“Nessuno conferisce l’illuminazione; a nessuno essa appartiene. La piena realizzazione della propria natura è quello che i Buddha chiamano illuminazione.”
Sul come abbiano fatto a trasformare un luogo di pace e meditazione in un tipico delirio indiano, bisognerebbe chiederlo soltanto a loro, gli abitanti di Bodhgaya e a tutte le generazioni che li hanno preceduti.
Secondo la tradizione Bodhgaya sarebbe il luogo dove il principe Siddharta Gautama, dopo anni di invani tentativi, raggiunse finalmente l’illuminazione, il cosiddetto Nirvana, divenendo così il Buddha (letteralmente “il risvegliato”).
Probabilmente il grande maestro risorgerebbe oggi dalle ceneri se solo vedesse che cosa sono stati capaci di combinare i suoi beneamati devoti attorno a quello che costituisce la meta di pellegrinaggio più ambita per la comunità buddhista nel mondo – un po’ quello che per i musulmani rappresenta la Mecca o San Pietro per i cristiani cattolici.
Business, business e business, sacro o profano che sia ma pur sempre un commercio sfrenato legato alla fede che passa dai venditori ambulanti di fiori per le offerte, alle bancarelle di qualunque cianfrusaglia pseudo-tibetana, per arrivare fino alle più grandi congregazioni buddhiste che, se tutto il mondo è paese e le religioni un po’ si assomigliano, allora anche lì chissà che cosa c’è dietro…
Pensate che, per un momento, camminando tra le strade di Bodhgaya alla scoperta dei vari monasteri che ospitano le tante comunità di monaci, mi è sembrato di ritornare all’Expo: i templi di Bodhgaya come i padiglioni milanesi sono infatti ognuno costruito nello stile architettonico del paese committente che qui trova una sua rappresentanza. Tibet, Giappone, Thailandia, Bhutan, Cambogia, Nepal…vi sono davvero tutti!
A sconvolgere l’atmosfera di pace che uno si aspetterebbe inoltre è il traffico di Bodhgaya, forse uno tra i più isterici incontrati in India: clacson che bucano i timpani, macchine, autorikshaw, moto e biciclette ma soprattutto decine e decine di pullman turistici che ogni giorno riversano centinaia di pellegrini all’interno del complesso templare conosciuto con il nome di Mahabodhi Temple, dove si trova il famoso albero della Bodhi sotto il quale il Siddharta raggiunse l’illuminazione.
Le leggende che ruotano attorno a questo albero sono diverse ma la più condivisa vorrebbe che quello presente altro non sia che il nipote dell’albero originale, del quale un ramoscello venne portato in Sri Lanka dalla figlia di Ashoka – il grande imperatore Maurya che regnò in India nel corso del III secolo a.c. Vuole la tradizione che, da Anuradhapura, un secondo ramoscello venne riportato a Bodhgaya dove diede vita all’enorme pianta che ancora oggi sopravvive all’interno del recinto sacro, regalando la sua ombra a decine di monaci e meditanti che qua sotto provano a intraprendere la stessa strada del loro maestro.
Meno male che, nonostante la delirante situazione circostante e le apparenze, all’interno dei vari templi – incluso ovviamente il Mahabodhi – si respira ancora quell’aria di pace che dovrebbe di regola appartenere a questi luoghi. Entrati nelle varie sale di preghiera o varcato il cancello di questo importantissimo santuario, si viene infatti immediatamente trasportati in un’atmosfera surreale, piena di pace e spiritualità.
Una torre alta 55 metri visibile da tutto il circondario è quella che sovrasta la cella contenete l’immagine dorata del Buddha oggetto di venerazione e costituisce uno dei più antichi esempi di arte templare buddhista costruito interamente in mattoni, risalente alla tarda epoca Gupta (V-VI secolo d.c.).
Centinaia di monaci e monache buddhisti vestiti delle più svariate tonalità di ocra, arancione, rosso o marrone – a seconda del paese di provenienza e della scuola di appartenenza – nonché pellegrini di ancor più nazionalità e credo ma anche visitatori occasionali, sono tutti immersi nell’atmosfera eterna che circonda questo luogo: chi assorto in meditazione o intento a recitare una serie infinita di mantra, chi impegnato a leggere le scritture sacre o a prostrarsi innumerevoli volte su degli speciali tappeti per la preghiera; chi ancora cammina veloce lungo qualunque perimetro possibile, sempre in senso orario, snocciolando il rosario o facendo girare le ruote della preghiera. Non importa in che modo si voglia esprimere la propria devozione: tutti hanno la mente rivolta verso gli insegnamenti di quel grande maestro, vissuto oltre 2500 anni fa e che proprio qui formulò la sua filosofia di vita, oggi seguita da milioni di fedeli.
Cominciate a camminare seguendo il flusso e in men che non si dica vi ritroverete anche voi rapiti da questo luogo leggendario, nella cui aria riecheggiano in continuazione i versi cantilenatati dai monaci e ripetuti dai pellegrini. Pellegrini che, come vi dicevo appartengono anche a fedi diverse e tra tutte, in primis, quella induista. Secondo la tradizione, il Buddha infatti altro non sarebbe che uno dei dieci avatara del grande dio Vishnu e per questo venerato come l’ennesima divinità appartenente all’infinito phanteon.
Si potrebbe stare seduti per ore semplicemente ad osservare quello che vi succede intorno. Prendetevi dunque tutto il tempo che volete, liberate la mente e lasciatevi travolgere dall’energia di questo luogo incantato il quale vi mancherà non appena avrete varcato il cancello d’uscita. Ritornateci più volte, approfittatene finché siete in zona e soprattutto cercate di visitarlo in diversi momenti della giornata tra cui l’ora del tramonto quando i canti dei monaci e dei pellegrini si confonderanno con quelli di centinaia di uccelli. Alla sera poi il complesso templare si illumina di mille lucine colorate per cui uno spettacolo che non vorreste perdervi!
L’ingresso al tempio, aperto dalle 4 del mattino alle 9 di sera, è gratuito. Non è permesso portare con sé il cellulare per cui lasciatelo in camera o presso il deposito ufficiale. Le macchine fotografiche invece possono essere utilizzate solo dietro pagamento di un permesso dal valore di 100 rupie che vi verrà controllato in entrata.
Tutto insomma, anche nelle vicinanze di Bodhgaya ruota intorno alla vita del Buddha e tra i vari luoghi che lo ricordano uno in particolare vale la pena di essere visitato: Mahakala Cave, il luogo in cui per diversi anni il futuro Buddha praticò la mortificazione del corpo come tentativo per raggiungere il Nirvana. All’interno di una grotta buia, la statua di Siddharta lo raffigura quindi in pelle o ossa, un’immagine tipica che si riferisce a questo periodo della sua vita.
Il nome Mahakala tuttavia suggerisce che la grotta sia anche dedicata ad un altro personaggio della fede induista, la grande dea Kali: all’interno della stessa grotta infatti la statua del Buddha e quella di Kali si contendono l’appartenenza e per questo motivo all’esterno, prima della scalinata, troverete un cartello che suggerisce ai devoti buddhisti di non offrire nulla all’interno della grotta (sottinteso ai bramini che siedono accanto a Kali) bensì di rivolgersi ai monaci custodi del piccolo monastero che sorge nello stesso luogo.
Per raggiungere la grotta, che si trova a una dozzina di chilometri da Bodhgaya, dovrete prendere un tuk tuk. Il costo più onesto per andata, ritorno e attesa è di 500 rupie.
Insomma, Bodhgaya certamente vale la pena di essere visitata e diciamocelo… nonostante l’evoluzione dei tempi l’abbia portata ad essere un po’ troppo caotica, chi fosse intenzionato a raggiungere l’illuminazione, sarebbe ancor più bravo se riuscisse a farlo in mezzo al traffico!