India

Dahi handi

Torri umane per il compleanno di Krishna

Torri umane per il compleanno di Krishna 900 522 Sonia Sgarella

Krishna, personaggio composito e dalla molteplice origine che vede tre figure del culto divino – Krishna Vāsudeva, Krishna Gopāla e Krishna Narayana – fondersi l’una nell’altra nel corso dei secoli e dare vita un unico Grande Dio, “Uno e Supremo”, conosciuto anche come l’ottavo avatara (discesa in terra) di Vishnu;

Krishna, gioioso e dispettoso bambino, adolescente ruba cuori, protagonista di amori adulteri ma anche capo del clan degli Yadava, nonché divino grande eroe del Mahabharata, dispensatore di consigli e dottrina;

Krishna, che oggi festeggia oltre 5000 anni!.

Gli studiosi indiani, così come quelli occidentali, sembrano ormai concordare sulle date in cui, secondo la tradizione, Krishna avrebbe vissuto sulla terra, in un periodo compreso tra il 3200 e il 3100 a.c., anni in cui, in coincidenza con la sua morte, viene fatta iniziare l’era cosmica della corruzione, il cosiddetto Kali Yuga. Trattasi di un’era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale e che, purtroppo per noi, durerà ancora per parecchi secoli.

Krishna nacque, secondo il mito, alla mezzanotte dell’ottavo giorno (Ashtami) di luna calante (Krishnapaksha) del mese di Shravan (agosto/settembre). Questo giorno di particolare auspicio prende il nome di Janmasthani o Krishnasthami.

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Racconta la leggenda che Krishna nacque da Devaki e Vasudeva, membri della famiglia reale di Mathura, nell’odierno stato dell’Uttar Pradesh. Kamsa, il sovrano in carica al tempo, udita la profezia che avrebbe ricevuto la morte per mano di uno dei figli della cugina Devaki, li fece uccidere tutti, uno ad uno, man mano che nascevano. Krishna tuttavia venne scambiato, appena in tempo, con un altro neonato e affidato di nascosto al pastore Nanda e alla moglie Yashoda, perchè lo crescessero.

Un bambino dispettoso, ghiotto di burro e cagliata e quindi avvezzo a rubarlo in continuazione dalla cucina materna; spese la sua infanzia nella campagna di Vrindavana, tra quelle mandriane che negli anni si innamoreranno follemente della sua bellezza, attirate dalla musica ammaliante del suo flauto.

Durante il giorno del suo compleanno l’India intera e in particolare gli abitanti della regione di Mathura e dello stato del Maharashtra, si riuniscono per celebrarne la nascita, organizzando danze (rasa lila) che ne rievochino la frivola adolescenza, e poi ancora giochi che ricordino invece il lato gioioso della sua infanzia.

Il Dahi Handi, oggi diventato una sorta di sport nazionale, è il gioco più popolare. Chiamato anche Govinda Sport da uno degli appellativi di Lord Krishna – Govinda (“il protettore delle mucche”) – il gioco consiste nel formare una piramide umana che permetta al più giovane della squadra di raggiungere un contenitore di terracotta, contenente burro o cagliata, sospeso per aria ad una altezza prestabilita. Il giovane atleta  incaricato di raggiungere la cima della piramide, dovrà rompere il coccio con l’aiuto di un bastone o di qualsiasi oggetto contundente e fare in modo che il liquido si rovesci sull’intera squadra al fine di consacrarne l’unione nell’impresa.

Dahi Handi

Dahi Handi

Dahi Handi

Grandi e bambini, uomini e donne possibilmente a digiuno dal mattino, rimarranno svegli oltre la mezzanotte, ora in cui si riuniranno per recitare canti devozionali rivolti al supremo e divino Signore. La prossima volta sarà il 15 agosto 2017. E allora che dire? Om nama Bhagavate Vasudevaya!

I templi dei Chola, un grandioso Patrimonio Mondiale

I templi dei Chola, un grandioso Patrimonio Mondiale 1024 675 Sonia Sgarella

Cholamandalam, letteralmente il “cerchio dei Chola”, così venne chiamata per lunghi secoli quel tratto di costa orientale dell’India del Sud – compresa tra il delta dei fiumi Krishna e Kaveri e che vide l’arrivo, a partire dal XVI secolo, dei grandi colonizzatori europei, primi tra tutti i Portoghesi, seguiti da Inglesi, Olandesi, Francesi e Danesi, attratti dal commercio delle spezie e in cerca di esotiche ricchezze.

Protetta parzialmente – grazie alla presenza dei monti Ghat Occidentali – da quelle piogge continue che tra i mesi di giugno e settembre si riversano invece in abbondanza sull’opposta Costa del Malabar (negli attuali stati del Kerala e di Goa), quella che è oggi conosciuta con il nome di Costa del Coromandel, costituisce una meta perfetta – seppur un po’ calda – per tutti quegli italiani costretti ad andare in vacanza nel mese di agosto ma i quali non vogliono rinunciare a conoscere l’India, quella più autentica, per nulla influenzata dalla cultura islamica, fortemente presente invece nelle regioni del Nord.

Ma chi furono i Chola – che i conquistatori occidentali non fecero in tempo ad incontrare – e perché questo tratto di costa prese nome proprio da loro? E’ il caso di dirlo che quella dei Chola fu una fra le più potenti dinastie mai sorte sul suolo indiano; una tra le più longeve e sicuramente quella sotto la quale l’arte dell’India meridionale visse un periodo di massimo fulgore, che segnò una svolta decisiva nello sviluppo dell’architettura templare dravida (“del Sud”).

Templi di proporzioni mai viste, di massima dedicati al culto di Shiva, raffinate statue di bronzo, eloquenti iscrizioni, preziosi dipinti murali e icone divine che faranno scuola nei secoli successivi, sono quanto di più squisito ci è stato lasciato da quei sovrani della dinastia che vollero esprimere con l’arte e con l’architettura il loro potere, il quale si espanse nei secoli ben oltre i confini dell’India.

Nonostante le origini dei Chola vengano presentate dalle fonti come assai remote (III secolo a.C.), è solo a partire dal IX secolo d.C. che si può cominciare a parlare di dinastia imperiale, quando il sovrano Vijayalaya (850-871 d.c.) – forse un feudatario dei Pallava – fondò un piccolo regno nella zona di Thanjavur, destinata a diventare, sotto i suoi successori, la capitale di un fiorente impero.

Ma dovette passare oltre un secolo perché questo accadesse, ovvero sotto il regno di Rajaraja Chola (“Re dei Re”), il quale, sconfitti i vicini Chera e Pandya, estese poderosamente il domino della dinastia verso nord, invase lo Sri Lanka e le Isole Maldive e come coronamento delle sue imprese, fece innalzare proprio nel centro di Thanjavur, il tempio più maestoso che l’India avesse conosciuto fino ad allora, oggi inserito nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco.

Correva l’anno 1010 quando in tutta l’India del Sud, riecheggiavano le voci che la costruzione di un imponente tempio di granito fosse appena stata portata a termine, grande cinque volte i templi costruiti dai suoi predecessori, circondato da alte mura di protezione e con uno shikara (“elevazione della cella”) alto 66 metri, coronato da un elemento a calotta (stupi) del peso di ottanta tonnellate che secondo la tradizione fu collocato in posizione facendolo scorrere sopra una rampa lunga sei kilometri. Si trattava del tempio di Brihadeshvara, del “Grande Signore Shiva”, comunemente noto come il tempio di Rajarajeshvara, del “Signore di Rajaraja”.

Uno shivalingam (icona fallica) alto tre metri e mezzo, vuole essere il simbolo della presenza del Dio che, ancora oggi, a distanza di un millennio, viene venerato durante tutto il giorno da folle di fedeli, le quali si recano il più vicino possibile al sancta sanctorum, per assistere alle celebrazioni della puja quotidiana che vede i sacerdoti (brahmini) del tempio cospargerlo da cima a fondo di burro e latte. Uno spettacolo da non perdere!

Ed è sempre Shiva, nei vari momenti del suo mito, il protagonista del programma scultoreo ospitato nelle nicchie che si estendono lungo tutte le facciate del tempio: Shiva Nataraja, il “Re della Danza”; Shiva Bhikshatana, ovvero nella forma di un mendicante nudo, la cui bellezza e il cui fascino vinsero i cuori di tutte le donne che gli si avvicinavano; Shiva Ardhanari, metà uomo e metà donna; Shiva Tripurantaka, vittorioso dopo la sconfitta di tre demoni con una sola freccia e Shiva Lingodbhava, ovvero Shiva che emerge dal lingam di fuoco proclamando implicitamente la sua superiorità  rispetto a Brahma e Vishnu.

Il recinto, che misura 241 metri per 121, può essere diviso in due quadrati, al centro dei quali si trovano rispettivamente il sancta sanctorum e il toro Nandin, cavalcatura di Shiva. Quest’ultimo, che si trova in un padiglione di epoca successiva meravigliosamente dipinto, come  da tradizione, guarda nella direzione dello shivalingam come a volerlo proteggere.

Ma il tempio, raccontano le iscrizioni poste lungo tutta la sua base, non si limitava a svolgere una funzione meramente religiosa, bensì serviva da sede amministrativa e finanziaria, commerciale e culturale: 850 addetti tra cui 67 musicisti, 400 danzatrici, 174 sacerdoti, 143 guardiani e ancora tesorieri, contabili, astrologi, artigiani, gioiellieri. Il tempio venne anche utilizzato infatti come forziere per custodire donazioni preziose e bottini di guerra.

E ancora le iscrizioni raccontano che il tempio possedeva 66 immagini di bronzo, tutte create con il metodo della cera persa che ancora oggi viene utilizzato dagli artigiani per riprodurre l’infinita serie di icone divine che viene venduta in tutti i negozi e mercati dell’India. Le immagini, debitamente vestite e ingioiellate, venivano portate in processione in occasione di festival religiosi.

Due anni dopo aver completato la costruzione del tempio, Rajaraja I decise di incoronare imperatore il figlio Rajendra I, durante il cui regno il dominio dei Chola giunse alla massima espansione: marciò a nord fino alle rive del Gange, dalle quali tornò con anfore piene di acqua; ordinò spedizioni navali che giunsero fino alla penisola Malese, a Giava e a Sumatra; occupò le isole Andamane e Nicobare e intrattenne rapporti diplomatici con la Birmania e con la Cina.

Fu così che, nel tentativo di eguagliare la grandiosità del tempio paterno, Rajendra fece edificare l’altro tempio di Brihadeshvara, ma questa volta a Gangaikondacholapuram (“Città del Chola che ha conquistato il Gange”), 65 kilometri a nord di Thanjavur. Qui, le figure nelle nicchie sono spesso scolpite a tre-quarti, quasi  come se emergessero di lato, a differenza del tempio di Thanjavur dove sono scolpite frontalmente. Di grande pregio è quella che raffigura Shiva e Parvati nell’atto di benedire Chandesa, uno dei 63 Nayanar, santi-poeti devoti di Shiva.

Ma la lista dei templi Chola inseriti nella lista dell’Unesco non si esaurisce qui: ve ne è ancora uno che potrete visitare lungo la strada che collega Gangaikondacholapuram a Thanjavur ed è quello di Darasuram, dedicato a Shiva Airavateshvara. Ancor più rifinito dei due precedenti, abbellito da raffinati motivi floreali , figure divine, animali mitologici e da padiglioni accessori concepiti nella forma di carri celesti trainati da cavalli galoppanti – elemento che verrà riproposto nei secoli successivi anche a distanza di centinaia di kilometri, nell’odierno stato dell’Orissa – il tempio di Airavateshvara, il “Signore di Airavata”, fu il luogo dove, secondo la tradizione, Airavata, l’elefante bianco di Indra, si recava per venerare Shiva. Vuole la leggenda che, a causa di una maledizione lanciatagli dal saggio Durvasa, la pelle di Airavata cambiò colore fino a che, immergendosi nelle acque divine che circondavano allora il tempio, l’elefante del grande dio vedico riacquisì le sue sembianze originali.

Una profusione di scene relative alla danza e alla musica, arti di cui i re Chola furono grandi patroni, nonché notevoli statue scolpite nel basalto nero e inserite nelle nicchie presenti lungo tutte le facciate, rendono il tempio di Darasuram un esempio artistico di grande valore, sicuramente degno di una visita durante il vostro viaggio in Tamil Nadu.

Ecco dunque presentati i tre complessi templari che l’Unesco ha voluto insignire del titolo di Patrimonio Mondiale ma certo non si tratta degli unici commissionati da questi grandi regnanti dell’India del sud. All’incirca cento templi, per lo più dedicati a Shiva, sono infatti ascritti a quest’epoca, tra i quali il meraviglioso complesso di Chidambaram!

Leggi anche Il meraviglioso tempio di Chidambaram

 

 

Ingresso del Tempio di Durga a Aihole

Badami, Aihole e Pattadakal: le meraviglie dei Chalukya

Badami, Aihole e Pattadakal: le meraviglie dei Chalukya 2560 1920 Sonia Sgarella

Grossomodo nello stesso periodo che vide fiorire il regno dei Pallava in Tamil Nadu, dall’attuale stato del Karnataka si espanse il dominio della dinastia dei Chalukya. I Chalukya di Badami o Primi Chalukya Occidentali – per distinguerli da altre branche che si successero nel tempo – stabilirono la propria capitale nell’antica Vatapi (Badami) e da lì arrivarono a dominare un impero che si estendeva dalle rive del fiume Kaveri, a sud, alle sponde del fiume Narmada, a nord, ai margini settentrionali dell’Altopiano del Deccan.

Grandi nemici dei Pallava di Kanchipuram, con cui ingaggiarono guerre dalla alterne vicende, i Chalukya di Badami segnarono il passaggio dall’epoca dei piccoli regni del sud a quella dei grandi imperi meridionali, sotto la guida di valorosi sovrani che combatterono mille battaglie, nelle quali alcuni di loro persero la vita.

Pulakeshin I (540-566 d.c. circa), il fondatore della dinastia; Pulakeshin II (610-642 d.c. circa), forse il meglio conosciuto e uno tra i più rimarchevoli sovrani nella storia dell’India, colui che arrestò l’avanzata verso sud del potente Harsha di Kanauj e che da grande eroe morì combattendo contro i Pallava; Vikramaditya I (655-680 d.c. circa), che ristabilì l’ordine nel regno dopo la morte del padre e scacciò i Pallava dalla capitale Badami; Vikramaditya II (733-744 d.c. circa), riconosciuto in tutto l’impero per la sua benevolenza e che risollevò le sorti della dinastia espandendo il suo dominio in gran parte del Tamil Nadu; Kirtivarman II, l’ultimo regnante della dinastia che venne sconfitto dai Rashtrakuta, feudatari dei Chalukya, i quali regnarono fino al 973 d.c., quando il potere tornò nelle mani dei Chalukya di Kalyani (o Chalukya Occidentali).

Sono questi i nomi di coloro che, non solo rivoluzionarono la storia dell’India meridionale, ma diedero inizio ad un capitolo cruciale nell’architettura religiosa indiana. Instancabili costruttori di edifici sacri, i Chalukya di Badami diedero vita al cosiddetto stile vesara (ibrido), punto di convergenza tra le tradizioni artistiche del Nord e del Sud. I Chalukya non adottano infatti con decisione né lo stile templare nagara (del Nord), né quello dravida (del Sud): al contrario, edificarono uno accanto all’altro, santuari costruiti nei due stili, nonché forme peculiari che tuttavia non verranno sviluppate o riproposte in futuro.

Il repertorio dell’edilizia religiosa Chalukya conta tra i suoi esemplari templi rupestri, di cui si hanno testimonianze notevoli ad Aihole (pronunciato Aivolli) e a Badami, e templi costruiti, di cui gli esempi più rappresentativi si conservano ad Aihole e Pattadakal, sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

I segni distintivi della scuola architettonica Chalukya di Badami sono di facile identificazione: assemblaggio a secco dei blocchi di arenaria, tetti per lo più piatti, soffitti finemente decorati e immagini divine ben isolate le une dalle altre, il tutto inserito in uno spirito estetico canonico definibile “classico”.

Situata sulle rive del fiume Malaprabha, Aihole, che fu la capitale del regno Chalukya prima di Badami, venne definita dallo studioso britannico Percy Brown “una delle culle dell’architettura templare indiana”. Oltre 125 templi, commissionati tra il VI e l’XI secolo dai Chalukya di Badami, dai Rashtrakuta e dai Chalukya di Kalyani, si trovano infatti concentrati in uno dei siti archeologici più ricchi di monumenti di tutta la regione, divisi oggi in 22 gruppi.

Raro nel suo genere per la planimetria a forma absidale che lo caratterizza è il cosiddetto tempio di Durga, il cui nome sembrerebbe trarre origine da una fortezza (“durga”) che si trovava nei pressi del tempio e di cui effettivamente se ne conservano ancora oggi i resti. Il tempio, costituito di una veranda con due scalinate, di un padiglione colonnato (mandapa) e della cella sacra, è circondato da un ambulacro, ovvero da un portico perimetrale che regala al devoto un’ulteriore opportunità di circumambulazione, atto di culto che si compie porgendo la destra al sacrario. Le pareti interne dell’ambulacro sono decorate con splendide sculture ad alto rilievo tra le quali spicca l’immagine della dea Durga nell’atto di sconfiggere il demone Bufalo, una tra le più notevoli in assoluto. Edificato alla fine del VII secolo, il tempio ricorda molto, per forma, le sale di culto (Chaityagriha) che erano tipiche dei templi in grotta di stampo buddhista, tradizione religiosa che per lunghi secoli aveva fortemente influenzato la produzione artistica della regione.

Altrettanto interessante dal punto di vista architettonico, per la funzione di “modello embrionale” che svolge nella storia dello sviluppo dello stile Chalukya,  è il cosiddetto Lad Khan Mandir che prende il nome da colui che lo occupò per qualche tempo, probabilmente un pastore o un santo musulmano. A pianta quadrata, il tempio venne edificato alla fine del VII secolo e manca totalmente di quelle forme slanciate che caratterizzeranno in maniera distinta sia i templi del Nord che quelli del Sud. Il tetto risulta infatti piatto, composto da massicci lastroni di pietra che culminano con una piccola cappella dove sono ospitate alcune immagini sacre.

Leggermente spostata rispetto a questi due, situata sul fianco della collina che circonda il sito sacro, si trova la Ravanaphadi Cave, forse il più antico tempio in grotta dei Chalukya. Scavata intorno al 550, la grotta consiste di un portico a due colonne che vede una splendida rappresentazione di Shiva Nataraja ( “il re della danza”) accompagnato dalle Sette Madri (saptamatrika) raffigurate a grandezza naturale.

Ancora più in alto sulla collinetta che sovrasta l’intero sito archeologico di Aihole, vi è poi il Meguti Jain Temple, il più antico tempio strutturale della zona consacrato alla fede jainista. Datato 634 d.c., venne commissionato sotto il regno di Pulakeshin II ma rimase molto probabilmente incompiuto. Raggiungendo la cella posta sul tetto, potrete godere di meravigliose viste panoramiche.

Retro del Tempio di Durga a Aihole

Tempio di Durga a Aihole

Ingresso al Lad Khan Mandir di Aihole

Lad Khan Mandir a Aihole

Ravanaphadi Cave a Aihole

Ravanaphadi Cave a Aihole

Situato anch’esso sulle rive del fiume Malaprabha a pochi chilometri da Aihole, sorge il parco archeologico di Pattadakal, oggi sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco e che servì, nei secoli VII e VIII, come luogo di  incoronazione dei re Chalukya. Qui, quattro templi nagara e sei dravida, assegnabili alla fase più matura dell’arte Chalukya, sono custoditi all’interno di un ordinato giardino, la cui quiete potrebbe essere facilmente interrotta dagli schiamazzi delle scolaresche in visita didattica.

Meravigliosi esemplari nei due stili architettonici si trovano costruiti l’uno accanto all’altro, ora ricordandoci la struttura dei templi Pallava di Kanchipuram – da cui molto probabilmente presero ispirazione – ora le slanciate forme del Nord, con alti shikhara (pinnacoli) che sovrastano le celle sacre. E’ il caso rispettivamente del Tempio di Virupaksha e del cosiddetto Galaganatha, entrambi capolavori di grande pregio.

Tempio di Virupaksha a Pattadakal

Tempio di Virupaksha a Pattadakal

Sito archeologico di Pattadakal

Sito archeologico di Pattadakal

Tempio di Galaganatha a Pattadakal

Tempio di Galaganatha a Pattadakal

Giunti quindi finalmente a Badami, antica capitale del regno e oggi cittadina incastonata in un suggestivo paesaggio, tra colline di pietra rossa affacciate sul lago Agastya, ecco apparire di fronte ai nostri occhi alcuni tra i templi rupestri più affascinanti di tutta l’India. Scavate nel fianco della collina chiamata South Fort, le quattro grotte di patrocinio reale, si trovano collocate a diversi livelli, la prima dedicata a Shiva, la seconda e la terza a Vishnu mentre la quarta al culto jainista. Sulle pareti, grandi pannelli a rilievo, riproducono varie forme delle divinità, tutte finemente scolpite ed estremamente elaborate.

Lungo le sponde del lago e sulla collina chiamata North Fort, si trovano altri esempi di templi costruiti in stile dravida, alcuni dei quali colpiscono per le forme particolari, rare nel loro genere. Tra questi il tempio di Mallikarjuna e il Melagitti Shivalaya Mandir, entrambi dedicati a Shiva.

Badami, che si apprezza meglio se vista al tramonto quando la luce del sole accende di rosso le pareti rocciose che la circondano, è uno dei quei tanti luoghi dell’India capace di trasmettere grande spiritualità e immenso fascino, un luogo che trasuda storia di altre epoche. Occhio alle scimmie!

Vista della collina North Fort a Badami

North Fort a Badami

Guardiano della porta a Badami

Guardiano della porta a Badami

Interno della grotta n. 2 a Badami

Vishnu Narasimha

Pannello della grotta n. 2 a Badami

Vishnu nella forma di Vamana

Interno della grotta n.3 a Badami

Vishnu sul serpente Shesa

Interno grotta jaina a Badami

Interno grotta jaina a Badami

Tutti questi luoghi possono essere facilmente raggiunti con i mezzi pubblici tenendo come base Badami oppure, se state pernottando ad Hampi, non sarà difficile organizzare un’escursione in giornata prenotando un taxi in qualsiasi agenzia di viaggi. Un’ottimo ristorante che serve solo piatti tipici dell’India del Sud è il “Geeta Darshini”,  vicino alla stazione dei bus di Badami.

Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto

Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto 1024 640 Sonia Sgarella

Lo chiamavano il “grande eroe”, maha malla, ed era tra i più eminenti sovrani della dinastia Pallava. Narasimhavarman I, che regnò all’incirca tra il 630 e il 668 d.c., dotato di vitalità creativa raramente eguagliata, diede vita ad una tra le più celebri e preziose arti dell’India di ogni epoca e ad un linguaggio espressivo che diventerà caratteristico dell’India meridionale, cosiddetta dravidica.

In un tentativo di esaltazione della sua figura, volto ad identificarlo almeno parzialmente con la divinità, Narasimha fece di un piccolo porto sulla costa del Coromandel, già da tempo immemore conosciuto come Mallai, un importantissimo scalo commerciale sulle rotte per l’oriente, nonché un’autentica galleria d’arte a cielo aperto.

Mamallapuram - spiaggia

Venne così rinominata Mamallapuram, “la città del grande eroe” quella che è ancora oggi una rilassante cittadina di pescatori affacciata sul Golfo del Bengala. Punteggiata di palme e incorniciata a levante da una lunga spiaggia di sabbia dorata, Mamallapuram, anche conosciuta come Mahabalipuram, conserva intatto un esuberante repertorio di opere d’arte, espressione del lavoro di decine, centinaia o forse migliaia di scultori, tutt’oggi sconosciuti, che fecero di questa località uno dei più importanti laboratori d’arte del subcontinente.

Santuari in grotta, templi monolitici o costruiti, bassorilievi, altorilievi e sculture a tutto tondo sono nell’insieme volti ad onorare gli dei e costituiscono oggi un patrimonio mondiale dell’umanità, scolpito nelle levigate collinette di granito che spuntano lungo questo tratto di costa indiana. Non sempre portate a termine, le opere risultano a volte di dubbia interpretazione ma forse, ancora una volta, tutto è riconducibile al fatto che Mamallapuram fosse la sede di una grande scuola d’arte  dove le leggi scultoree venivano sperimentate, testate e, una volta esaurito l’interesse del patrocinante, abbandonate.

Risalendo dalla spiaggia, dove vi sarete già immersi nella storia raccontata dalle pietre scolpite dello Shore Temple (Tempio della Spiaggia) – esemplare più antico di “tempio strutturale”, costruito nell’India del Sud ad opera del successore Pallava Narasimhavarman II (700-728 d.c.), detto anche Rajasimha – camminando verso il centro dell’abitato lungo la Shore Temple Road, improvvisamente vi apparirà di fronte agli occhi quella che è sicuramente l’opera più straordinaria commissionata da Narasimhavarman I: un rilievo di proporzioni grandiose (all’incirca 30 metri per 15) che occupa l’intera facciata di una bassa collina rocciosa.

Mamallapuram - Arjuna's Penance

Voleva forse essere il biglietto da visita del grande sovrano rivolto ai mercanti e ai viaggiatori che giungevano dal porto – tra i primi, si racconta, Marco Polo –  e nelle giornate di festa doveva mostrarsi in tutta la sua bellezza, con una cascata d’acqua che dalla sommità discendeva nel solco centrale del monolite, a riempire la vasca d’acqua che si trova ancora oggi ai suoi piedi. L’acqua, fonte di vita e purificatrice, abitata da creature serpentine, i cosiddetti naga, voleva essere la probabile illustrazione della discesa del Gange sulla terra. Il sacro fiume scorreva infatti in cielo, finché il re Bhagiratha, con la sua penitenza e la sua fede, ottenne da Shiva che si riversasse in terra a purificare i resti dei suoi antenati.

Un’altra interpretazione, che va per la maggiore, vuole però che il grande rilievo, conosciuto localmente come Arjuna’s Penance (Penitenza di Arjuna), sia la rappresentazione di un episodio famoso del Mahabharata, il più grande poema sacro dell’India. Arjuna, costretto insieme ai fratelli Pandava ad un esilio di 12 anni nella foresta, si ritira in ascesi al fine di recuperare le armi divine indispensabili per vincere la guerra contro i cugini Kaurava. Rifugiatosi sull’Himalaya in cerca di Shiva, dedicatosi a mortificanti pratiche ascetiche, riceve dal grande dio la grazia di poter disporre di pashupata, tremenda arma divina.

L’episodio viene raffigurato a sinistra della fenditura centrale, che vede un asceta ritto su una gamba sola, a braccia alzate di fronte alla figura maestosa del grande dio. Tutto attorno, una profusione di figure celestiali, divine (vedi l’immagine di Vishnu posta all’interno di un tempietto), umane e animali , donano al rilievo una sorprendente vitalità. La ricchezza e l’eleganza della scultura Pallava sono qui espresse magnificamente e vi lasceranno a dir poco stupiti. Ma aspettate un attimo…che cosa ci fa un gatto in posizione ascetica di fronte a un gruppo di topi devoti? L’umorismo della scultura Pallava, oltre all’eleganza e alla ricchezza, vi lascerà estremamente stupiti!

Mamallapuram - Arjuna's Penance

A destra, a sinistra e alle spalle dell’ “Arjuna’s Penance”, una concentrazione di monumenti e formazioni rocciose dedicati alle maggiori divinità dell’induismo, vi terranno occupati una mezza giornata: il padiglione di Krishna (Krishna Mandapa), ornato con magnifiche sculture che raccontano le gesta del dio adolescente, la “palla di burro” (Krishna’s butter ball), roccia in precario equilibrio da millenni, la grotta di Durga che uccide il demone bufalo, con un magnifico rilievo che raffigura la mitica impresa, e ancora il tempio della Trimurti, con le immagini dei tre principali dèi dell’induismo e la grotta del Varaha, dal nome della discesca (avatara) in terra di Vishnu sotto forma di cinghiale.

Prendetevi il vostro tempo in questa zona prima di dirigervi a sud dell’abitato, alla ricerca dell’altro grande capolavoro di Mamallapuram: conosciuto col nome di “Five Ratha” (cinque carri), si tratta di un gruppo di cinque templi dedicati anch’essi ai cinque fratelli Pandava e alla moglie Draupadi (ebbene sì, in India succede anche che una sola donna possa essere la moglie di cinque fratelli!). Ognuno di questi prende il nome di uno (o due nel caso dei gemelli) dei sei personaggi leggendari. Ricavati, come l’“Arjuna’s Penance”, da colline granitiche – quattro dei quali da un unico masso e quindi disposti sullo stesso asse – si tratta per la verità di cosiddetti vimana, termine usato nell’India del sud per designare la cella del tempio contenente l’immagine sacra (murti), con la sua elevazione. Non vi è però nessun riferimento storico riguardo al rapporto di questi con i cinque fratelli Pandava. Si tratta invece di templi dedicati al culto delle divinità principali dell’induismo i quali, tuttavia, non vennero mai consacrati bensì, come accadde spesso a Mamallapuram, lasciati incompiuti.

Mamallapuram - Five Ratha Mamallapuram - Five Ratha Mamallapuram - Five Ratha

Ritornate quindi verso la spiaggia, dove potrete finalmente godervi le luci del tramonto affacciati sul Golfo del Bengala. Immaginate: qui il 26 dicembre del 2004, quando l’acqua dell’Oceano si ritrasse di circa 500 metri per abbattersi poco dopo sulla costa sotto forma di un devastante tzunami, turisti e residenti videro emergere dall’acqua quelli che gli studiosi hanno successivamente constatato essere i resti di alcuni templi sommersi. Ciò non conferma ma sicuramente fortifica la tesi secondo cui a Mamallapuram sorgevano un tempo sette pagode.

Un mito o forse storia, questo non è dato sapersi: quel che è certo è che un tempo la zona sacra della città era molto più estesa di quello che è oggi e chissà che forse, un giorno, nuove e significative testimonianze dell’arte Pallava non verranno rubate alle onde del mare per fare finalmente luce sui misteri di una delle dinastie più curiose dell’India del Sud.

Altri siti interessanti

A circa quattro kilometri a nord del sito principale, rimanendo lungo la costa, si trova la cosiddetta Grotta degli Yali (o della tigre), creature mitologiche le cui teste mostruose circondano la facciata arrotondata di un masso scolpito.

Accanto a questa, a distanza di poche decine di metri, un altro padiglione dedicato al dio Shiva contenente un moderno lingam (icona fallica simbolo del dio) di granito e recante eloquenti iscrizioni (per chi le capisce ovviamente!). Quale fosse la loro funzione? Neanche in questo caso è dato saperlo. Alcune ipotesi sostengono che potesse trattarsi di un sito secondario dove venivano trasportate in processione le immagini sacre durante periodi di festa per poi fare ritorno in città.

Grotta degli Yali: entrata

Dei 108 templi sacri a Vishnu (Divya Desam) elencati nei testi dei 12 Santi poeti Tamil (Alvar), uno si trova proprio qui a Mahabalipuram. Situato nel cuore del villaggio, accanto alla fermata principale degli Autobus, si tratta del  tempio di Sthala Sayana Perumal, risalente all’epoca Pallava ma ampliato e rimodernato nel corso dei secoli. Essendo l’unico tempio attivo della città, è qui che potrete assistere alle cerimonie di omaggio alla divinità (puja). Il tempio è aperto dalle 6.30 alle 12 e dalle 15 alle 20.30.

Questo articolo è stato pubblicato sul sito IndiaInOut.com in data 01/08/2014

 

 

Scimmia al Galwar Bagh di Jaipur

Viaggio tra i templi degli animali

Viaggio tra i templi degli animali 904 500 Sonia Sgarella

Articolo in 2 minuti – E se Dio fosse un animale, quale sarebbe? Una scimmia, un serpente ma anche un topo: così potrebbe rispondervi qualunque indiano, aggiungendo tanto di spiegazione mitologica alla propria affermazione. Non importa quale sia l’orientamento religioso, se la divinità prediletta sia Vishnu, Shiva o la Dea: modificando il soggetto il risultato non cambia.

La zoolatria, ovvero il culto religioso che considera gli animali come una manifestazione della divinità, ha fatto si che in tutta l’India, creature di ogni sorta venissero (e vengano ancora) elevate allo status di entità divine per essere oggetto di culto da parte della stragrande maggioranza della popolazione hindu. 

Migliaia sono infatti i devoti pellegrini che ogni giorno, spinti da sentimenti di devozione ma anche di profana curiosità, si recano nei templi degli animali per render loro omaggio.

Dalla collina delle aquile in Tamil Nadu al tempio dei topi del Rajasthan, passando per quello dei cani in Karnataka, andiamo alla scoperta dei più importanti templi dedicati agli animali, in un viaggio che ci porterà in alcuni dei meno noti angoli del paese.


Per approfondire

Tempio delle aquile

A soli 15 kilometri da Mamallapuram, sulla strada che porta a Kanchipuram, si trova l’allegro villaggio di Thirukazhukundram. Sulla sommità di una collina presso questa città sorge il tempio di Vedagirishvara, dedicato a Shiva.

Il nome del paese appena menzionato, di difficile pronuncia, ci racconta la storia leggendaria del luogo: Thiru-Kazhugu-Kundram, che in lingua tamil significa “la rispettabile montagna delle aquile”, ci parla di quei due volatili che intorno a mezzogiorno, dovrebbero sorvolare le fertili pianure del Tamil Nadu per giungere a posarsi in cima al promontorio roccioso, in cerca di cibo.

La tradizione vuole che le cosiddette aquile (trattasi invece di due avvoltoi egiziani), probabile incarnazione di due veggenti divini (rishi), siano originarie di Varanasi e che, qualora dovessero mancare all’appuntamento, la colpa sarebbe da imputare alla presenza di peccatori tra i visitatori.

Sarà dunque per il dilagare della corruzione nel mondo che di questi volatili pare non essersi più vista neanche l’ombra dal lontano 1998? Un piccolo dettaglio che tuttavia non trattiene i fedeli dal raggiungere la cima del monte.

Una scalinata di 550 gradini, da percorrere a piedi scalzi, è ciò che separa il santuario dal fondo valle, da dove centinaia di pellegrini giungono infatti ogni giorno per rendere omaggio allo Shiva lingam (icona fallica) custodito nella cella del tempio. Colori da tutta l’India e sorrisi di complicità per lo sforzo sostenuto vi accompagneranno lungo la ripida salita da cui si godono vedute spettacolari dell’altro tempio della città, il Tripurasundari Amman Temple, dedicato invece a Parvati, “la bella dei tre mondi” consorte del grande dio.

Tempio delle lucertole

Ancora in Tamil Nadu, a Chinna Kanchipuram, a pochi kilometri da Kanchipuram stessa, sorge uno dei Divya Desams, i 108 templi consacrati a Vishnu descritti nei testi dei santi poeti Tamil (Alvar) che costituiscono meta di pellegrinaggio per tutti i devoti di fede vaishnava. Il Varadaraja Perumal Temple, oltre all’importanza che ricopre dal punto di vista storico-artistico, è l’unico che vanta la presenza di due lucertole tra le sue icone sacre.

Una d’oro e l’altra d’argento, si trovano custodite all’interno di una delle tante celle del tempio. La tradizione vuole che chiunque le tocchi venga liberato da ogni sorta di problema o malattia risultante dall’accumulo di karma negativo, sia esso consapevole o inconsapevole. Le lucertole sono infatti considerate delle creature divine capaci di trasmettere buona o cattiva sorte.

Si dice, per esempio, che se una lucertola dovesse cadervi in testa, potrebbe accadervi una terribile disgrazia; se invece dovesse cadervi sui piedi, preparate le valigie perché si parla di viaggi in vista!

Tempio dei serpenti

In Kerala, di tutti i templi consacrati al dio serpente, quello di Mannarasala – dedicato al re di questi (Nagaraja) – è sicuramente il più importante. Situato a pochi kilometri da Haripad, nel distretto di Alappuzha, e nascosto tra la fitta vegetazione tipica di questa regione, trattasi di un luogo in cui storia e leggenda si intrecciano l’una nell’altra fino a confondersi.

Fondato secondo il mito dalla sesta discesa in terra (avatara) di Vishnu, ovvero da Parasurama in persona, il tempio custodisce svariate migliaia di icone serpentine, simboli consolidati di fertilità e abbondanza.

Novelli sposi e devoti pellegrini da tutto il paese giungono fin qua recando le loro offerte, ognuna delle quali servirà da pegno per la realizzazione di specifiche richieste: tra le varie burro chiarificato (ghee) per una lunga vita, un caratteristico recipiente di bronzo (uruli) per le coppie in cerca di un figlio e curcuma per proteggersi dal veleno.

Tempio dei topi

Benvenuti a Karni Mata, il tempio di Deshnok, in Rajasthan, l’unico al mondo dove ad essere venerati sono migliaia di topi!

Avete capito bene, autentici ratti!

Ma questa è l’India, perché vi stupite? Il luogo dove tutto è possibile, il paese delle stranezze e delle contraddizioni, dove per ogni cosa è prevista una spiegazione e se non c’è, la si inventa!

Karni Mata, venerata localmente come incarnazione della grande dea Durga, fu una donna-asceta che visse a cavallo tra il XIV e il XV secolo.

Nata nella casta dei Charan, i cui membri sono riveriti per essere grandi poeti e ancor migliori soldati, assunse presto il titolo di divinità madre occupando un ruolo importante nelle vite di grandi sovrani dell’epoca tra i quali Rao Jodha, fondatore di Jodhpur.

Racconta il mito che un giorno la donna chiese a Yama, il Dio della morte, di riportare in vita un bambino, figlio di un cantastorie Charan. Il Dio rispose che non avrebbe potuto farlo, poiché il piccolo si era già reincarnato. Fu allora che Karni Mata andò su tutte le furie e proclamò che da quel momento in poi ogni Charan, dopo la morte, avrebbe eluso il passaggio nel suo regno per essere giudicato e si sarebbe reincarnato direttamente in un topo.

Ecco quindi la ragione di tanta devozione verso i migliaia di roditori scorrazzanti che ogni giorno vengono nutriti con latte, zucchero e gustosi dolcetti a base di burro. Vedere per credere!

Tempio delle scimmie

Sempre in Rajasthan ma questa volta a 10 kilometri da Jaipur, nella località di Khania-Balaji, si trova il famoso Galwar Bagh, anche noto come Galtaji Temple, la dimora dei macachi indiani. Arroccato in una stretta gola rocciosa dei Monti Aravalli, il complesso templare comprende diversi santuari, uno dei quali ovviamente dedicato ad Hanuman che secondo la tradizione sarebbe il re dei primati nonché fedele servitore del dio Rama.

Sette vasche idriche, colme di quell’acqua che sgorga quasi miracolosamente dalle rocce di un territorio altrimenti arido, tra i più aridi dell’India, sono la risorsa naturale che attira una popolazione di pare oltre cinquemila scimmie, la cui presenza ha fatto guadagnare al luogo il soprannome di “Palazzo delle scimmie”.

Munitevi di un bastone se possibile (troverete sicuramente qualcuno all’entrata disposto a noleggiarvelo in cambio di qualche rupia) ed evitate di recare con voi cibo o bevande perché qui – e come del resto ovunque in India – le scimmie possono essere davvero rapaci.

Tempio dei cani

Ebbene si, non ci crederete ma l’ultima trovata indiana è stata quella di inaugurare un tempio dedicato ai migliori amici dell’uomo: i cani. E’ successo nello stato del Karnataka, in un villaggio vicino a Channapatna nel distretto di Ramanagara, a circa 60 kilometri da Bangalore. Era il 2010 quanto gli abitanti del luogo hanno concordato di elevare la razza canina allo status di divinità e di fondare quindi un santuario dedicato al dio cane, emblema per eccellenza di lealtà e fedeltà.

Sembrerebbe che le due icone presenti all’interno della cella sacra, celebrate come divinità dalla gente del posto, siano in grado di esaudire i desideri dei devoti e di proteggerli dalla sventure che potrebbero incombere su di loro.

Ricordate: in India tutto è possibile!

Immagini dell’autore

Tempio dei Topi

Tempio dei Topi

Tempio dei Topi

Tempio dei Topi

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

Pellegrini in visita alla Collina delle Aquile

 

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Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina www.indiainout.com il 14 luglio 2014

Festival di Hemis: si aprano le danze!

Festival di Hemis: si aprano le danze! 2000 1333 Sonia Sgarella

E’ il decimo giorno del mese (tsechu) secondo il calendario lunare e, come tutti gli anni, tra maggio e luglio, il monastero di Hemis, il più grande e ricco del Ladakh, si prepara ad ospitare il festival più famoso della regione himalayana. Pellegrini provenienti da ogni angolo del paese, a volte anche a giorni di cammino di distanza, vestiti degli abiti tradizionali migliori, si riuniscono nel cortile principale del gompa per assistere ai due giorni di celebrazioni volti a rievocare la vita e gli insegnamenti di Guru Rimpoche nel giorno della sua nascita.

Conosciuto anche con il nome sanscrito di Padmasambhava (il nato dal loto), Guru Rimpoche è considerato dalla tradizione il fondatore del buddhismo tibetano e colui che ne ha permesso la diffusone. Due giorni di danze scandite dal ritmo intenso di cimbali, trombe e tamburi; un momento di ritrovo e di divertimento ma soprattutto un’occasione per il popolo di entrare in contatto con la vita e la parola del grande Maestro che gli abitanti percepiscono presente all’evento insieme a loro.

Un’imperdibile opportunità per apprendere i contenuti essenziali del suo insegnamento attraverso uno strumento accessibile a tutti. La danza è infatti il mezzo offerto dai monaci residenti ai fedeli per aiutarli a percepire l’essenza della dottrina e dargli uno stimolo per approfondire in seguito la propria ricerca personale. La sequenza delle rappresentazioni  così come i contenuti possono essere modificati per adattarsi al folklore locale purché non vengano mai omessi gli eventi relativi alla vita del grande Guru.

Si dia inizio alle danze quindi! Non sarà difficile farsi trasportare dal coinvolgimento collettivo. Sono tutti presenti, grandi e piccini, uomini e donne, monaci e laici, perché la sola partecipazione, si dice, predisporrà le condizioni karmiche che favoriranno il raggiungimento più veloce della liberazione (nirvana).

E’ fondamentale aprire la cerimonia con le danze di purificazione del luogo in cui si terrà l’evento, uno spazio circolare – riproduzione terrena di un sacro mandala che deve essere ripulito da ogni possibile presenza negativa. L’obiettivo è quello di creare una dimensione pura dove possano manifestarsi le entità divine impersonate dalle maschere. Il danzatore, attraverso la meditazione e le visualizzazioni, entra infatti in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta e con cui ha stabilito un rapporto profondo. “Lui” è la divinità stessa. Le forze negative verranno spinte verso il centro del mandala dal vortice delle danze e convogliate in un oggetto simbolico (un feticcio, una scatola metallica o una rappresentazione fallica) che verrà possibilmente distrutto alla fine del rito.

Entrano quindi in scena i durdag, i guardiani degli 8 luoghi di cremazione posti – secondo la cosmologia buddhista- intorno al monte meru e che indossano maschere bianche aventi le sembianze di un teschio. A loro seguono gli sha-na, i danzatori dai grandi cappelli di feltro nero e dall’abito di broccato colorato. Nessuna maschera gli copre il volto perché loro rappresentano degli yogi, grandi maestri spirituali in grado di uccidere i demoni destinandoli però ad una rinascita in una terra pura dove possano ricevere gli insegnamenti di un buddha e rientrare quindi nella schiera degli esseri protettori della fede. Un’altra sequenza possibile è la danza delle divinità terrifiche (tungam) che vede maschere dall’aspetto terrificante uccidere gli spiriti del male per mezzo del purbha, il pugnale tantrico con tre lame.

Una volta purificato il campo di azione potrà avere inizio il Guru Tshen Gye, la rappresentazione delle 8 manifestazioni di Guru Rimpoche che faranno il loro ingresso in processione accompagnate dal grande Maestro stesso. Caratterizzato da una maschera d’oro, è sempre protetto da un parasole e spesso accompagnato dalle due consorti Mandarava e Yeshe Tsogyal. Per riconoscere le diverse manifestazioni basterà guardarne la fisionomia, l’abito e gli attributi che recano in mano.

  1. Tshokye Dorje: maschera color petrolio dall’aspetto pacifico, abito di broccato blu, nelle mani vajra e campana.
  2. Shakya Senge: maschera dall’aspetto di Buddha, abito monacale rosso e giallo, nelle mani una ciotola per le elemosina.
  3. Loden Chogsey: maschera bianca o arancio dall’aspetto pacifico, abito di broccato bianco decorato o rosso, nelle mani un tamburello e una ciotola.
  4. Padmasambhava: maschera bianca con copricapo rosso a punta, abito monacale rosso e giallo.
  5. Pema Gyelpo: maschera bianca o rosa con la barba, abito di broccato bianco decorato o rosso, nelle mani un tamburello e uno specchio.
  6. Nyima Yeozer: maschera gialla con bara blu, abito di broccato giallo, nelle mani un tridente.
  7. Sengye Dradrok: maschera dall’aspetto terrifico blu, abito di broccato blu. Di solito accompagnato dai suoi attendenti, anch’essi dall’aspetto terrifico.
  8. Dorji Drakpo: maschera rossa dall’aspetto terrifico. Di solito accompagnato dai suoi attendenti, anch’essi dall’aspetto terrifico.

La danza si conclude con una processione finale e con l’uscita di scena di tutte le figure. Seguiranno altre danze e rituali. La purezza del sito dove sorge il monastero è stata così rigenerata e rimarrà tale fino al prossimo tsechu. Allora gli abitanti del Ladakh si rimetteranno in cammino  e si riuniranno di nuovo nel gompa per assistere ad uno degli eventi più attesi dell’anno.

“Happy Journey!” – India fai da te: info utili per chi viaggia in treno e autobus

“Happy Journey!” – India fai da te: info utili per chi viaggia in treno e autobus 350 232 Sonia Sgarella

Cari lettori, siete forse stanchi di viaggiare comodi e avete finalmente deciso di immergervi a picco nella quotidianità di un paese abbandonando taxi privati e pulmini turistici in favore degli indubbiamente più pittoreschi mezzi pubblici? O siete forse in quella fascia d’età irrimediabilmente squattrinata da non potervi permettere una stanza col bagno e figuriamoci un autista privato? Bene, sono queste ottime premesse perché il vostro viaggio si trasformi in avventura, certamente indimenticabile se il paese in questione si chiama India e supera decisamente il miliardo di abitanti! Niente panico, se l’idea di un salto nel buio vi spaventa, sarò io ad aiutarvi a fare luce sull’intricato sistema di trasporti indiano che vi permetterà di raggiungere ogni angolo del paese.

Prenotare un TRENO dall’Italia da qualche anno a questa parte è stato reso possibile da un sito internet partner di quello dell’Indian Railways chiamato Cleartrip. La procedura è alquanto macchinosa, in perfetto stile burocratico indiano, ma in fondo con un po’ di pazienza ce la si può decisamente fare.

Per poter prenotare i treni dall’Italia è necessario dunque registrarsi sia al sito delle ferrovie indiane (IRCTC), sia al suo sito partner Cleartrip che permette, a differenza del primo, il pagamento con carte di credito Visa e Mastercard. Andate quindi sul sito www.cleartrip.com e createvi un vostro account seguendo le operazioni necessarie. Una volta effettuata la registrazione simulate l’acquisto di un biglietto inserendo una stazione di partenza e di arrivo (per es. Udaipur City-UDZ e Bundi-BUDI), scegliendo una classe (per es. Sleeper Class-SL) e una data qualsiasi. Una volta visualizzati i risultati della ricerca premete sul pulsante “check availability and book” perchè il sito vi reindirizzi direttamente su quello delle ferrovie indiane.

Per registrarvi su IRCTC utilizzate lo stesso indirizzo email associato all’account di Cleartrip , mentre nel campo relativo al numero di telefono cellulare inserite un numero fittizio di 10 cifre. All’indirizzo email e al numero di telefono fittizio che avete fornito verranno ora inviati dei codici OTP (One Time Password) che dovrete utilizzare per finalizzare la registrazione.

Per recuperare quello inviato al numero di cellulare dovrete mandare una mail al servizio clienti care@irctc.co.in richiedendo di inviarvi il vostro codice Mobile OTP al vostro indirizzo e-mail. Inserite come oggetto la dicitura “OTP request”, indicate nel messaggio il vostro user ID e allegate una copia del passaporto. Una volta ricevuto il codice potrete quindi attivare l’account IRCTC. Attraverso Cleartrip potrete ora acquistare i biglietti dei treni in formato elettronico.

Se però siete già arrivati in India e preferite mantenere un profilo di viaggio più vecchio stile, ovvero senza quell’organizzazione maniacale e premeditata che vi leghi ad un programma prestabilito ed immutabile, potete allora recarvi ad uno sportello prenotazioni (Computerized Reservation Office) presente presso tutte le stazioni principali del paese. Nelle città più importanti (vedi elenco) esistono addirittura degli uffici riservati ai soli turisti che vi offriranno assistenza nella pianificazione dei vostri spostamenti.

Prima di farlo però, accedete alla pagina www.indianrail.gov.in e cominciate col farvi un’idea di quali e quanti treni viaggino tra le località di vostro interesse. Se si tratta di città importanti cliccate su “Trains Between Important Stations” (ATTENZIONE: Calcutta non è CALICUT-CLT ma HOWRAH-HWH!) mentre per partenze e arrivi in centri minori fate riferimento alla sezione “Train Berth Availability” che offre la lista completa delle stazioni. In questo modo riuscirete a farvi una cultura sui diversi tempi di percorrenza, sugli orari di partenza e arrivo e sui giorni della settimana in cui operano servizio. Da qui potrete anche controllare la disponibilità (Get Availability) e il costo (Get Full Fare).  Annotatevi il nome e il numero del treno perché vi servirà per compilare il Railway Reservation Form da consegnare allo sportello prenotazioni qualora decidiate di procedere.

Scegliere la classe

I treni indiani dispongono di svariate tipologie di classi (non tutte presenti all’interno dello stesso treno):

  • 1A = First class Air-Conditioned (AC) : carrozza di prima classe con aria condizionata composta da cabine per 2 o 4 persone con porta chiudibile dall’interno. Lenzuola (pulite), coperta e cuscino inclusi. Solo i treni a lunga percorrenza sono dotati di tale vagone per cui non è sempre possibile accedervi. Costa circa 6 volte tanto rispetto alla classe più economica (SL) e circa due volte rispetto alla 2A.
  • 2A = AC 2 tier : carrozza di seconda classe con aria condizionata composta da 4 brande  per scompartimento poste su due livelli (upper e lower) più due brande lungo il corridoio. Sia lo scompartimento che le brande sul corridoio dispongono di tende per garantire la privacy. Lenzuola (pulite), coperta e cuscino inclusi.
  • 3A = AC 3 Tier : carrozza di terza classe con aria condizionata. È analoga alla 2A, ma con la differenza che ogni scompartimento dispone di 6 e non di 4 brande, questa volta disposte su 3 livelli (upper, middle, lower), più due brande lungo il corridoio. Lenzuola (pulite), coperta e cuscino inclusi.  Si tratta  della classe preferita dal ceto medio indiano e una buona scelta anche per i turisti stranieri soprattutto se state viaggiando durante i mesi più caldi.
  • SL = Sleeper Class : come la 3A ma senza aria condizionata, lenzuola, coperta e cuscino. È la classe più diffusa sul territorio indiano e la più economica per i viaggi a lunga distanza e per questo preferita dalla maggior parte della popolazione. Sarà vostra premura in questo caso munirvi di tutto ciò che potrà rendere più confortevole la vostra permanenza a bordo: cuscino gonfiabile, un lenzuolo o pareo da stendere sulla branda (tendenzialmente non pulitissima) e una coperta o sacco a pelo per ripararvi dagli spifferi (indispensabile nei mesi più freddi).
  • CC = AC chair Car : carrozza per viaggi diurni composta esclusivamente da posti a sedere, con aria condizionata.
  • 2S = Seater Class : come la CC, ma senza aria condizionata. La seduta è su panche e il posto, non prenotabile, non è garantito.

Ora che avete compilato il modulo in tutti i suoi spazi, compresa la classe, non vi resta altro da fare che mettervi in coda (se siete donne è probabile che vi sia stata riservata una corsia o, in mancanza, almeno la precedenza sugli uomini…informatevi e fate valere i vostri diritti!). Se siete fortunati e non state viaggiando in alta stagione o su tratte gettonate ne uscirete vincenti con un biglietto tra le mani. In caso contrario (sempre più frequente) la risposta che riceverete  assomiglierà alla seguente: “Sorry Madam/Sir, no seats available. Only Wait-List”. Mentre un brivido di terrore vi percorrerà la schiena al pensiero di dover rimanere in quel luogo per chissà quanto tempo, dovrete cominciare ad elaborare un piano B. Di seguito vi elenco qualche possibilità:

  1. Decidete di inserire il vostro nome nella Waiting List (WL), consapevoli che la prenotazione non verrà tuttavia confermata fino a che non vi saranno altrettante cancellazioni. Sulle tratte più popolari le  Waiting List che superano le 300 persone non sono affatto strane. Succede sempre più spesso infatti che i piani dei passeggeri prenotati cambino all’ultimo minuto o semplicemente che, date le possibilità di cancellazione con rimborso (vedi dettaglio), sempre più persone prenotino nell’eventualità di uno spostamento che invece non confermeranno. Questa scelta risulta tuttavia un po’ rischiosa se non avete tempo da perdere.
  2. Assicuratevi che l’incaricato allo sportello abbia controllato la disponibilità nella Foreign Tourist Quota (FT) o, se donne, nella Ladies Quota (LD). Circa il 10% dei posti sono infatti riservati ai turisti stranieri che potranno accedervi (a costo maggiorato) su presentazione del passaporto. Questa possibilità è prevista tuttavia solo su alcune tratte.
  3. Presentatevi allo sportello tra le 10 e le 12 del giorno precedente la partenza desiderata per tentare di accaparrarvi un biglietto in Tatkal Quota (CK). La Tatkal Quota è una sorta di prenotazione last minute che può essere effettuata dietro presentazione di una prova d’identità. I posti riservati, che vengono sbloccati secondo le tempistiche sopra indicate, non sono molti ed hanno un prezzo maggiorato che varia in base alla tratta e al periodo di alta o bassa stagione. Per sperare di ottenere il vostro biglietto dovrete assicurarvi di essere tra i primi della fila e quindi arrivare con largo anticipo o, se in una grossa città, recarvi in una stazione secondaria e quindi poco (o comunque meno)frequentata di quella principale.
  4. Prenotate un posto in AUTOBUS. Con l’aumento della popolazione in movimento e con il miglioramento della rete stradale è oggi in crescita anche il servizio di trasporto su ruota così come il numero degli autobus di qualità (Volvo). Sfruttando quindi di nuovo la tecnologia collegatevi al sito www.redbus.in e inserite le informazioni richieste per effettuare la vostra ricerca. Scorrete l’elenco delle compagnie che offrono il servizio richiesto valutando orari di partenza e arrivo, AC o non-AC, la presenza o meno di comodità a bordo (amenities) e l’eventuale rating  di chi vi ha già viaggiato. Gli autobus possono essere sleeper (con letto matrimoniale o singolo), semi-sleeper (con poltrone reclinabili) o entrambi. Fate la vostra scelta in base alla durata del percorso e auguratevi che le condizioni della strada siano buone altrimenti preparatevi a saltare! Dal sito potrete verificare la disponibilità dei posti, selezionarli e finalizzare l’eventuale prenotazione pagando direttamente con carta di credito oppure, se già sul posto, rivolgetevi ad una agenzia viaggi che lo faccia per voi (se onesta vi chiederà una commissione di massimo 100 Rs.). Copritevi bene e fate buon viaggio!!!

N.B. In entrambi i casi, sia sui treni che sugli autobus, cercate di sistemare  il vostro bagaglio in modo da averlo sempre sott’occhio (magari ai piedi della vostra branda/letto) onde evitare spiacevoli sorprese al vostro risveglio. Lo stesso vale soprattutto per le scarpe! Fate scorta di cibo e bevande ma evitate di assimilare troppi liquidi se viaggiate sugli autobus viste le “soste bagno” alquanto sporadiche e spesso “scomode” (soprattutto per le donne!). 

!!!HAVE A SAFE JOURNEY!!!

 

Il tempio dei topi

Il tempio dei topi 2000 1333 Sonia Sgarella

Benvenuti a Karni Mata, il tempio di Deshnok, l’unico luogo al mondo dove ad essere venerati sono migliaia di topi! Avete capito bene…autentici ratti! Ma questa è l’India, perché vi stupite? Il luogo dove tutto è possibile, il paese delle stranezze e delle contraddizioni, dove per ogni cosa è prevista una spiegazione e se non c’è…la si inventa!

Karni Mata, venerata localmente come incarnazione della grande dea Durga , fu una donna-asceta che visse a cavallo tra il XIV e il XV secolo. Nata nella casta dei Charan, i cui membri sono riveriti per essere grandi poeti e ancor migliori soldati, assunse presto il titolo di divinità madre, occupando un ruolo importante nelle vite di grandi sovrani dell’epoca tra i quali Rao Jodha, fondatore di Jodhpur.  

Racconta il mito che un giorno la donna chiese a Yama, il Dio della morte, di riportare in vita un bambino, figlio di un cantastorie Charan. Il Dio rispose che non avrebbe potuto farlo, poiché il piccolo si era già reincarnato. Fu allora che Karni Mata andò su tutte le furie e proclamò che da quel momento in poi ogni Charan, dopo la morte, avrebbe eluso il passaggio nel suo regno per essere giudicato e si sarebbe reincarnato direttamente in un topo.

Ecco quindi la ragione di tanta devozione verso i migliaia di roditori scorrazzanti che ogni giorno vengono nutriti con latte, zucchero e gustosi dolcetti a base di burro. Ma d’altra parte è cosa nota, i topi sono golosi e gli hindu lo sanno bene. Basta guardare a un’immagine del Dio Ganesh e del suo piccolo veicolo – il topo Mushika – per averne la prova.

shree-ganesh

Che ci crediate o no si tratta del dolce popolare più apprezzato a livello panindiano, nonché di quello preferito dalla divinità con la testa d’elefante e una prelibatezza che non dovrebbe mai mancare in occasione di feste religiose e matrimoni. Ladoo (o laddu) – questo il loro nome – significa “pallina” ed è proprio questa la forma che deve assumere il dolce pronto da servire. Un dolce a base di farina di ceci che ogni pasticceria che si rispetti dovrà esporre in prima linea accanto a burfee di ogni sorta.

Deshnok può essere raggiunto facilmente da Bikaner sia in treno che in autobus. I treni in partenza al mattino (chiedete conferma degli orari) impiegheranno circa mezz’ora per raggiungere la stazione. Da li camminate dritto per circa 200 metri e troverete l’ingresso al tempio. Per il ritorno consiglio di prendere il primo autobus in partenza. Ve ne sono ogni 15-20 minuti.

Kanchipuram: la città degli dei

Kanchipuram: la città degli dei 640 453 Sonia Sgarella

Articolo in 2 minuti – Delle sette città sacre indiane dove, secondo la tradizione, sarebbe più facile ottenere la liberazione (moksha), Kanchipuram è l’unica situata nell’India del Sud ed è meta di pellegrinaggio di shivaiti e vishnuiti al tempo stesso.

 Altrimenti nota come Kanchi, Kanchipuram è stata la capitale delle più grandi dinastie dell’India meridionale, le quali fecero della città un laboratorio per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura ma anche un centro per l’apprendimento delle maggiori filosofie religiose.

 Oggi famosa per la tessitura di pregiati saree di seta, Kanchipuram costituisce una tappa obbligata per i viaggiatori interessati a conoscere le dinamiche di evoluzione dell’arte templare dravida (“del sud”), qui facilmente catalogabili per via degli innumerevoli templi che ancora oggi sopravvivono in questa calda e caotica località del Tamil Nadu affacciata sulle rive del fiume Vegavathy.


Per approfondire – Sette erano i fiumi sacri conosciuti al tempo dei Veda, sette i cavalli celesti del dio Surya, sette le Madri Divine (saptamatrika) e ancora sette le città sacre dell’India che un devoto pellegrino dovrebbe visitare nella sua vita al fine di migliorare il proprio karman sulla via della salvazione: Benares (Varanasi) e Haridwar sul fiume Gange; Ayodhya, luogo di nascita di Rama; Mathura, culla di Krishna; Dwarka, dove Krishna regnò da adulto; Ujjain, sede ogni dodici anni del Kumbha Mela e Kanchipuram, l’unica situata nell’India del Sud e meta di pellegrinaggio di shivaiti e vishnuiti al tempo stesso.

Altrimenti nota come Kanchi, Kanchipuram è stata la capitale delle più grandi dinastie dell’India meridionale. Si successero infatti i Pallava (IV-IX secolo), i Chola (IX-XIII secolo), gli Hoysala (XIII secolo), i Pandya (XIII-XIV secolo) e i Vijayanagara (XIV-XVII secolo), i quali fecero della città un laboratorio per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura ma anche un centro per l’apprendimento delle maggiori filosofie religiose, tra cui quelle induista, buddhista e jainista.

Oggi famosa per la tessitura di pregiati saree di seta, Kanchipuram costituisce una tappa obbligata non solo per i devoti di fede induista in visita in Tamil Nadu, ma anche per i viaggiatori interessati a conoscere le dinamiche di evoluzione dell’arte templare dravida (“del sud”), qui facilmente catalogabili. Innumerevoli sono infatti i templi che ancora oggi sopravvivono in questa calda e caotica città affacciata sulle rive del fiume Vegavathy e facilmente raggiungibile sia dalla capitale Chennai (ex Madras), che dalla poco distante Mamallapuram (vedi post), dove potrete decidere di pernottare per via della disponibilità di migliori strutture ricettive.

Ampliata e fortificata dai re Pallava nel IV secolo d.c., Kanchipuram servì da capitale del loro regno per circa cinquecento anni e fu qui che il grande Narasimhavarman II, detto Rajasimha (circa 700-728 d.c), fece costruire il suo grande capolavoro. Si tratta del tempio di Rajasimheshvara, noto anche come Kailasanatha, il tempio di “Shiva Signore del Kailash”, frutto delle grandi acquisizioni dell’arte Pallava nella sua maturità. Orientato, come vuole la norma, in direzione est-ovest, rappresenta la forma embrionale di quello che sarà lo sviluppo dei templi dell’India del Sud, sempre più ornati e articolati, con cinte di mura (prakara) e portali torreggianti (gopuram). Il programma scultoreo che ne adorna le facciate e le pareti della recinzione è ricco di dettagli tra i quali si intravedono ancora i resti dei dipinti murali, testimonianza di quanto potesse essere sfarzoso l’edificio in origine. Nonostante i discutibili lavori di restauro portati avanti dall’Archeological Survey of India, rimane comunque il miglior esempio dell’ architettura Pallava presente in città.

Leggermente più tardo del Kailasanatha è il Vaikunta Perumal Temple, edificato nel corso dell’ VIII secolo da Nandivarman II Pallava (circa 732-796 d.c.). Dedicato a Vishnu, trattasi di uno dei 108 devya desams ovvero di quei templi sacri ai devoti vishnuiti menzionati nei testi dei Santi poeti Tamil (Alvar). Risulta di particolare interesse per i bassorilievi che ne adornano i chiostri, retti da pilastri a forma di leone, predecessore degli yali, animali mitologici che più tardi orneranno vistosamente i colonnati del Sud.

Dedicato invece alla dea Kamakshi – manifestazione di Parvati, consorte di Shiva – è il Kamakshi Amman Temple. Con l’arco di canna da zucchero e fiori come frecce, la dea, l’unica che fu capace di sedurre Shiva, il grande asceta, costringendolo a sposarla, dimora indisturbata nella cella del tempio che fu fondato dai Pallava e ampliato da Chola. Nel tempio della dea Kamakshi si celebra il culto della Shakti, l’energia cosmica femminile, in un luogo ricco di atmosfera dove giovani brahmini (sacerdoti) dediti allo studio, sotto la supervisione di un maestro, ci ricordano l’importanza del tempio come luogo di apprendimento che venne scelto come dimora per i suoi ultimi anni di vita dal grande riformatore della dottrina brahmanica Shankara, vissuto alla fine dell’ VIII secolo.

Ma è sicuramente l’Ekambareshvara Mandir il tempio più importante e imponente della città, dedicato ancora una volta a Shiva. Situato a nord del centro cittadino il tempio di Ekambareshvara (“Signore dell’albero di Mango”) venne inizialmente edificato dai Pallava ma fu soltanto sotto il regno dei Vijayanagara, amanti delle arti e dell’architettura, che il luogo assunse la forma definitiva. Cinta murarie, alti gopuram (fino a 59 metri), cortili spaziosi, colonnati coperti, santuari minori e una vasca per le abluzioni, furono gli elementi introdotti dai nuovi regnanti che vollero così rappresentare la loro ricchezza e il loro potere.

Custodito all’interno del sancta sanctorum della cosiddetta “Sala delle mille colonne”, si trova l’emblema di Shiva, il Prithvi lingam (lingam di terra) in cui Shiva si manifesta come uno dei cinque elementi della natura (Pancha Bootha). Racconta la leggenda che una volta Parvati coprì per gioco gli occhi di Shiva, facendo piombare la terra nell’oscurità. Shiva per punizione le ordinò di costruire in suo onore un lingam di sabbia che avrebbe quindi dovuto venerare e custodire. Quando il fiume Vegavathy inondò la città di Kanchi, Parvati protesse quindi il lingam con il suo abbraccio salvandolo dalla distruzione. Shiva, sedotto dall’atto di devozione, la sposò. In un cortile interno si trova inoltre il sacro albero di mango da cui il tempio prende il nome e a cui le coppie in cerca di figli rivolgono le loro preghiere.

Per ultimo, ma che tuttavia non esaurisce la serie di santuari che è possibile visitare a Kanchipuram, situato in un sobborgo conosciuto con il nome di Vishnu Kanchi o Chinna (“piccola”) Kanchi, si trova il Devarajaswami o Varadaraja Perumal  Temple, dedicato di nuovo a Vishnu. Edificato dai Chola ed ampliato sotto i Vijayanagara, trattasi di uno dei Divya Desams, i 108 templi consacrati a Vishnu descritti nei testi dei santi poeti Tamil (Alvar) che costituiscono meta di pellegrinaggio per tutti i devoti di fede vaishnava. Il tempio, che presenta magnifiche sculture nella “sala delle 1000 colonne”, sembrerebbe essere stato dimora del santo poeta Ramanuja.

Custodita nelle acque della vasca sacra, l’mmagine di Vishnu originale, scolpita in legno di fico e in posizione reclinata, lunga circa 12 metri, viene riportata alla luce per essere mostrata ai fedeli solo una volta ogni quarant’anni. Inoltre, il Varadaraja Perumal Temple, è l’unico che vanta la presenza di due lucertole tra le sue icone sacre. Una d’oro e l’altra d’argento, si trovano custodite all’interno di una delle tante celle del tempio. La tradizione vuole che chiunque le tocchi venga liberato da ogni sorta di problema o malattia risultante dall’accumulo di karma negativo, sia esso consapevole o inconsapevole. Le lucertole sono infatti considerate delle creature divine capaci di trasmettere buona o cattiva sorte.

La visita dei templi può essere effettuata come escursione in giornata da Mamallapuram. Alle ore 8 dalla stazione degli autobus parte un pullman diretto a Kanchi che vi costerà 41 rupie. In alternativa prendete qualunque pullman diretto a Changalpattu e lì cambiate per Kanchipuram. Il tragitto, salvo imprevisti, durerà circa 2 ore e mezza. Ingaggiate un autista di rikshaw per condurvi nella visita dei templi tenendo ben presente che tutti i santuari di Kanchipuram, ad eccezione del Kailasanatha, osservano una chiusura dalle 12.30 alle 16.00. Cominciate quindi la visita con il Vaikunta Perumal Mandir e, seguendo un ordine cronologico, proseguite con il Kamakshi, l’Ekambareshvara, e il Devarajaswami. Terminate quindi con il Kailasanatha.

Prima di cominciare il viaggio di ritorno potete fermarvi per pranzo al ristorante dell’Hotel Sri Shakti Bhavan, attaccato alla stazione degli autobus.

 

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Questo articolo è stato pubblicato su sito IndiaInOut.com in data 11/08/2014

Sulla collina delle aquile

Sulla collina delle aquile 1070 1070 Sonia Sgarella

A soli 15 km da Mamallapuram, sulla strada che porta a Kanchi, si trova l’allegro villaggio di Thirukazhukundram (perchè ridete??), una località di pellegrinaggio dove, sulla sommità di una collina, sorge il tempio di Vedagirishvara dedicato a Shiva. Entrambi i nomi appena menzionati, di difficile pronuncia, ci raccontano la storia leggendaria del luogo. Thiru-Kazhugu-Kundram, che in lingua tamil significa “la rispettabile montagna delle aquile”, ci parla di quei due volatili che quasi tutti i giorni, più o meno a mezzogiorno, sorvolerebbero le fertili pianure del Tamil Nadu per giungere a posarsi in cima al promontorio roccioso, al fine di essere sfamate dai sacerdoti custodi del tempio con le offerte di riso, frumento, burro chiarificato e zucchero. La tradizione vuole che le aquile siano originarie di Varanasi e che, qualora dovessero mancare all’appuntamento, la colpa dovrebbe essere imputata alla presenza di peccatori tra i visitatori. Una scalinata di 550 gradini da percorrere a piedi scalzi è ciò che separa il santuario dal fondo valle, da dove centinaia di pellegrini giungono ogni giorno per rendere omaggio allo Shiva lingam custodito nella cella del tempio. Shiva, il grande dio che, dietro alla richiesta del  saggio Bharadwaja di essere graziato con una lunga vita per poter apprendere i testi sacri, creò tre montagne a simbolo del Rigveda, dello Yajurveda e del Samaveda. Prese quindi altrettante manciate di fango e spiegò al saggio che i tre Veda stavano a queste come l’immensità di conoscenza necessaria per la salvazione stava alle tre montagne. L’unica via da percorrere verso la liberazione era quella della Bhakti, ovvero della devozione e dell’amore incondizionato verso dio.

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Colori da tutta l’India e sorrisi di complicità per lo sforzo sostenuto vi accompagneranno lungo la ripida salita da cui si godono vedute spettacolari dell’altro tempio della città, il Tirupurasundari Amman Temple, dedicato invece a Parvati, “la bella dei tre mondi”. Le note del mantra Om Nama Shivaya e dei canti devozionali intonati dai fedelissimi anziani -che imperterriti combattono la fatica in previsione della benedizione che li attenderà tra le mura del tempio- saranno la colonna sonora della vostra visita. “Challo!”, “andiamo!”, è il motto di chi addirittura arriva fin qui dal Rajasthan. Non c’è tempo da perdere sulla strada della devozione volta all’accumulo di meriti che possano infine liberare il pellegrino da questo incessante ciclo di rinascite ed evitargli di dover faticare di nuovo nella prossima esistenza perché questa potrebbe essere l’ultima prima del moksha, l’eterna liberazione.

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