Credevano che fossero dei vulcani estinti da secoli e invece scoprirono che si trattava di piramidi immense, delle più grandi mai incontrate in tutta l’America Centrale. Come vi sembra come premessa, niente male vero?
A 120 chilometri dall’isola di Flores, in direzione nord verso il confine col Messico, che se ci fosse una strada asfaltata allora questa frase avrebbe più senso ma siccome non c’è la ricomincio.
A due ore e mezza di strada sterrata da Flores (quattro se in pullman) e a due giorni di cammino dal villaggio di Carmelita che di questa strada ne segna la fine, nell’angolo più remoto del distretto El Petén, ai confini con il Messico, sorgono le piramidi Maya più imponenti della storia, immerse nella natura vergine e incontaminata.
Vista dalla cima della piramide La Danta
Avete presente quando ci si sente un po’ come l’Indiana Jones di turno? Ecco, quelli eravamo noi: io, due cileni padre e figlio, una giovane guatemalteca che se avesse incontrato il suo professore – il quale le aveva suggerito di andarci per motivi di studio – probabilmente l’avrebbe ucciso, la nostra guida Eduardo, una persona eccezionale e la cavalleria, composta da Emma, la strabiliante cocinera ed Hector, l’aiutante tutto fare.
Eduardo, Emma e le tostadas più buone della mia vita!
Pensate ad una selva infinita che si estende a perdita d’occhio, immaginate di ritrovarvi di notte, sotto un tappeto di stelle, seduti sulla cima di una piramide colossale ed assistere, mano a mano che schiarisce, al risveglio della natura, con gli uccelli che cinguettano e le scimmie urlatrici che da ogni angolo emettono il loro verso, si parlano, comunicano tra di loro come se fossero voci provenienti dall’inferno.
Siamo nel bel mezzo della Cuenca del Mirador, una zona geografica di 2.169 km2 delimitata naturalmente da un sistema di montagne carsiche, a est, a sud e a ovest, mentre a nord dal confine con lo stato messicano di Campeche. All’interno dell’area alla quale ci si riferisce con l’appellativo di Regno Kan, che fu il primo stato politico organizzato del continente, esistono vari siti archeologici tra i quali quello conosciuto con il nome di El Mirador.
I primi rapporti formali del sito vennero pubblicati intorno agli anni Trenta del Novecento, quando una missione aerea dell’istituto Carnegie di Washington, avvistate delle formazioni collinari emergere dalla selva, definì che si dovesse trattare non di vulcani come si pensava in principio, ma di immense piramidi Maya. Nel 1962 venne realizzata una mappa dell’area e si misero in atto i primi scavi ma fu solo negli anni Ottanta che con il Progetto Archeologico Mirador si diede avvio a ricerche intensive, arrivando a stabilire che si trattava degli edifici più antichi mai incontrati in tutta l’America Centrale. Oggi gli scavi proseguono sotto la direzione dell’archeologo Richard Hansen che ormai da alcuni decenni dedica la sua vita a questo progetto, sognando quel futuro in cui il sito tornerà completamente alla luce, si permetterà un accesso più facile e sarà quindi fruibile da tutta l’umanità.
El Mirador, così denominato dai primi chicleros – gli estrattori di gomma che lavoravano in questa zona e che dall’alto di quelle piramidi osservavano la selva in cerca degli alberi giusti – si estende per poco più di 25 km2 e comprende vari complessi strutturali, la maggior parte dei quali costruiti sotto forma di piramidi triadiche, ovvero con tre cime poggianti su delle enormi piattaforme.
Un albero della gomma con i segni dei tagli per estrarne il liquido
La magnitudine di El Mirador è impressionante soprattutto se coscienti del fatto che quello già riportato alla luce non è altro che il 10% del totale presente. Il resto rimane ancora sepolto sotto i rami e le foglie di una fitta foresta vergine, quella della Biosfera Maya, la seconda riserva tropicale più grande d’America dopo quella Amazzonica.
Una piccola porzione degli scavi presso il complesso La Danta
Si parla di spedizione quando ci si riferisce a questo percorso che a seconda della stagione può risultare particolarmente difficoltoso: il caldo insopportabile, gli insetti fastidiosi, il fango fino alle ginocchia, sono tutti elementi che dovrebbero portarvi a prediligere la stagione secca per affrontare questo cammino. Da gennaio a marzo le condizioni del suolo sono più agevoli, le temperature ancora relativamente fresche e non vi è ombra di zanzare.
All’interno del parco non esistono strutture turistiche definibili tali: si dorme in tenda e ci si lava con l’acqua piovana. Avventurarsi da soli sarebbe da fuori di testa: il rischio di perdersi è altissimo e il carico da portare risulterebbe insostenibile.
La camera
La cucina
Il bagno fuori
Il bagno dentro 🙂
Detto ciò, la migliore agenzia per organizzare questa avventura è senza dubbio la Dinastia Kan di Antonio Centeno. Antonio e tutto il suo staff composto da guide certificate originarie del villaggio di Carmelita vi faranno vivere un’esperienza unica. Eduardo è stato la nostra e non potrei consigliarvene una migliore: appassionato all’inverosimile del suo lavoro e della cultura Maya, durante i mesi di scavo collabora con il progetto di Richard Hansen in qualità di restauratore. Una persona educata, onesta nel trasmettere i dati della storia, instancabile e sempre pronto ad assicurarsi che stiate bene. Due parole di elogio anche nei confronti della nostra cuoca, Emma, che ogni giorno ci ha deliziato con un menù sempre diverso e squisito, cosa che vi assicuro non riceverete prenotando con tante altre agenzie.
La spedizione a piedi parte da Carmelita e si addentra immediatamente nella selva più densa. Prima di raccontarvi però giorno per giorno che cosa vedrete, mi soffermo un attimo sul cosa è necessario portare, ovviamente facendo riferimento alla stagione secca che è quella in cui sono stata io:
– scarpe comode impermeabili (io uso sempre le Salomon in goretex)
– pantaloni lunghi comodi (quelli corti sono sconsigliati per via dei rami bassi con cui potreste graffiarvi e anche per la questione insetti)
– maglietta a maniche corte
– uno zaino da massimo 35 litri che verrà caricato sulle mule e che quindi troverete solo una volta raggiunti gli accampamenti. Al suo interno sistemate due o tre magliette di cambio e un paio di pantaloni da utilizzare solo in fase di riposo , il necessario per la notte compreso un piccolo sacco a pelo o una coperta leggera, un asciugamano, un paio di ciabatte per la doccia, prodotti da bagno, salviettine umide, carta igienica e una scorta di snack che vi bastino per tutto il percorso.
– uno zainetto leggero da portare sempre con voi durante le camminate in cui inserire apparecchiatura fotografica, protezione solare (anche se camminerete per lo più all’ombra degli alberi), repellente per le zanzare (durante la stagione secca quasi non ce ne sono ma non si sa mai), carta igienica, gel detergente, acqua (una borraccia da almeno un litro), snack per la giornata, impermeabile, una felpa leggera per il mattino, una torcia, piccola farmacia.
Ciò che viene invece fornito dall’agenzia consiste in: tenda, materasso, lenzuola, acqua con cui ogni giorno potrete riempire la vostra borraccia/bottiglia, cibo in abbondanza e bevande calde.
La spedizione di cui vi parlo è un tour di 5 giorni e 4 notti con andata e ritorno seguendo lo stesso percorso ma è anche possibile allungarlo a 6 giorni e 5 notti. Il secondo itinerario prevedete tuttavia una giornata con 36 km di cammino per cui è richiesto un bello sforzo fisico.
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Giorno 1: da Carmelita e El Tintal (18 km)
Come vi dicevo ci si addentra immediatamente nella selva. Carmelita nacque come insediamento per gli estrattori di gomma che arrivavano principalmente dal Messico e che da questo lavoro traevano il loro sostentamento. Si parte dal villaggio intorno alle 9 dopo una ricca colazione. Il trasferimento da Flores nel nostro caso è avvenuto in macchina partendo alle 5 del mattino. Le opzioni di sentiero sono due: quello principale, più ampio ma che viene percorso dalle mule e risulta quindi sconnesso e fangoso e quello secondario, attraverso la foresta più densa, creato a colpi di macete dalle guide che lo hanno seguito per anni. Il tutto si svolge in pianura con solo qualche collina da superare e andando di buon passo si arriva all’accampamento di La Florida intorno a mezzogiorno, giusto in tempo per il pranzo. Si prosegue poi fino a El Tintal dove l’arrivo è previsto intorno alle 16. Lungo il percorso è facile riconoscere le montagnole sotto le quali si celano delle piccole piramidi Maya purtroppo oggetto di saccheggio a partire dagli anni Settanta. Passato il “campo de pelota” più grande rinvenuto finora in tutta la zona ecco che si giunge finalmente all’accampamento. Il “gioco della palla”era uno sport molto diffuso in tutte le culture precolombiane praticato molto probabilmente anche con scopi rituali oltre che politici. Dalla struttura più imponente del sito di El Tintal, la piramide Eneken, è possibile ammirare il primo tramonto sulla selva e avvistare da lontano la piramide più alta di El Mirador, la mitica Danta.
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Giorno 2: da El Tintal a El Mirador passando per La Muerta (23 km)
Si parte intorno alle 7 per fare arrivo circa alle 14.30/15. Il percorso è più lungo ma più agevole svolgendosi per la maggior parte lungo la cosiddetta calzada, una sorta di autostrada dritta e rialzata che collegava i siti più importanti della zona. Sacbé, così la chiamavano i Maya in riferimento al colore bianco “sac” dello stucco di calce che veniva utilizzato per ricoprirla. La calce era l’elemento impiegato per la costruzione di tutte le strutture e molto probabilmente fu proprio il disboscamento effettuato per la sua produzione – la roccia calcarea presente nella zona doveva essere cotta a temperature elevate per trasformarsi in calce e per questo veniva utilizzata la legna fresca – a rendere il terreno più arido, più difficile la coltivazione e quindi a causare l’abbandono dell’area a partire dal 150 d.C.
Lungo il percorso, a circa un’ora di cammino da El Mirador, si incontra il sito archeologico conosciuto con il nome di La Muerta dove sono state riportate alla luce due strutture importanti, molto probabilmente delle tombe, e, poco più in là, un petroglifo recante il simbolo della Dinastia Kan, la “dinastia del serpente” che si suppone abbia governato la zona per secoli. Il nome La Muerta deriva da una tragedia contemporanea, ovvero la morte di una donna appartenente alla comunità di chicleros che lavorava lì nei dintorni e che proprio nei pressi di questo sito aveva creato il proprio accampamento.
La natura che si è impossessata del complesso La Muerta
Il tramonto questa volta è possibile ammirarlo da El Tigre, una piramide triadica con un’altezza massima di 55 metri. Si ritiene che il modello triadico, tipico del periodo Preclassico tardivo, voglia rappresentare le tre pietre del fuoco cosmico della creazione che trovano il loro corrispettivo in cielo come le tre stelle della costellazione di Orione. La piramide di El Tigre ha una base di 140 m2, ancora totalmente da scavare, che, secondo gli studi, potrebbe contenere la maggior parte degli edifici presenti nel sito di Tikal.
Ecco come appare La Danta vista dalla cima della piramide El Tigre
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Giorno 3: esplorazione del sito El Mirador
Sveglia prima dell’alba per raggiungere la cima più alta del complesso piramidale La Danta, il più grande mai costruito dai Maya, nonché uno dei più imponenti del mondo in termini di volume. Dopo un periodo di tempo di circa 500 anni di abbandono dell’area, i Maya fecero ritorno e continuarono la costruzione di questo complesso fondato nel Preclassico, utilizzando le stesse pietre che erano state lasciate nell’epoca anteriore. Dall’alto dei suoi 72 metri potrete ammirare il cielo stellato, aspettare il sole che sorga ed assistere all’incredibile risveglio della selva. Quella mattina eravamo gli unici in tutto il sito.
Purtroppo niente sole ma il risveglio della selva è stato qualcosa di surreale
Dopo la colazione si prosegue con la visita dell’Acropoli Centrale dove sono stati rinvenuti dei fregi meravigliosi che raccontano le storie del Popol-Vuh, il libro sacro della cultura Maya, in particolare il mito che riguarda le divinità gemelle Hunahpú e Ixbalanqué, gli stessi che dopo aver fatto visita nel regno di Xibalbá, il dio della morte e aver affrontato mille peripezie, si trasformarono il primo nel Sole e il secondo nella Luna.
Nel fregio in basso si vedono i due gemelli Hunahpú e Ixbalanqué
Terminate le visite che ovviamente non possono tralasciare il tempio Garra de Jaguar, adornato con mascheroni rappresentanti due enormi teste di giaguaro, il pomeriggio sarà di riposo e a voi la scelta sul dove andare a godervi il tramonto.
Uno tramonto perfetto visto dalla Danta
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Giorno 4 e 5: ritorno a Flores
Di nuovo si dorme a El Tintal e quindi l’ultimo giorno ci si sveglia prima dell’alba per approfittare della frescura mattutina e fare rientro a Carmelita. Dopo pranzo trasferimento a Flores.
Nel caso del tour di 6 giorni e 5 notti le tappe prevedono 14 km fino a Nakbe, un sito ancora più antico di El Mirador ma meno imponente, 36 km fino a La Florida e quindi da lì 9 km per Carmelita.
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Riferimenti:
– Antonio Centeno: tono.centeno@gmail.com (+502)-50176311/59254135. Visitate il suo sito internet all’indirizzo www.expedicionelmirador.com oppure collegatevi a Facebook alla pagina Dinastia Kan “El Mirador”
– Se volete saperne di più riguardo al Progetto El Mirador presieduto da Richard Hansen guardate questo video.
– Se interessati ad una traduzione del Popol Vuh in italiano la potete acquistare qui.
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