Gujarat

Quegli angoli del Gujarat che non immaginavo…

Quegli angoli del Gujarat che non immaginavo… 1024 699 Sonia Sgarella

Oggi ritorno col pensiero in Gujarat e lo faccio mentre leggo il libro sull’India di Stefano Cotone. “Ti racconto l’India…” mi venne regalato otto anni fa da una persona che si diceva essere “per nulla interessata a quel paese” e che colse l’occasione di un incontro  per passare a me ciò che a sua volta aveva ricevuto in dono. Forse la mancanza di tempo, una partenza imminente o chissà cosa non ricordo, mi fece commettere l’errore di riporre il libro sullo scaffale dei libri già letti: testi che ho divorato in pochi giorni perché troppo belli, libri che mi hanno dato ispirazione e insegnato un sacco di cose, che ho sottolineato, evidenziato e pasticciato in tutti i modi ma anche libri che ahimè, pur sforzandomi, non ce l’ho fatta a terminare, libri noiosi, pesanti, su cui ti ci addormenti.

Per uscire dal quel mondo e fare ritorno sullo scaffale dei libri da leggere, a casa mia di solito devono passare degli anni, quando per una coincidenza improbabile non mi sono rimasti più libri in lista d’attesa oppure perché, dimenticandomi totalmente di cosa parlasse il testo, decido di riprenderlo in mano e di ricominciare a sfogliarlo.

Ebbene, questo è quello che è successo con il libro di Cotone di cui mi sono resa conto di non aver mai letto neanche una riga nonostante mi fossi convinta di averlo fatto; pagine e pagine che ora scopro trattare tantissimi dei luoghi che ho visitato durante il mio ultimo viaggio in India e da cui avrei potuto forse trarre ispirazione o semplicemente qualche informazione in più. Niente di male tuttavia: secondo il mio punto di vista, avere troppe informazioni prima della partenza, può essere controproducente; lasciare che il luogo mi stupisca e mi sorprenda con cose di cui non ho mai sentito parlare né mai visto una foto è invece quello che preferisco.

Lo stato del Gujarat diciamo che a questo ben si presta: se ne sente infatti parlare ben poco e a meno a che non ci si informi di proposito, è raro che le notizie a riguardo ci piovano dal cielo. Seguendo questa filosofia dello “scoprire strada facendo”, allora sono almeno tre i luoghi che in questo ultimo viaggio in Gujarat mi hanno sorpreso e stupito perché di loro non conoscevo praticamente nulla: Junagadh, Mandvi e Diu Island.

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1. MANDVI

Mandvi è facilmente raggiungibile tenendo come base la città di Bhuj. Dalla stazione degli autobus prendete la prima corriera in partenza: la distanza tra le due località è di 59 km, il costo di 35 rupie e il tempo di percorrenza di circa 1h30.

Mandvi

Mandvi

Situata come Bhuj nella regione del Kutch ma affacciata al Mare Arabico, Mandvi è una piccola località punteggiata da splendidi edifici d’epoca color pastello e famosa ancora oggi in diversi paesi del mondo per il suo rinomato cantiere navale. Imbarcazioni di legno che possono superare i 20 metri di lunghezza vengono qui costruite da oltre 400 anni grazie alla tecnica non comune di centinaia di operai e maestri d’ascia che utilizzano un robusto legname (teak o iroko) proveniente dalla Malesia.

Mandvi

Fondata nel 1574 come un importante città portuale – la più importante prima dell’ascesa di Mumbai – Mandvi, nel corso della storia, superò in ricchezza la città di Bhuj costituendo un importante punto di transito soprattutto lungo le rotte vie mare: qui le imbarcazioni arrivavano dall’Africa, dal Golfo Persico, dalla Costa del Malabar (odierno Kerala) e anche dal Sud-Est Asiatico e ancora oggi diversi paesi si servono del cantiere navale di Mandvi per le loro flotte di pescherecci.

Mandvi

Per pranzo potete fermarvi in centro per un thali all’Osho Hotel oppure camminare fino alla spiaggia dove, nell’unica struttura turistica che troverete, c’è anche il ristorante.

A pochi chilometri da Mandvi, con una breve corsa in tuk tuk potrete raggiungere inoltre il Vijay Vilas Palace, la residenza estiva dei regnanti del Kutch datata 1929, oggi utilizzata per lo più come set cinematografico. Circondata da un immenso giardino, è il luogo ideale dove riprendersi un po’ dai rumori del traffico prima di fare ritorno a Bhuj.

Mandvi - Vijay Vilas Palace Mandvi - Vijay Vilas Palace Mandvi - Vijay Vilas Palace

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2. JUNAGADH

Se da Bhuj siete diretti sulla costa meridionale del Gujarat o verso il Gir National Park, Junagadh costituisce un interessante tappa intermedia. Da Bhuj c’è solo una compagnia di autobus privati che offre il servizio diretto notturno e al momento del mio viaggio si trattava della Jai Somnath. Chiedete comunque alle varie agenzie che si trovano in zona Bus Stand e vi verrà sicuramente detto.

Girnar Hill

Molti sono i pellegrini sia hindu che jaina che arrivano fin qui per intraprendere la scalata dei quasi 10.000 gradini della Girnar Hill e raggiungere stremati i templi che si trovano sulla sua sommità ma a parte questo la cittadina offre altro: un fatiscente quanto pittoresco centro storico, un suggestivo forte in rovina e due meravigliosi mausolei, anch’essi abbandonati al loro destino ma di incredibile fascino.

Junagadh

Mahabat Maqbara, così si chiama il sontuoso mausoleo del nawab Mahabat Khan II, affiancato da quello del vizir, ancor più decorato. Due sontuosi esempi di architettura euro-indo-islamica che si trovano proprio accanto alla moschea dove potrete andare a chiedere le chiavi nel caso in cui doveste trovare il cancello chiuso.

Junagadh Junagadh Junagadh

Un consiglio logistico: per visitare Junagadh e i suoi monumenti vi basteranno a dir tanto 3 ore. A meno che non siate arrivati fin qui per salire sulla collina sacra – in questo caso vi converrebbe aspettare la mattina successiva per cominciare all’alba – perdere troppo tempo da queste parti non ne vale davvero la pena. Se, come me, avete intenzione di raggiungere Junagadh partendo da Bhuj, sappiate che il vostro autobus, salvo imprevisti, raggiungerà destinazione molto presto, verso le 5.30 del mattino e vi converrà dunque aver già prenotato un hotel. Il Relief Hotel di Junagadh è un’ottima soluzione ma sappiate che per entrare a quell’ora vi farà pagare comunque la metà del costo dell’intera notte permettendovi di tenere la camera fino alle ore 12. Se avete riposato abbastanza, vi siete fatti una doccia e visti i monumenti, non ha senso dunque trattenersi oltre in città. Fossi in voi piuttosto prenderei un autobus diretto a Somnath (circa 2 ore al costo di 56 rupie) dove si trova uno dei templi più sacri del Gujarat e dell’India intera. Trovata una stanza mi godrei quindi, a partire dal tardo pomeriggio, l’atmosfera di questo sentito luogo di pellegrinaggio. Nell’edificio di fronte alla stazione degli autobus di Junagadh, all’ultimo piano, c’è un ottimo ristorante dove potrete rifocillarvi prima di partire per Somnath.

Somnath

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3. DIU ISLAND

Scrive Stefano Cotone nel suo libro: “Diu è stata l’ultima terra d’Europa in India che insieme a Daman controllava lo stretto di Cambay e con la lontana Goa costituiva la terna portoghese. Nel 1961 gli indiani con un colpo di mano se ne sono impossessati. Riconquistata si direbbe.”

Diu è un’isola, un mondo appartato con un’identità non ben definita: è tutto così ordinato e pulito che quasi non sembra di essere in India; le chiese e le case coloniali farebbero più pensare ad un villaggio del Portogallo ma qui nessuno parla il portoghese né tanto meno sembra conoscere esattamente i fatti che riguardano la propria storia, seppur non molto lontana. Chiedendo dunque a qualcuno qual’è la parola che definisce meglio questo mondo isolato dalla terraferma per soli pochi chilometri di mare, è quasi sicuro che vi risponderanno “whisky!”; sì perché Diu è  l’unico posto nel Gujarat proibizionista dove è permessa la vendita di alcolici.  Per evitare scene raccapriccianti di uomini ubriachi e giovani molesti sarebbe dunque meglio evitare di capitarci durante il weekend.

Diu

A parte visitare la zona del forte portoghese da cui avrete delle viste spettacolari sulla costa frastagliata dell’isola e a parte perdersi tra le viuzze della città vecchia per  raggiungere le chiese o passeggiare sul lungo mare della zona turistica, quello che a mio avviso è valso veramente la pena di arrivare fin qui, è stata l’escursione al villaggio di Vanakbara, situato nella parte opposta dell’isola.

Diu

Un piccolo villaggio di pescatori dove rimanere affascinati guardando lo svolgersi delle attività commerciali e di riparazione delle centinaia di barche variopinte che al mattino rientrano al porto per mettere in vendita il pescato. Un tripudio di colori in un angolo di India praticamente sconosciuto al turismo di massa e a cui, a maggior ragione, vale la pena di dedicare del tempo. 

Diu Diu Diu Diu Diu

Ah, dimenticavo: di seguito una foto della mia Guest House sull’isola di Diu. Ebbene sì, trovando posto potrete anche pernottare nell’edificio della vecchia Chiesa portoghese di San Tommaso, oggi sconsacrata. La vista dalla terrazza è forse la più bella della città!

Diu

Deserti di sale

Deserti di sale 1024 690 Sonia Sgarella

Chiudete gli occhi e pensate al deserto. Qual’è la prima immagine che vi viene in mente? La maggior parte degli italiani – basta fare una breve ricerca su Google – tende ad associare questa parola all’immagine dei deserti africani, alle dune di sabbia color ocra scolpite dal vento, alle oasi, ai cammelli, ai beduini. Niente di strano ovviamente: in una visione Europa-centrica, i deserti africani sono quelli a noi più vicini e quindi, proprio per questo, i primi a cui rivolgiamo il nostro pensiero.

Marocco - Dune di sabbia di Merzouga

Marocco – Dune di sabbia di Merzouga

Provate però a cambiare zona geografica e a chiedere, per esempio, ad un abitante del Gujarat, in India, di che colore è per lui il deserto e vedrete che la risposta sarà completamente diversa. “Bianco!”, vi dirà, perché bianco è il colore del sale che ricopre quell’immensa e desolata distesa di terra conosciuta con il nome di White Desert. Siamo ai confini con il Pakistan, nell’estremità occidentale del paese, là dove, durante la stagione secca, le acque di un’immensa palude salata evaporano per il calore, lasciando emergere in superficie i sedimenti salini che altrimenti rimarrebbero sommersi. Il Great Rann of Kutch – così lo chiamano localmente – è un luogo leggendario in cui finalmente sono riuscita a mettere piede quest’anno! Devo ammetterlo, pensavo che raggiungerlo sarebbe stata un’impresa molto più ardua e invece, sarà per l’abitudine ai mezzi e alle distanze indiane, arrivarci mi è sembrato un gioco da ragazzi. Punto di partenza per la visita al White Desert è la piccola città di Bhuj, molto carina, piacevole e per nulla “avamposto” come invece uno si aspetterebbe guardando alla sua posizione sulla mappa dell’India.

Dalla stazione degli autobus di Bhuj, in concomitanza con la durata del Rann Utsav (di cui vi parlerò tra poco), ogni giorno alle 9.30 (indian time!) parte un bus governativo alla volta del White Desert. Dite che siete diretti a Dhordo e vi indicheranno dove andare. Il bus, trasformato per l’occasione in pullman turistico è a tutti gli effetti un servizio organizzato apposta per portare e riportare in città il gruppo vacanze che nel frattempo si è formato a bordo: l’atmosfera è quella di una vera e propria gita in cui il controllore, oltre a vendere i biglietti, assume il ruolo di tour leader, dando gli orari e i luoghi di incontro. La distanza tra Bhuj e il deserto è di 82 km e il costo del biglietto di 81 rupie (162 a/r). A circa metà strada tutti i passeggeri dovranno scendere dal pullman, mostrare i documenti alle “autorità” e acquistare il permesso di entrata (100 rupie). Trattandosi di zone di confine è obbligatorio essere in possesso di tali permessi per cui ricordatevi di portare con voi il passaporto!

L’ambiente si fa sempre più arido, gli arbusti sempre più bassi ed ecco che improvvisamente appare! Che cosa, il deserto? No! Ecco la pataccata indiana, il mega allestimento per il Rann Utsav che si tiene ogni anno da novembre a febbraio. Una fiera dell’artigianato, ecco di cosa si tratta. Tendoni, bancarelle, prodotti d’artigianato provenienti dai villaggi della regione, cibo, bevande, il tutto in grande stile. Cavolo ero venuta nel deserto in India e mi ritrovo invece a Rho-Fiera! Ebbene si, questa è l’India, quella che ti sconvolge, quella dove è meglio arrivare sempre privi di aspettative, pronti a prendersi quel che c’è! Al festival ci torneremo nel pomeriggio dove ci verrà data un’ora di tempo libero.

Runn of Kutch - India

Proseguiamo quindi fino al White Desert che finalmente incomincia a vedersi in lontananza ed è l’attrazione di punta: carretti trainati da cammelli che portano avanti e indietro chi proprio non ha voglia di farsi a piedi quei circa 2 km che dal parcheggio permettono di raggiungere la distesa di sale. Non se ne vede la fine, lo spettacolo del Rann of Kutch che si estende a perdita d’occhio verso il Pakistan è meraviglioso. Allontanatevi dalla folla camminando sul sale e riuscirete a sentirne il silenzio. Godetevi la bellezza di questo angolo remoto dell’India: il conduttore/tour leader vi ha dato due ore! 🙂

Runn of Kutch - India

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Ora, già che ci sono e visto che il bianco li accomuna, vi accennerò ad altri due meravigliosi deserti che trovate in Sud America, uno in Bolivia e l’altro in Brasile: mi riferisco al Salar de Uyuni e al Parque Nacional dos Lençóis Maranhenses.

Salar de Uyuni

Era dicembre 2006 quando, all’età di 22 anni, mi ritrovai, quasi per caso, ad attraversare la più grande distesa di sale del pianeta. Incredibile è per me costatare come, nonostante il tempo passato, il ricordo di questi luoghi rimanga ancora vivido nella mia memoria. Non avevo gli occhiali da sole e mi ricordo benissimo di quanto la luce riflessa sul bianco del sale fosse accecante, era quasi impossibile tenere gli occhi aperti e se ci ripenso mi viene ancora da chiuderli. Una distesa bianca e infinita, l’orizzonte che si perde insieme all’orientamento, un paesaggio surreale figlio di migliaia di anni di sedimentazione. Circondata da montagne che da lontano appaiono come un miraggio, la pianura salata più vasta del mondo che si estende ad un’altezza di 3.653 metri, faceva parte, insieme al Salar de Copaisa, di quel sistema di laghi che oltre 10.000 anni fa ricoprivano tutta la regione. Non essendoci sbocco verso il mare, l’acqua proveniente dalle montagne si riversava infatti in questo immenso bacino il quale, prosciugandosi, lasciò sul fondo grandissimi depositi di sale.

Salar de Uyuni - Bolivia

Per attraversare il Salar de Uyuni è necessario unirsi ad un tour in 4×4, in partenza da Uyuni stessa oppure da Tupiza – più comoda se siete in arrivo dall’Argentina. I tour di solito hanno una durata di 3 giorni e 2 notti e possono essere organizzati direttamente in loco (anche la mattina stessa prima della partenza dei tour prevista di solito attorno alle 10.30) in una delle decine di agenzie che offrono quasi tutte lo stesso pacchetto. Suppongo che i costi dal 2006 ad oggi siano cambiati ma se allora pagammo 55 US$ a testa per tutto il tour (in una jeep da 6), credo che adesso il prezzo corretto si debba aggirare intorno ai 70/80 US$ al massimo.

Salar de Uyuni - Bolivia

Le tappe fondamentali nonché quelle seguite da tutte le jeep, sono le seguenti: Cimitero dei Treni, Hotel di Sale, Isola Incahuasi con i suoi cactus giganti, San Juan Bautista, Laguna Colorada, Gyser de Sol da Mañana, Laguna Verde e Arbol de Piedra. Con tutto questo arriverete a toccare gli oltre 5000 metri e a pernottare a oltre 4000. Ciò che è logico ma che spesso non viene reso esplicito in fase di prenotazione (soprattutto se fatta di fretta la mattina stessa) è che a 4.000 metri di notte la temperatura può scendere fino a -20° e che negli hostal non c’è riscaldamento. Detto questo è quindi fondamentale portarsi vestiti leggeri per il giorno – quando si possono raggiungere anche i 20° – ma molto caldi per la notte e se avete con voi un sacco a pelo portate anche quello (comunque gli hostal sono forniti di coperte pesanti). A questo aggiungete però anche il costume che vi servirà per fare il bagno nelle sorgenti di acqua termale a 40°. Fate conto di non lavarvi per tre giorni (se non in questa occasione) e quindi munitevi di salviettine igieniche. Occhiali da sole, una torcia per la sera (dopo le 21 rimarrete senza corrente), batterie di scorta per la macchina fotografica (che non avrete modo di caricare) e medicinali vari (soprattutto prodotti per liberare il naso qualora aveste difficoltà a respirare) è tutto ciò che vi sarà sicuramente utile.

Salar de Uyuni - Bolivia

Vi sono due scuole di pensiero su quale sia il periodo migliore per recarsi al Salar de Uyuni: una dice che sia molto meglio durante la stagione delle piogge (novembre-marzo) quando, ricopertosi di un sottile strato di acqua si trasforma in uno specchio tale da non riuscire più a distinguere la terra dal cielo; in questo caso però dovete mettere in conto di non poter svolgere il tour completo in quanto il terreno diventa impraticabile per le jeep che non si addentrano più di tanto. La seconda scuola di pensiero preferisce invece la stagione secca (agosto-ottobre) quando, pur mancando lo spettacolo dello specchio d’acqua, è possibile percorrerne la superficie. I mesi che vanno da aprile a luglio vengono considerati da evitare per via delle temperature troppo basse. Io vi dico, ci sono stata alla fine di dicembre che dovrebbe essere piena stagione delle piogge, eppure ho trovato l’ambiente completamente secco, non incontrando quindi problemi a svolgere il tour completo. Il consiglio? Fate come si farebbe in India: partite senza aspettative e prendete quel che c’è…sarà comunque un’esperienza indimenticabile!

Parco Nazionale dos Lençóis Maranhenses

Passiamo ora al Brasile: era lo stesso anno della Bolivia, il 2006, quando, ancora all’inizio di un viaggio che sarebbe durato più di tre mesi, mi ritrovai a calpestare la sabbia fine di dune bianchissime, quelle del Parco Nazionale dos Lençóis Maranhenses, un paesaggio che mai avrei pensato potesse esistere. Ero alle prime armi come viaggiatrice, avevo appena cominciato a scoprire le meraviglie di questo mondo ed ecco che subito mi ritrovo davanti agli occhi qualcosa di spettacolare.

Parque Nacional dos Lençóis Maranhenses, Brasile

“Le lenzuola del Maranhão”, lo stato a nord-ovest del Brasile con capoluogo a São Luís, sono onde di sabbia che si distendono a perdita d’occhio creando un ambiente quasi surreale, costellato da pozze di acqua cristallina che si formano durante la stagione delle piogge. Ebbene si, nonostante in tanti lo chiamino deserto, tecnicamente la definizione non è corretta in quanto la pioggia qui cade eccome, superando i 1200 mm l’anno. L’acqua costituisce l’elemento fondamentale per la formazione di un tale ambiente: due fiumi vicini, il Parnaíba e il Preguiças, trasportano infatti la sabbia dall’interno del continente fino all’Oceano, dove le correnti la sospingono verso ovest. Gran parte dei sedimenti si deposita lungo i 70 chilometri di costa del parco dove, durante la stagione secca, un implacabile vento nordorientale spinge la sabbia verso l’interno, fino a 48 chilometri di distanza.

Parque Nacional dos Lençóis Maranhenses, Brasile

Tra gennaio e giugno le piogge riempiono le valli tra le dune di acqua, formano delle lagune da sogno in cui nuotano banchi di pesci argentati arrivati fin lì nel periodo più piovoso, quando le lagune si collegano ai fiumi che attraversano il parco. Nelle stesse lagune potrete fare il bagno anche voi. Per raggiungere il parco dovrete recarvi a Barreirinhas (260 km ad ovest di São Luís), una piccola e piacevole cittadina dove non sarà difficile trovare una sistemazione per la notte e dove, tramite qualsiasi agenzia del posto potrete organizzare la visita alle dune, effettuata esclusivamente in 4×4.

Avete visto che meraviglia? E voi, conoscete altri deserti bianchi da aggiungere alla lista?

Gujarat e Unesco: le rovine archeologiche di Champaner

Gujarat e Unesco: le rovine archeologiche di Champaner 1024 682 Sonia Sgarella

Una collina vulcanica di circa 800 metri che si innalza solitaria nel bel mezzo di una campagna polverosa e sconfinata; un’antica cittadella islamica costellata di raffinate moschee e monumenti funerari,per secoli dimenticata: sono questi gli splendidi siti conosciuti localmente con il nome di Pavagadh e Champaner, entrambi meritatamente e a ragion dovuta inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dall’Unesco.

Vi riporto di nuovo nello stato del Gujarat, a circa un’ora e mezza dall’attivo centro abitato di Baroda (Vadodara) che pur non presentando nessuna attrattiva particolarmente interessante, costituirà quasi necessariamente la vostra base di partenza, se non altro per la vasta offerta di sistemazioni.

Per la visita di Pavagadh e Champaner considerate di impiegare un’intera giornata per cui recatevi in mattinata nella sorprendentemente moderna stazione degli autobus – dove già il giorno prima avrete chiesto conferma degli orari – e salite sul primo autobus in partenza diretto nella zona del parco archeologico. Il tragitto – non chiedetemene il motivo – avrà un costo di 35 rupie per l’andata e 50 per il ritorno.

Una volta arrivati a destinazione, uscendo dal bus stand locale, svoltate a destra e continuate lungo la strada principale in direzione della Jami Masjid, la “Grande Moschea”. La troverete dritta davanti a voi, all’altezza di una grande curva. Guardatela ma non entrateci ancora. Prendete piuttosto prima il sentiero di campagna che si dirama immediatamente alla sua sinistra e mentre godrete di una spettacolare prospettiva della collina di Pavagadh, fate tappa alla Kevda Masjid.

Immersa in un pacifico e silenzioso ambiente rurale e praticamente dimenticata dal turismo locale di pellegrini in visita alla collina, poco interessati ai vicini edifici storici, questa prima magnifica moschea con annesso cenotafio, è il luogo perfetto da dove cominciare la vostra esplorazione e, nella solitudine più assoluta, iniziare ad immergervi nella storia di questi luoghi incantati.

Champaner

Champaner, fondata nell’VIII secolo dal più prominente dei sovrani della dinastia Chavda – lo stesso che fondò la città di Patan, passata poi nelle mani della dinastia Solanki – e successivamente governata dal gruppo Rajput dei Chauhan, raggiunse il suo massimo splendore solo quando, nel 1484, Mahmud Begda, dopo 20 lunghissimi mesi d’assedio, ne fece la capitale del suo regno, il nuovo Sultanato del Gujarat.

Leggi anche: Viaggio in Gujarat: lo splendore dell’arte Solanki nei dintorni di Mehsana

Purtroppo Muhammadabad – così venne rinominata sotto il suo governo – non ebbe lunga vita: troppo presto, dopo solo 23 anni di regno, venne infatti rimpiazzata nel suo ruolo da Ahmedabad. Il destino di Champaner era quindi ormai già segnato quando Humayun, l’imperatore Mughal, la saccheggiò di tutto quello che era rimasto lasciando che questa antica meraviglia cadesse in rovina per sempre.

La Kevda Masjid, che venne dunque costruita durante il regno di Mahmud Begda (1458-1551 d.c.) , rappresenta ancora oggi una perfetta sintesi di architettura indo-islamica, ricca di squisiti disegni geometrici e floreali che vennero presi a modello in altri esempi  architettonici dello stesso genere. Al tempo della sua costruzione la moschea era dotata di tre cupole a sovrastare la grande sala della preghiera ma purtroppo quella centrale ha subito un crollo ed è oggi mancante.

Champaner - Kevda Masjid

Champaner - Kevda Masjid

Champaner - Kevda Masjid

Ritornate ora sul sentiero di campagna da cui siete arrivati e girando intorno alla Kevda Masjid, in altri dieci minuti di cammino, raggiungerete la Nagina Masjid dove, questa volta a farla da padrone, più che la moschea, è il vicino cenotafio le cui facciate, colonne e nicchie sono di nuovo meravigliosamente decorate con motivi floreali e geometrici.

Champaner - Nagina Masjid Champaner - Nagina Masjid Champaner - Nagina Masjid

Se vi siete quindi goduti abbastanza la pace di questi primi due luoghi, siete ora pronti a fare ritorno verso la Jami Masjid, la moschea più imponente dell’area archeologica. Situata al di fuori di quello che rimane delle antiche mura di fortificazione della cittadella, la “Grande Moschea”, si classifica a livello architettonico come una delle più raffinate di tutto lo stato del Gujarat. Personalmente non mi sono trovata d’accordo con questo giudizio. Sarà per l’atmosfera silenziosa e d’incanto che le circondava ma ho trovato, nonostante le dimensioni meno imponenti, molto più suggestive la Kevda e la Nagina Masjid per le quali  oltretutto non viene richiesto neanche il biglietto d’accesso.

Essendo l’area di Champaner protetta dall’Unesco, il costo dell’entrata che viene venduto all’ingresso della Jami Masjid ammonta infatti a ben 250 rupie. Il biglietto cumulativo sarebbe teoricamente valido per tutti i monumenti del parco archeologico ma viene controllato solo in questa occasione e presso la Shaher ki Masjid, anch’essa visibilissima dall’esterno. Detto sinceramente, dovessi tornare indietro, mi limiterei a guardare la Jami Masjid da fuori, senza entrare, considerato anche il fatto che, pur trattandosi di monumento archeologico, l’accesso alla sala delle preghiere non è consentito alle donne!

Champaner - Jami Masjid

Champaner - Jami Masjid

Champaner - Jami Masjid

Terminate quindi il percorso esplorando le rovine della cittadella e le stradine del villaggio che si è sviluppato al suo interno, il tutto fino a raggiungere la Shaher ki Masjid, la moschea che venne architettata per l’utilizzo della famiglia reale e dei nobili del Sultanato del Gujarat.

Champaner - Shahar ki Masjid

Per quanto riguarda il tempio sulla collina di Pavagadh, io purtroppo non ho avuto tempo di visitarlo per via di un autobus notturno già prenotato e in partenza il giorno stesso. Dalle rovine di Champaner comunque sono in partenza delle shared jeep  che vi porteranno fino all’accesso dell’ovovia la quale vi permetterà di raggiungere facilmente – evitandovi due ore di cammino – il tempio posto sulla sua sommità e dedicato a Kalikamata, ovvero alla Dea Kali. Risalente al X-XI secolo, trattasi di uno dei più antichi della zona, meta di pellegrinaggio da ancora prima che venisse fondata la città di Champaner. In una giornata limpida la vista dall’alto dev’essere incredibile!

Viaggio in Gujarat: la collina dei mille templi

Viaggio in Gujarat: la collina dei mille templi 1024 682 Sonia Sgarella

Oltre 3000 gradini da risalire sul versante di una ripida collina sacra possono suonare come un’impresa difficile, se non motivati da una forte devozione, ma quando sai che sulla cima di quella collina, la più sacra del Gujarat, ti aspetta uno spettacolo da togliere il fiato, tutte le esitazioni scompaiono e non dubiti un’attimo a metterti in cammino, con l’entusiasmo di chi si accinge, per la prima o per l’ennesima volta, a sfidare i propri limiti.

La collina dei mille templi è uno di quei luoghi che non si possono e non si devono tralasciare durante un viaggio in Gujarat: deve essere scalata, conquistata, assaporata ad ogni gradino e vissuta come un pellegrino, con il cuore disposto a comprendere il perché di tanta fatica, il perché di tanta devozione.

C’è sempre un non so che di mistico che circonda questi luoghi, un’aura di mistero che li ricopre, qualcosa con cui purtroppo noi, menti pragmatiche occidentali, raramente riusciamo ad entrare in contatto. Ma almeno ci proviamo. Abbiamo gli occhi per guardare, la mente e il cuore per riflettere e ci proviamo.

Shatrunjaya

Di questi luoghi, più che costatane lo stato presente che anche in India, purtroppo, tende sempre più verso una malsana mercificazione della fede, mi piace immaginarne il passato, l’origine storica, pensare ai motivi che diedero impulso alla fondazione di santuari del genere, a quante persone prima di me ne hanno calpestato i sentieri perdendosi, ad ogni passo, nell’infinito orizzonte di paesaggi mozzafiato; ma soprattutto mi piace provare a capire come un’antica e pura devozione possa essere riuscita in un’impresa così grandiosa.

Shatrunjaya

La collina di Shatrunjaya è uno dei luoghi di pellegrinaggio più sacri per la fede jainista. Si racconta che, proprio qui, sulla cima di questo monte, Adinath, il fondatore della fede, meditò e recitò il suo primo sermone. Un altopiano dedicato agli dei e ai maestri passati, un’incredibile distesa di templi costruiti nel corso di secoli e che costituiscono oggi meta di pellegrinaggio per migliaia e migliaia di pellegrini.

Shatrunjaya

3300 gradini non sono pochi ma non si tratta neanche della scalata dell’Everest, penserete voi. Per molti devoti tuttavia il percorso comincia molto più lontano: ne ho visti alcuni camminare imperterriti da chilometri e chilometri di distanza, su strade principali, rigorosamente vestiti di bianco come vuole la tradizione e addirittura spingendo le sedie a rotelle dei più anziani…questa si che è devozione! Oppure trattasi di pura follia?

Shatrunjaya

Come era il caso dei pellegrini che incontrai durante un bellissimo viaggio in Sri Lanka risalendo le pendici di Adam’s Peak, auguro a tutte queste persone che i loro sforzi non siano invano e che davvero lassù esista qualcuno pronto a graziarli con ciò di cui vanno in cerca…glielo auguro con tutto il cuore!

Leggi anche: Adam’s Peak: la notte di un pellegrino.

La salita alla collina di Shatrunjaya può essere effettuata in circa un’ora e mezza. Consigliano di cominciare al mattino presto quando l’aria è più fresca…io l’ho fatto alle 2 del pomeriggio e sono ancora viva! Certo tutto dipende dalla stagione ma vedete voi in base ai vostri orari e spostamenti. Comprate l’acqua prima di incominciare il cammino.

Shatrunjaya

I templi sulla cima sono uno spettacolo e se volete regalarvi una vista indimenticabile, non appena il sentiero si biforca, smettete di seguire i pellegrini diretti verso l’ingresso principale e prendete la scalinata di destra: il panorama da qui è davvero sorprendente! Entrate quindi nel sito e perdetevi tra i templi fino a raggiungere il principale, dedicato ad Adinath e situato nel punto più alto della colina. Prendetevi il vostro tempo per assistere ai rituali dei devoti e quindi riscendete.

Shatrunjaya

Shatrunjaya

Shatrunjaya

Lo potete fare di corsa, come fa la maggior parte dei visitatori, oppure con calma: sappiate che nell’una o nell’altra maniera, se non siete abbastanza allenati, vi faranno male i polpacci per una settimana tanto che salire o scendere anche solo due gradini sarà l’impresa più faticosa delle vostre giornate a venire!

Siccome comunque gli indiani sono evidentemente spesso più pigri che rigorosi devoti e certamente poco allenati, durante tutto il percorso vi verrà offerto aiuto a pagamento per la salita, in termini di portantine a due, a quattro uomini, oppure in termini di “support”, ovvero di gentili signore che saranno pronte a spingervi da dietro o a sostenervi di fianco, come foste feriti di guerra. Forse la cosa più divertente sarà per voi ammirare le pantomime degli indiani affaticati, quasi stessero sull’orlo del collasso. La cosa esilarante è che sono sempre i più giovani a recitare questa parte piuttosto che gli anziani, i quali li vedrete sgambettare a destra e a manca senza fare troppe storie. E’ proprio vero che i tempi sono cambiati!

Shatrunjaya Shatrunjaya

Le foto all’interno del sito e agli esterni dei templi sono possibili solo dietro l’acquisto di un permesso dal costo di 50 rupie che viene rilasciato all’ingresso principale ma comunque sono proibite all’interno dell’Adinath Temple. Prendere la scalinata di destra come vi ho consigliato è l’unico modo per scattare delle ottime panoramiche all’intero complesso ed è molto probabile che sarete da soli a contemplare in silenzio quest’ennesima meraviglia dell’India!

Viaggio in Gujarat: lo splendore dell’arte Solanki nei dintorni di Mehsana

Viaggio in Gujarat: lo splendore dell’arte Solanki nei dintorni di Mehsana 1024 682 Sonia Sgarella

Che il Gujarat fosse una terra ricca di tesori da scoprire certo lo immaginavo ma d’altra parte così è tutta l’India; che fosse invece una terra estremamente varia, per topografia e per cultura, davvero non me lo aspettavo e l’ho costatato soltanto ora, strada facendo. Eppure riflettendoci un pochino il fatto dovrebbe essere abbastanza chiaro in partenza, basti guardare alla sua posizione geografica, all’estremità più occidentale del paese, riscaldato a nord dai deserti di Pakistan e Rajasthan e rinfrescato a sud dalle brezze marine del Mare Arabico, rotte da cui sono giunti i popoli che ne hanno, chi prima e chi dopo, influenzato e arricchito la cultura, per ragioni di commercio o con scopi politici.

Forse alcuni di voi avranno sentito parlare del Gujarat come la terra del Mahatma Gandhi – egli nacque infatti a Porbandar e lavorò per molti anni ad Ahmedabad, luogo dove diede vita al movimento di protesta non violenta e da dove partì per intraprendere la celeberrima “marcia del sale” – ma il Gujarat è anche e soprattutto la patria di migliaia di hindu, jainisti, musulmani e cristiani nonché di popolazioni tribali e gruppi nomadi, insomma di un ricchissimo assortimento di culture e di credo religiosi che lo rendono uno degli stati più variegati dell’India, un incredibile mosaico di meraviglie naturali, monumentali e umane.

La storia del Gujarat ebbe inizio non meno di 4000 anni fa quando quel popolo di origine caucasica conosciuto con il nome di Civilità della Valle dell’Indo, si stabilì nell’odierna penisola del Saurashtra. Ad essi, che furono abili commercianti ben conosciuti fino in Occidente ma la cui attività non durò a lungo, si successero le dinastie più potenti della storia dell’India, i Maurya, guidati dal potente imperatore buddhista Ashoka, e i Gupta, nonché dinastie minori, quali i Satavahana e i Chalukya, in un alternarsi di fedi religiose.

Popoli stranieri, provenienti da diverse zone del subcontinente ebbero quindi sempre la meglio sulle famiglie locali imponendo il loro comando. Tutto questo fino a che, attorno al 950 d.c. e per oltre 300 anni, la dinastia Solanki, nativa della zona, riuscì a consolidare il proprio potere facendo di Anhilawada – l’odiern Patan – la capitale del suo regno, rendendola ai tempi una delle città più grandi dell’India, con una popolazione di circa 100.000 abitanti. Fu questo dunque il periodo d’oro del Gujarat che vide la fioritura di importanti città, di magnifici centri del culto e di un’architettura peculiare del territorio, associata alle figure dei più grandi regnanti di questa dinastia.

Oggi Patan risulta tutt’altro che una grande città se comparata con le moderne megalopoli della penisola e poche sono le vestigia che ci ricordano di quel passato glorioso. Tuttavia, è proprio qui che, ai margini del centro abitato, sopravvive ancora un gioiello prezioso della loro arte. Si tratta del Rani Ki Vav, il pozzo a gradini più antico  più bello del Gujarat!

Rani Ki Vava

Rani Ki Vav

Una sorta di solenne tempio capovolto, a sette livelli, sostenuto da colonne scolpite e meravigliosamente decorato con un programma scultoreo ispirato più che altro alla figura di Vishnu e alle sue manifestazioni terrene (avatar). Lo spettacolo che si presenterà davanti ai vostri occhi vi lascerà letteralmente a bocca aperta! Commissionato attorno al 1060 d.c. dalla regina Udayamati, il Rani Ki Vava (letteralmente il “pozzo della regina”) venne probabilmente da lei edificato in memoria del defunto marito Bhimdev I, figlio di Mularaja che fu il patriarca fondatore della dinastia.

Rani ki Vav Rani Ki Vav

Patan è facilmente raggiungibile da Mehsana – dove molto probabilmente starete alloggiando. Recatevi alla stazione degli autobus e salite sul primo pullman in partenza. In circa un’ora e mezza di viaggio ci sarete. Meglio sarebbe calcolare i tempi per riuscire ad entrare nel sito archeologico intorno alle 12 quando il sole più alto illumina perfettamente tutte le pareti del pozzo.

Sempre da Mehsana, dalla fermata dell’autobus che si trova all’inizio di Modhera Road, sarà poi ancora più immediato raggiungere l’altro capolavoro dell’arte Solanki, il meglio conosciuto con il nome di Sun Temple. Progettato in modo che il sole, in corrispondenza degli equinozi, colpisse direttamente con la sua luce l’immagine sacra contenuta all’interno del sancta sanctorum, il Tempio del Sole di Modhera è un esempio emblematico di maestria artistica, ornato da intricate sculture che illustrano episodi dei più grandi poemi epici, nonché immagini di divinità, demoni e manifestazioni del dio Surya mese per mese.

Sun Temple Sun Temple

Davanti al tempio si trova il Surya Kund, uno straordinario pozzo a gradini intervallati da 108 sacelli sacri, alcuni dei quali conservano ancora al loro interno le immagini delle divinità a cui sono dedicati.

Sun Temple Modhera

Il complesso templare, commissionato nel 1026 d.c. dal re Bhimdev I e consacrato al Dio Sole – da cui, secondo il mito, discenderebbe la dinastia Solanki – risulta quindi composto da tre elementi: la vasca sacra (Surya Kund), il Sabha Mandapa e il Guda Mandapa. Mentre il Sabha Mandapa è aperto su tutti i lati e sorretto da 52 colonne come le settimane che compongono l’anno solare, il Guda Mandapa o Sancta Sanctorum, si apre solo ad oriente come è il caso di tutti i templi indiani. La struttura si innalza partendo da una base che ha forma di fiore di loto rovesciato: simbolo solare, il fiore di loto si apre e si chiude infatti seguendo il ritmo del sole e mostrandosi in tutta la sua bellezza e purezza dall’alba al tramonto. 

Vi è poi un’altro luogo poco visitato dai turisti (forse perchè non menzionato nella Lonely Planet) ma che assolutamente vale la pena raggiungere: Taranga Hill, una delle tante colline sacre del Gujarat sulla cui cima svetta il tempio dedicato ad Ajinath, il secondo maestro della fede jainista. Entrambe le sette jainiste, Shvetambara e Digambara, trovano in questo luogo una meta di pellegrinaggio con santuari che fanno riferimento all’una o all’altra corrente di pensiero. Il tempio fu commissionato nel 1121 dal re Solanki Kumarpal il quale divenne devoto della fede jainista dietro gli insegnamenti del saggio Hemachandra considerato tanto un prodigio dai suoi contemporanei da riservagli l’appellativo di “onnisciente del Kali Yuga”.

Taranga Hill

Per raggiungere Taranga Hill da Mehsana dovrete recarvi di nuovo al City Bus Stand e chiedere l’orario di partenza dell’unico autobus diretto. Qualora fosse troppo presto per i vostri gusti o lo aveste perso, potrete comunque raggiungere la località facendo tappa a Vishnagar e, da lì, a Keralu dove troverete tutte le connessioni. Considerate un paio d’ore per raggiungerla. Arrivati ai piedi della collina ci saranno delle jeep addette al trasporto dei pellegrini. Il costo è di 100 rupie che potrete dividere con altri passeggeri o, in mancanza di questi, pagare per intero ed evitare lunghe attese. Per quanto riguarda il ritorno suppongo vi dobbiate di nuovo appostare sulla strada principale e aspettare il passaggio del primo autobus diretto in senso opposto. Non ve lo posso assicurare tuttavia perché io ho ricevuto un passaggio gratuito da un pazzo collezionista di francobolli e dalla moglie dottoressa 🙂

Mehsana (scritto anche Mahesana), situata circa 80 km a nord di Ahmedabad, può essere raggiunta tranquillamente con un autobus governativo al costo di 92 rupie. L’Hotel Janpath è un’ottima soluzione per il pernottamento: non fatevi ingannare dalle apparenze…con un paio di lenzuola fresche di bucato vi troverete benissimo! Al pian terreno, nel ristorante del Sig. Singh (non gliel’ho chiesto ma, essendo un Sikh, suppongo si chiami Singh 🙂 potrete degustare ottimi piatti senza dovere neanche attraversare la strada!

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