo le tempistiche sopra indicate, non sono molti ed hanno un prezzo maggiorato che varia in base alla tratta e al periodo di alta o bassa stagione. Per sperare di ottenere il vostro biglietto dovrete assicurarvi di essere tra i primi della fila e quindi arrivare con largo anticipo o, se in una grossa città, recarvi in una stazione secondaria e quindi poco (o comunque meno)frequentata di quella principale.
  4. Prenotate un posto in AUTOBUS. Con l’aumento della popolazione in movimento e con il miglioramento della rete stradale è oggi in crescita anche il servizio di trasporto su ruota così come il numero degli autobus di qualità (Volvo). Sfruttando quindi di nuovo la tecnologia collegatevi al sito www.redbus.in e inserite le informazioni richieste per effettuare la vostra ricerca. Scorrete l’elenco delle compagnie che offrono il servizio richiesto valutando orari di partenza e arrivo, AC o non-AC, la presenza o meno di comodità a bordo (amenities) e l’eventuale rating  di chi vi ha già viaggiato. Gli autobus possono essere sleeper (con letto matrimoniale o singolo), semi-sleeper (con poltrone reclinabili) o entrambi. Fate la vostra scelta in base alla durata del percorso e auguratevi che le condizioni della strada siano buone altrimenti preparatevi a saltare! Dal sito potrete verificare la disponibilità dei posti, selezionarli e finalizzare l’eventuale prenotazione pagando direttamente con carta di credito oppure, se già sul posto, rivolgetevi ad una agenzia viaggi che lo faccia per voi (se onesta vi chiederà una commissione di massimo 100 Rs.). Copritevi bene e fate buon viaggio!!!

N.B. In entrambi i casi, sia sui treni che sugli autobus, cercate di sistemare  il vostro bagaglio in modo da averlo sempre sott’occhio (magari ai piedi della vostra branda/letto) onde evitare spiacevoli sorprese al vostro risveglio. Lo stesso vale soprattutto per le scarpe! Fate scorta di cibo e bevande ma evitate di assimilare troppi liquidi se viaggiate sugli autobus viste le “soste bagno” alquanto sporadiche e spesso “scomode” (soprattutto per le donne!). 

!!!HAVE A SAFE JOURNEY!!!

 

Il tempio dei topi

Il tempio dei topi 2000 1333 Sonia Sgarella

Benvenuti a Karni Mata, il tempio di Deshnok, l’unico luogo al mondo dove ad essere venerati sono migliaia di topi! Avete capito bene…autentici ratti! Ma questa è l’India, perché vi stupite? Il luogo dove tutto è possibile, il paese delle stranezze e delle contraddizioni, dove per ogni cosa è prevista una spiegazione e se non c’è…la si inventa!

Karni Mata, venerata localmente come incarnazione della grande dea Durga , fu una donna-asceta che visse a cavallo tra il XIV e il XV secolo. Nata nella casta dei Charan, i cui membri sono riveriti per essere grandi poeti e ancor migliori soldati, assunse presto il titolo di divinità madre, occupando un ruolo importante nelle vite di grandi sovrani dell’epoca tra i quali Rao Jodha, fondatore di Jodhpur.  

Racconta il mito che un giorno la donna chiese a Yama, il Dio della morte, di riportare in vita un bambino, figlio di un cantastorie Charan. Il Dio rispose che non avrebbe potuto farlo, poiché il piccolo si era già reincarnato. Fu allora che Karni Mata andò su tutte le furie e proclamò che da quel momento in poi ogni Charan, dopo la morte, avrebbe eluso il passaggio nel suo regno per essere giudicato e si sarebbe reincarnato direttamente in un topo.

Ecco quindi la ragione di tanta devozione verso i migliaia di roditori scorrazzanti che ogni giorno vengono nutriti con latte, zucchero e gustosi dolcetti a base di burro. Ma d’altra parte è cosa nota, i topi sono golosi e gli hindu lo sanno bene. Basta guardare a un’immagine del Dio Ganesh e del suo piccolo veicolo – il topo Mushika – per averne la prova.

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Che ci crediate o no si tratta del dolce popolare più apprezzato a livello panindiano, nonché di quello preferito dalla divinità con la testa d’elefante e una prelibatezza che non dovrebbe mai mancare in occasione di feste religiose e matrimoni. Ladoo (o laddu) – questo il loro nome – significa “pallina” ed è proprio questa la forma che deve assumere il dolce pronto da servire. Un dolce a base di farina di ceci che ogni pasticceria che si rispetti dovrà esporre in prima linea accanto a burfee di ogni sorta.

Deshnok può essere raggiunto facilmente da Bikaner sia in treno che in autobus. I treni in partenza al mattino (chiedete conferma degli orari) impiegheranno circa mezz’ora per raggiungere la stazione. Da li camminate dritto per circa 200 metri e troverete l’ingresso al tempio. Per il ritorno consiglio di prendere il primo autobus in partenza. Ve ne sono ogni 15-20 minuti.

Viaggio in Sri Lanka: suggerimenti per la visita di Sigiriya

Viaggio in Sri Lanka: suggerimenti per la visita di Sigiriya 1024 768 Sonia Sgarella

Una “goccia nell’oceano”, la “lacrima dell’India”, l’isola di “Lanka”, forse più piccola di altre ma con un tale concentrato di attrattive che non basterebbero sei mesi per poterla esplorare da cima a fondo. Esperti di arte templare e di architettura coloniale, botanici, biologi, naturalisti, amanti dell’ozio, della vita da spiaggia, del surf o delle immersioni, escursionisti o ciclisti ma anche aspiranti medici ayurvedici e pellegrini, qui davvero ce n’è per tutti!

I romani la conoscevano con il nome di Taprobane, i mercanti musulmani la chiamavano Serendib, “l’isola dei gioielli” e gli inglesi Ceylon ma da sempre l’isola è nota ai singalesi semplicemente come “Lanka”, “l’isola”, un melting pot di culture che si sono sommate nei secoli, scontrandosi ripetutamente – in maniera purtroppo spesso sanguinaria (vedi gli ultimi episodi terroristici di aprile 2019) – ma inconsapevolmente fondendosi l’una nell’altra e dando vita oggi ad un connubio di tradizioni e credenze che – ci si augura – un giorno potranno convivere in pace ed armonia.

Dal canto mio, qualora foste in dubbio sul se partire o meno, quel che vi posso dire è che aver paura non serve a niente: certo non vi suggerirei di andarvi ad infilare in una zona di guerra ma è vero anche che i rischi si possono incontrare ovunque e che per questo si dovrebbe sempre evitare di vivere nel terrore. In Sri Lanka, come in qualsiasi altro paese, per ogni estremista maledetto, sfortunatamente esistobo anche migliaia di persone di un’umanità disarmante e che non meritano le conseguenze di politiche meschine con le quali non hanno nulla a che fare. 

Sigiriya

Se dunque lo Sri Lanka rientra nella lista dei paesi che vorreste visitare ecco che la roccia di Sigiriya sarà di certo una delle vostre mete principali. La Machu Picchu d’oriente, una formazione rocciosa alta 370 metri con affreschi che ne decorano le pareti a strapiombo e antiche rovine sulla sommità, un luogo imperdibile – troverete scritto in qualunque guida di viaggio – Patrimonio dell’Umanità dal 1982, un complesso affascinante che potrebbe soddisfare gli interessi di chiunque la visiti, appassionati di storia, amanti dell’arte o turisti occasionali. Eppure incontrerete decine di persone pronte a sostenere che il sito sia deludente, poco entusiasmante, persone forse sature delle troppe meraviglie del mondo che non sanno più apprezzarne l’unicità. Non fidatevi, lasciate sempre che siano i vostri occhi a giudicare e le vostre emozioni a parlare…

Affreschi a Sigiriya Affreschi a Sigiriya Affreschi a Sigiriya

Una massa rocciosa costituita da un accumulo di magma indurito – fuoriuscito da un vulcano scomparso ormai da tempo – spunta maestosa dall’immensa distesa verde che ricopre l’intera regione, ricca di foreste lussureggianti: Sigiriya, “la rocca del leone”, fu molto probabilmente la sede di un complesso monastico, di un luogo destinato alla meditazione nonostante ci sia ancora chi preferisca credere che si trattasse invece di una residenza inespugnabile fatta erigere durante il regno di Kassapa (477-495 d.c.).

Sigiriya

La rocca del leone - Sigiriya La rocca del leone - Sigiriya

Un luogo estremamente suggestivo soprattutto se visto da lontano. Il posto migliore per iniziare la vostra visita non è quindi la roccia stessa bensì la poco frequentata, se non addirittura sconosciuta Pidurangala Rock, situata a pochissima distanza dalla prima. Per raggiungerla vi basterà una breve camminata che dall’ingresso principale di Sigiriya vi porterà a costeggiare il fossato esterno a sinistra. Seguite quindi le indicazioni. Accedete dal piccolo monastero alla base e, pagate le 300 rupie (cifra irrisoria rispetto ai 30 $ del sito più famoso), inerpicatevi seguendo il tracciato costituito in buona parte da scalini. Evitate le infradito perché l’ultima parte del percorso vi vedrà arrampicarvi tra le rocce sconnesse e, in caso di mal tempo, scivolose.

Pidurangala Rock

Raggiunta la cima vi sorprenderà una vista spettacolare che sarete solo voi e pochi altri ad ammirare. Prendetevi tutto il tempo che vi serve per contemplare il paesaggio perché Sigiriya è meglio visitarla nel tardo pomeriggio.  Arrivando al mattino infatti, trovereste una luce poco favorevole alle foto e la maggior parte dell’ascesa la fareste al sole.

Sigiriya vista da Pidurangala

Cosa ne dite? Un’altra delusione o l’ennesima meraviglia del mondo? A voi la parola! E per gli amanti delle piccole e grandi imprese, leggete anche l’articolo Il Picco di Adamo: la notte di un pellegrino in Sri Lanka, un’esperienza davvero da non perdere!

Il Picco di Adamo: la notte di un pellegrino in Sri Lanka

Il Picco di Adamo: la notte di un pellegrino in Sri Lanka 960 960 Sonia Sgarella

Ho visto ragazzini vestiti di bianco trasportare sulle spalle il peso di sacchi pieni di offerte; ho visto genitori caricarsi del peso dei figli neonati e, noncuranti della fatica, puntare dritto alla meta; ho visto monaci in assorto silenzio procedere imperturbabili, gradino dopo gradino ma anche donne anziane sull’orlo dello sfinimento, aggrapparsi alle braccia più forti di figli e nipoti; ho visto gente di ogni età affannare, piegarsi per la fatica, addormentarsi in ogni luogo lungo il percorso ma alla fine farcela; ho capito che a volte la fede nella salvezza supera e va oltre le possibilità fisiche di una persona. Io auguro a tutta questa gente di non aver faticato invano, che lo sforzo non sia stato per niente e che le promesse di una rinascita migliore possano realmente avverarsi…glielo auguro con tutto il cuore.

Ho visto tutto questo, passo dopo passo, lungo i 5.200 gradini  che conducono alla cima del Picco di Adamo, meta di pellegrinaggio da oltre mille anni, luogo in cui ogni devoto, di qualsiasi religione, dovrebbe recarsi almeno una volta nella vita, se non nella speranza di accumulare meriti, almeno per godere dello spettacolo incantato che questa creazione della natura può regalare a chi ne raggiunga la cima, a 2.243 metri.

Picco di Adamo

La montagna, che da secoli cattura l’immaginario collettivo è conosciuta con vari nomi che riconducono a molteplici tradizioni religiose: Adam’s Peak, “il picco di Adamo”, il luogo dove, secondo mussulmani e cristiani, Adamo avrebbe messo piede sulla terra dopo essere stato cacciato dal paradiso terrestre; Sri Pada, “piede sacro”, per via dell’enorme orma che si incontra sulla sommità e che sarebbe stata lasciata, secondo i buddhisti, dal Buddha durante la sua discesa tra i comuni mortali mentre, secondo gli induisti, dal grande dio Shiva; ma il nome più poetico rimane quello propriamente singalese: Samanalakanda, “montagna delle farfalle”, il luogo in cui si dice che le farfalle si rechino a morire…

Picco di Adamo

Non si tratta della montagna più alta ma sicuramente della più sacra e di quella che più intimorisce qualunque turista o pellegrino abbia deciso di intraprenderne la scalata: una piramide quasi perfetta che svetta ai margini del villaggio di Dalhousie dove è possibile pernottare. Bancarelle e punti di ristoro costeggiano l’intero percorso ed è qui che potrete acquistare le provviste necessarie per la scalata ma fatelo quando ancora in paese perché man mano che vi avvicinerete alla cima il costo della merce sarà più alto (i facchini incaricati del trasporto vengono giustamente pagati fior di quattrini!).

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Il vostro pellegrinaggio avrà luogo di notte, in tempo per raggiungere la sommità del picco al sorgere del sole e godervi lo spettacolo. Partite quindi alle 2 (non più tardi) e seguite la folla di gente che vi condurrà fino alla sommità. Vestitevi a strati e assicuratevi di avere con voi una felpa e una giacca a vento perché, nonostante dopo la prima mezzora in salita comincerete ad avere caldo, una volta raggiunta la cima, il vento potrebbe essere gelido! La percorrenza media è di circa 3 ore.

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Mihintale: la culla del buddhismo sull’isola di Lanka

Mihintale: la culla del buddhismo sull’isola di Lanka 960 960 Sonia Sgarella

Premetto di non aver contato i gradini, o meglio, premetto di averlo fatto ma di aver perso il conto più volte e questo sicuramente non fa di me una pia pellegrina. Ma ciò nonostante ho raggiunto la cima e la salita mi è sembrata molto più semplice di quanto mi aspettassi, dati i racconti di quei 1843 antichi scalini da percorrere per metà a piedi scalzi. La collina di Mihintale si trova a soli 14 km dalla più importante – ma non necessariamente più entusiasmante – Anuradhapura, antica capitale dello Sri Lanka, ed è facilmente raggiungibile per mezzo di qualunque autobus pubblico diretto nel nord-est dell’isola. Senza dover andare fino alla stazione degli autobus potrete aspettarne uno davanti al supermercato “Family Super”, sulla Main Street. Saliti sul pullman al volo – letteralmente al volo! – al costo di 34 rupie (meno di 20 centesimi) nel giro di circa mezz’ora sarete arrivati. Attraversate la strada e  camminate verso sinistra per poi imboccare la prima strada a destra (ricordatevi sempre, soprattutto quando deciderete di affittare una bicicletta, che il senso di marcia è opposto rispetto al nostro!). Arrivati in fondo cominciate pure la vostra ascesa alla collina sacra dove si dice che il re  Devanampiyatissa abbia incontrato Mahinda, figlio del grande imperatore Ashoka Maurya che nel III secolo a.c. arrivò a regnare sulla quasi totalità del subcontinente indiano. Ashoka, il “re caro agli dei” (Piyadassi) – come amava definirsi – pentitosi per aver dato luogo al tragico sterminio del popolo dei Kalinga (abitanti dell’odierna Orissa), si convertì al buddhismo facendosi promotore della dottrina in tutto il paese fino a raggiungere l’estremità meridionale del Deccan. Ma fu proprio il figlio Mahinda, devoto missionario che, su incarico del padre, si spinse oltre le coste dell’India per raggiungere l’isola di Lanka e dare avvio alla diffusione del dharma, conseguenza della conversione del re Devanampiyatissa, sovrano di Anuradhapura. Si racconta che l’incontro avvenne proprio laddove oggi sorge l’Ambasthale Dagoba (termine utilizzato localmente per indicare lo stupa buddhista). Ma prima di giungere a quest’ultimo farete bene a soffermarvi sui resti degli altri monumenti disseminati lungo il percorso: per primo il Kantaka Cetiya (altro sinonimo di stupa), alto 12 metri e con un perimetro alla base di 130, è molto probabilmente il più antico di Mihintale. Dal primo pianoro prendete la breve scalinata sulla destra per raggiungerne le rovine.

Proseguite quindi la serie di rampe che vi condurrà fino al secondo pianoro dove sorgono i resti del complesso monasteriale commissionato dal sovrano: il refettorio dei monaci, la casa delle reliquie e la sala delle assemblee vi intratterranno il tempo necessario per riprendere fiato.

Mihintale

Percorrete quindi l’ultima scalinata orlata di alberi di frangipani e abitata da scimmie  e scoiattoli giganti, che in pochi minuti vi condurrà al terzo livello di ascesa. Di un bianco candido e circondato da colonne di pietra che avevano forse la funzione di sorreggere un tetto di legno, l’Ambasthale Dagoba sorge nel punto in cui si pensa si trovasse Mahinda quando, nel 247 a.c., incontrò Devanampiyatissa e , messa alla prova la sua saggezza con un indovinello, reputandolo un degno discepolo, lo iniziò alla fede buddhista. Alle spalle di questo un grande Buddha in posizione seduta si staglia verso il cielo. Raggiungetelo.

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A questo punto non vi rimarrà altro da fare che scalare la cosiddetta “roccia della meditazione”(Aradhana Gala) per godere di magnifiche vedute sulla pianura circostante.

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Da qui potrete ammirare in tutta la sua bellezza il Mahaseya Dagoba, lo stupa più grande di Mihintale, che, bianco come le nuvole, risplende tra il verde di una vegetazione lussureggiante.

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Kanchipuram: la città degli dei

Kanchipuram: la città degli dei 640 453 Sonia Sgarella

Articolo in 2 minuti – Delle sette città sacre indiane dove, secondo la tradizione, sarebbe più facile ottenere la liberazione (moksha), Kanchipuram è l’unica situata nell’India del Sud ed è meta di pellegrinaggio di shivaiti e vishnuiti al tempo stesso.

 Altrimenti nota come Kanchi, Kanchipuram è stata la capitale delle più grandi dinastie dell’India meridionale, le quali fecero della città un laboratorio per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura ma anche un centro per l’apprendimento delle maggiori filosofie religiose.

 Oggi famosa per la tessitura di pregiati saree di seta, Kanchipuram costituisce una tappa obbligata per i viaggiatori interessati a conoscere le dinamiche di evoluzione dell’arte templare dravida (“del sud”), qui facilmente catalogabili per via degli innumerevoli templi che ancora oggi sopravvivono in questa calda e caotica località del Tamil Nadu affacciata sulle rive del fiume Vegavathy.


Per approfondire – Sette erano i fiumi sacri conosciuti al tempo dei Veda, sette i cavalli celesti del dio Surya, sette le Madri Divine (saptamatrika) e ancora sette le città sacre dell’India che un devoto pellegrino dovrebbe visitare nella sua vita al fine di migliorare il proprio karman sulla via della salvazione: Benares (Varanasi) e Haridwar sul fiume Gange; Ayodhya, luogo di nascita di Rama; Mathura, culla di Krishna; Dwarka, dove Krishna regnò da adulto; Ujjain, sede ogni dodici anni del Kumbha Mela e Kanchipuram, l’unica situata nell’India del Sud e meta di pellegrinaggio di shivaiti e vishnuiti al tempo stesso.

Altrimenti nota come Kanchi, Kanchipuram è stata la capitale delle più grandi dinastie dell’India meridionale. Si successero infatti i Pallava (IV-IX secolo), i Chola (IX-XIII secolo), gli Hoysala (XIII secolo), i Pandya (XIII-XIV secolo) e i Vijayanagara (XIV-XVII secolo), i quali fecero della città un laboratorio per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura ma anche un centro per l’apprendimento delle maggiori filosofie religiose, tra cui quelle induista, buddhista e jainista.

Oggi famosa per la tessitura di pregiati saree di seta, Kanchipuram costituisce una tappa obbligata non solo per i devoti di fede induista in visita in Tamil Nadu, ma anche per i viaggiatori interessati a conoscere le dinamiche di evoluzione dell’arte templare dravida (“del sud”), qui facilmente catalogabili. Innumerevoli sono infatti i templi che ancora oggi sopravvivono in questa calda e caotica città affacciata sulle rive del fiume Vegavathy e facilmente raggiungibile sia dalla capitale Chennai (ex Madras), che dalla poco distante Mamallapuram (vedi post), dove potrete decidere di pernottare per via della disponibilità di migliori strutture ricettive.

Ampliata e fortificata dai re Pallava nel IV secolo d.c., Kanchipuram servì da capitale del loro regno per circa cinquecento anni e fu qui che il grande Narasimhavarman II, detto Rajasimha (circa 700-728 d.c), fece costruire il suo grande capolavoro. Si tratta del tempio di Rajasimheshvara, noto anche come Kailasanatha, il tempio di “Shiva Signore del Kailash”, frutto delle grandi acquisizioni dell’arte Pallava nella sua maturità. Orientato, come vuole la norma, in direzione est-ovest, rappresenta la forma embrionale di quello che sarà lo sviluppo dei templi dell’India del Sud, sempre più ornati e articolati, con cinte di mura (prakara) e portali torreggianti (gopuram). Il programma scultoreo che ne adorna le facciate e le pareti della recinzione è ricco di dettagli tra i quali si intravedono ancora i resti dei dipinti murali, testimonianza di quanto potesse essere sfarzoso l’edificio in origine. Nonostante i discutibili lavori di restauro portati avanti dall’Archeological Survey of India, rimane comunque il miglior esempio dell’ architettura Pallava presente in città.

Leggermente più tardo del Kailasanatha è il Vaikunta Perumal Temple, edificato nel corso dell’ VIII secolo da Nandivarman II Pallava (circa 732-796 d.c.). Dedicato a Vishnu, trattasi di uno dei 108 devya desams ovvero di quei templi sacri ai devoti vishnuiti menzionati nei testi dei Santi poeti Tamil (Alvar). Risulta di particolare interesse per i bassorilievi che ne adornano i chiostri, retti da pilastri a forma di leone, predecessore degli yali, animali mitologici che più tardi orneranno vistosamente i colonnati del Sud.

Dedicato invece alla dea Kamakshi – manifestazione di Parvati, consorte di Shiva – è il Kamakshi Amman Temple. Con l’arco di canna da zucchero e fiori come frecce, la dea, l’unica che fu capace di sedurre Shiva, il grande asceta, costringendolo a sposarla, dimora indisturbata nella cella del tempio che fu fondato dai Pallava e ampliato da Chola. Nel tempio della dea Kamakshi si celebra il culto della Shakti, l’energia cosmica femminile, in un luogo ricco di atmosfera dove giovani brahmini (sacerdoti) dediti allo studio, sotto la supervisione di un maestro, ci ricordano l’importanza del tempio come luogo di apprendimento che venne scelto come dimora per i suoi ultimi anni di vita dal grande riformatore della dottrina brahmanica Shankara, vissuto alla fine dell’ VIII secolo.

Ma è sicuramente l’Ekambareshvara Mandir il tempio più importante e imponente della città, dedicato ancora una volta a Shiva. Situato a nord del centro cittadino il tempio di Ekambareshvara (“Signore dell’albero di Mango”) venne inizialmente edificato dai Pallava ma fu soltanto sotto il regno dei Vijayanagara, amanti delle arti e dell’architettura, che il luogo assunse la forma definitiva. Cinta murarie, alti gopuram (fino a 59 metri), cortili spaziosi, colonnati coperti, santuari minori e una vasca per le abluzioni, furono gli elementi introdotti dai nuovi regnanti che vollero così rappresentare la loro ricchezza e il loro potere.

Custodito all’interno del sancta sanctorum della cosiddetta “Sala delle mille colonne”, si trova l’emblema di Shiva, il Prithvi lingam (lingam di terra) in cui Shiva si manifesta come uno dei cinque elementi della natura (Pancha Bootha). Racconta la leggenda che una volta Parvati coprì per gioco gli occhi di Shiva, facendo piombare la terra nell’oscurità. Shiva per punizione le ordinò di costruire in suo onore un lingam di sabbia che avrebbe quindi dovuto venerare e custodire. Quando il fiume Vegavathy inondò la città di Kanchi, Parvati protesse quindi il lingam con il suo abbraccio salvandolo dalla distruzione. Shiva, sedotto dall’atto di devozione, la sposò. In un cortile interno si trova inoltre il sacro albero di mango da cui il tempio prende il nome e a cui le coppie in cerca di figli rivolgono le loro preghiere.

Per ultimo, ma che tuttavia non esaurisce la serie di santuari che è possibile visitare a Kanchipuram, situato in un sobborgo conosciuto con il nome di Vishnu Kanchi o Chinna (“piccola”) Kanchi, si trova il Devarajaswami o Varadaraja Perumal  Temple, dedicato di nuovo a Vishnu. Edificato dai Chola ed ampliato sotto i Vijayanagara, trattasi di uno dei Divya Desams, i 108 templi consacrati a Vishnu descritti nei testi dei santi poeti Tamil (Alvar) che costituiscono meta di pellegrinaggio per tutti i devoti di fede vaishnava. Il tempio, che presenta magnifiche sculture nella “sala delle 1000 colonne”, sembrerebbe essere stato dimora del santo poeta Ramanuja.

Custodita nelle acque della vasca sacra, l’mmagine di Vishnu originale, scolpita in legno di fico e in posizione reclinata, lunga circa 12 metri, viene riportata alla luce per essere mostrata ai fedeli solo una volta ogni quarant’anni. Inoltre, il Varadaraja Perumal Temple, è l’unico che vanta la presenza di due lucertole tra le sue icone sacre. Una d’oro e l’altra d’argento, si trovano custodite all’interno di una delle tante celle del tempio. La tradizione vuole che chiunque le tocchi venga liberato da ogni sorta di problema o malattia risultante dall’accumulo di karma negativo, sia esso consapevole o inconsapevole. Le lucertole sono infatti considerate delle creature divine capaci di trasmettere buona o cattiva sorte.

La visita dei templi può essere effettuata come escursione in giornata da Mamallapuram. Alle ore 8 dalla stazione degli autobus parte un pullman diretto a Kanchi che vi costerà 41 rupie. In alternativa prendete qualunque pullman diretto a Changalpattu e lì cambiate per Kanchipuram. Il tragitto, salvo imprevisti, durerà circa 2 ore e mezza. Ingaggiate un autista di rikshaw per condurvi nella visita dei templi tenendo ben presente che tutti i santuari di Kanchipuram, ad eccezione del Kailasanatha, osservano una chiusura dalle 12.30 alle 16.00. Cominciate quindi la visita con il Vaikunta Perumal Mandir e, seguendo un ordine cronologico, proseguite con il Kamakshi, l’Ekambareshvara, e il Devarajaswami. Terminate quindi con il Kailasanatha.

Prima di cominciare il viaggio di ritorno potete fermarvi per pranzo al ristorante dell’Hotel Sri Shakti Bhavan, attaccato alla stazione degli autobus.

 

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Questo articolo è stato pubblicato su sito IndiaInOut.com in data 11/08/2014

Sulla collina delle aquile

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A soli 15 km da Mamallapuram, sulla strada che porta a Kanchi, si trova l’allegro villaggio di Thirukazhukundram (perchè ridete??), una località di pellegrinaggio dove, sulla sommità di una collina, sorge il tempio di Vedagirishvara dedicato a Shiva. Entrambi i nomi appena menzionati, di difficile pronuncia, ci raccontano la storia leggendaria del luogo. Thiru-Kazhugu-Kundram, che in lingua tamil significa “la rispettabile montagna delle aquile”, ci parla di quei due volatili che quasi tutti i giorni, più o meno a mezzogiorno, sorvolerebbero le fertili pianure del Tamil Nadu per giungere a posarsi in cima al promontorio roccioso, al fine di essere sfamate dai sacerdoti custodi del tempio con le offerte di riso, frumento, burro chiarificato e zucchero. La tradizione vuole che le aquile siano originarie di Varanasi e che, qualora dovessero mancare all’appuntamento, la colpa dovrebbe essere imputata alla presenza di peccatori tra i visitatori. Una scalinata di 550 gradini da percorrere a piedi scalzi è ciò che separa il santuario dal fondo valle, da dove centinaia di pellegrini giungono ogni giorno per rendere omaggio allo Shiva lingam custodito nella cella del tempio. Shiva, il grande dio che, dietro alla richiesta del  saggio Bharadwaja di essere graziato con una lunga vita per poter apprendere i testi sacri, creò tre montagne a simbolo del Rigveda, dello Yajurveda e del Samaveda. Prese quindi altrettante manciate di fango e spiegò al saggio che i tre Veda stavano a queste come l’immensità di conoscenza necessaria per la salvazione stava alle tre montagne. L’unica via da percorrere verso la liberazione era quella della Bhakti, ovvero della devozione e dell’amore incondizionato verso dio.

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Colori da tutta l’India e sorrisi di complicità per lo sforzo sostenuto vi accompagneranno lungo la ripida salita da cui si godono vedute spettacolari dell’altro tempio della città, il Tirupurasundari Amman Temple, dedicato invece a Parvati, “la bella dei tre mondi”. Le note del mantra Om Nama Shivaya e dei canti devozionali intonati dai fedelissimi anziani -che imperterriti combattono la fatica in previsione della benedizione che li attenderà tra le mura del tempio- saranno la colonna sonora della vostra visita. “Challo!”, “andiamo!”, è il motto di chi addirittura arriva fin qui dal Rajasthan. Non c’è tempo da perdere sulla strada della devozione volta all’accumulo di meriti che possano infine liberare il pellegrino da questo incessante ciclo di rinascite ed evitargli di dover faticare di nuovo nella prossima esistenza perché questa potrebbe essere l’ultima prima del moksha, l’eterna liberazione.

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