Chiudete gli occhi e pensate al deserto. Qual’è la prima immagine che vi viene in mente? La maggior parte degli italiani – basta fare una breve ricerca su Google – tende ad associare questa parola all’immagine dei deserti africani, alle dune di sabbia color ocra scolpite dal vento, alle oasi, ai cammelli, ai beduini. Niente di strano ovviamente: in una visione Europa-centrica, i deserti africani sono quelli a noi più vicini e quindi, proprio per questo, i primi a cui rivolgiamo il nostro pensiero.
Provate però a cambiare zona geografica e a chiedere, per esempio, ad un abitante del Gujarat, in India, di che colore è per lui il deserto e vedrete che la risposta sarà completamente diversa. “Bianco!”, vi dirà, perché bianco è il colore del sale che ricopre quell’immensa e desolata distesa di terra conosciuta con il nome di White Desert. Siamo ai confini con il Pakistan, nell’estremità occidentale del paese, là dove, durante la stagione secca, le acque di un’immensa palude salata evaporano per il calore, lasciando emergere in superficie i sedimenti salini che altrimenti rimarrebbero sommersi. Il Great Rann of Kutch – così lo chiamano localmente – è un luogo leggendario in cui finalmente sono riuscita a mettere piede quest’anno! Devo ammetterlo, pensavo che raggiungerlo sarebbe stata un’impresa molto più ardua e invece, sarà per l’abitudine ai mezzi e alle distanze indiane, arrivarci mi è sembrato un gioco da ragazzi. Punto di partenza per la visita al White Desert è la piccola città di Bhuj, molto carina, piacevole e per nulla “avamposto” come invece uno si aspetterebbe guardando alla sua posizione sulla mappa dell’India.
Dalla stazione degli autobus di Bhuj, in concomitanza con la durata del Rann Utsav (di cui vi parlerò tra poco), ogni giorno alle 9.30 (indian time!) parte un bus governativo alla volta del White Desert. Dite che siete diretti a Dhordo e vi indicheranno dove andare. Il bus, trasformato per l’occasione in pullman turistico è a tutti gli effetti un servizio organizzato apposta per portare e riportare in città il gruppo vacanze che nel frattempo si è formato a bordo: l’atmosfera è quella di una vera e propria gita in cui il controllore, oltre a vendere i biglietti, assume il ruolo di tour leader, dando gli orari e i luoghi di incontro. La distanza tra Bhuj e il deserto è di 82 km e il costo del biglietto di 81 rupie (162 a/r). A circa metà strada tutti i passeggeri dovranno scendere dal pullman, mostrare i documenti alle “autorità” e acquistare il permesso di entrata (100 rupie). Trattandosi di zone di confine è obbligatorio essere in possesso di tali permessi per cui ricordatevi di portare con voi il passaporto!
L’ambiente si fa sempre più arido, gli arbusti sempre più bassi ed ecco che improvvisamente appare! Che cosa, il deserto? No! Ecco la pataccata indiana, il mega allestimento per il Rann Utsav che si tiene ogni anno da novembre a febbraio. Una fiera dell’artigianato, ecco di cosa si tratta. Tendoni, bancarelle, prodotti d’artigianato provenienti dai villaggi della regione, cibo, bevande, il tutto in grande stile. Cavolo ero venuta nel deserto in India e mi ritrovo invece a Rho-Fiera! Ebbene si, questa è l’India, quella che ti sconvolge, quella dove è meglio arrivare sempre privi di aspettative, pronti a prendersi quel che c’è! Al festival ci torneremo nel pomeriggio dove ci verrà data un’ora di tempo libero.
Proseguiamo quindi fino al White Desert che finalmente incomincia a vedersi in lontananza ed è l’attrazione di punta: carretti trainati da cammelli che portano avanti e indietro chi proprio non ha voglia di farsi a piedi quei circa 2 km che dal parcheggio permettono di raggiungere la distesa di sale. Non se ne vede la fine, lo spettacolo del Rann of Kutch che si estende a perdita d’occhio verso il Pakistan è meraviglioso. Allontanatevi dalla folla camminando sul sale e riuscirete a sentirne il silenzio. Godetevi la bellezza di questo angolo remoto dell’India: il conduttore/tour leader vi ha dato due ore! 🙂
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Ora, già che ci sono e visto che il bianco li accomuna, vi accennerò ad altri due meravigliosi deserti che trovate in Sud America, uno in Bolivia e l’altro in Brasile: mi riferisco al Salar de Uyuni e al Parque Nacional dos Lençóis Maranhenses.
Salar de Uyuni
Era dicembre 2006 quando, all’età di 22 anni, mi ritrovai, quasi per caso, ad attraversare la più grande distesa di sale del pianeta. Incredibile è per me costatare come, nonostante il tempo passato, il ricordo di questi luoghi rimanga ancora vivido nella mia memoria. Non avevo gli occhiali da sole e mi ricordo benissimo di quanto la luce riflessa sul bianco del sale fosse accecante, era quasi impossibile tenere gli occhi aperti e se ci ripenso mi viene ancora da chiuderli. Una distesa bianca e infinita, l’orizzonte che si perde insieme all’orientamento, un paesaggio surreale figlio di migliaia di anni di sedimentazione. Circondata da montagne che da lontano appaiono come un miraggio, la pianura salata più vasta del mondo che si estende ad un’altezza di 3.653 metri, faceva parte, insieme al Salar de Copaisa, di quel sistema di laghi che oltre 10.000 anni fa ricoprivano tutta la regione. Non essendoci sbocco verso il mare, l’acqua proveniente dalle montagne si riversava infatti in questo immenso bacino il quale, prosciugandosi, lasciò sul fondo grandissimi depositi di sale.
Per attraversare il Salar de Uyuni è necessario unirsi ad un tour in 4×4, in partenza da Uyuni stessa oppure da Tupiza – più comoda se siete in arrivo dall’Argentina. I tour di solito hanno una durata di 3 giorni e 2 notti e possono essere organizzati direttamente in loco (anche la mattina stessa prima della partenza dei tour prevista di solito attorno alle 10.30) in una delle decine di agenzie che offrono quasi tutte lo stesso pacchetto. Suppongo che i costi dal 2006 ad oggi siano cambiati ma se allora pagammo 55 US$ a testa per tutto il tour (in una jeep da 6), credo che adesso il prezzo corretto si debba aggirare intorno ai 70/80 US$ al massimo.
Le tappe fondamentali nonché quelle seguite da tutte le jeep, sono le seguenti: Cimitero dei Treni, Hotel di Sale, Isola Incahuasi con i suoi cactus giganti, San Juan Bautista, Laguna Colorada, Gyser de Sol da Mañana, Laguna Verde e Arbol de Piedra. Con tutto questo arriverete a toccare gli oltre 5000 metri e a pernottare a oltre 4000. Ciò che è logico ma che spesso non viene reso esplicito in fase di prenotazione (soprattutto se fatta di fretta la mattina stessa) è che a 4.000 metri di notte la temperatura può scendere fino a -20° e che negli hostal non c’è riscaldamento. Detto questo è quindi fondamentale portarsi vestiti leggeri per il giorno – quando si possono raggiungere anche i 20° – ma molto caldi per la notte e se avete con voi un sacco a pelo portate anche quello (comunque gli hostal sono forniti di coperte pesanti). A questo aggiungete però anche il costume che vi servirà per fare il bagno nelle sorgenti di acqua termale a 40°. Fate conto di non lavarvi per tre giorni (se non in questa occasione) e quindi munitevi di salviettine igieniche. Occhiali da sole, una torcia per la sera (dopo le 21 rimarrete senza corrente), batterie di scorta per la macchina fotografica (che non avrete modo di caricare) e medicinali vari (soprattutto prodotti per liberare il naso qualora aveste difficoltà a respirare) è tutto ciò che vi sarà sicuramente utile.
Vi sono due scuole di pensiero su quale sia il periodo migliore per recarsi al Salar de Uyuni: una dice che sia molto meglio durante la stagione delle piogge (novembre-marzo) quando, ricopertosi di un sottile strato di acqua si trasforma in uno specchio tale da non riuscire più a distinguere la terra dal cielo; in questo caso però dovete mettere in conto di non poter svolgere il tour completo in quanto il terreno diventa impraticabile per le jeep che non si addentrano più di tanto. La seconda scuola di pensiero preferisce invece la stagione secca (agosto-ottobre) quando, pur mancando lo spettacolo dello specchio d’acqua, è possibile percorrerne la superficie. I mesi che vanno da aprile a luglio vengono considerati da evitare per via delle temperature troppo basse. Io vi dico, ci sono stata alla fine di dicembre che dovrebbe essere piena stagione delle piogge, eppure ho trovato l’ambiente completamente secco, non incontrando quindi problemi a svolgere il tour completo. Il consiglio? Fate come si farebbe in India: partite senza aspettative e prendete quel che c’è…sarà comunque un’esperienza indimenticabile!
Parco Nazionale dos Lençóis Maranhenses
Passiamo ora al Brasile: era lo stesso anno della Bolivia, il 2006, quando, ancora all’inizio di un viaggio che sarebbe durato più di tre mesi, mi ritrovai a calpestare la sabbia fine di dune bianchissime, quelle del Parco Nazionale dos Lençóis Maranhenses, un paesaggio che mai avrei pensato potesse esistere. Ero alle prime armi come viaggiatrice, avevo appena cominciato a scoprire le meraviglie di questo mondo ed ecco che subito mi ritrovo davanti agli occhi qualcosa di spettacolare.
“Le lenzuola del Maranhão”, lo stato a nord-ovest del Brasile con capoluogo a São Luís, sono onde di sabbia che si distendono a perdita d’occhio creando un ambiente quasi surreale, costellato da pozze di acqua cristallina che si formano durante la stagione delle piogge. Ebbene si, nonostante in tanti lo chiamino deserto, tecnicamente la definizione non è corretta in quanto la pioggia qui cade eccome, superando i 1200 mm l’anno. L’acqua costituisce l’elemento fondamentale per la formazione di un tale ambiente: due fiumi vicini, il Parnaíba e il Preguiças, trasportano infatti la sabbia dall’interno del continente fino all’Oceano, dove le correnti la sospingono verso ovest. Gran parte dei sedimenti si deposita lungo i 70 chilometri di costa del parco dove, durante la stagione secca, un implacabile vento nordorientale spinge la sabbia verso l’interno, fino a 48 chilometri di distanza.
Tra gennaio e giugno le piogge riempiono le valli tra le dune di acqua, formano delle lagune da sogno in cui nuotano banchi di pesci argentati arrivati fin lì nel periodo più piovoso, quando le lagune si collegano ai fiumi che attraversano il parco. Nelle stesse lagune potrete fare il bagno anche voi. Per raggiungere il parco dovrete recarvi a Barreirinhas (260 km ad ovest di São Luís), una piccola e piacevole cittadina dove non sarà difficile trovare una sistemazione per la notte e dove, tramite qualsiasi agenzia del posto potrete organizzare la visita alle dune, effettuata esclusivamente in 4×4.
Avete visto che meraviglia? E voi, conoscete altri deserti bianchi da aggiungere alla lista?