Dici Gwalior e sembrerebbe che in pochissimi sappiano dove si trovi; non sto parlando ovviamente di chi in India non c’è mai stato, sarebbe comprensibile, ma di chi l’India l’ha visitata più volte. Di queste persone ne ho incontrate tante: tutti sono stati in Rajasthan, tutti sono passati dal Taj Mahal, tutti si sono persi nell’atmosfera senza tempo di Varanasi, qualcuno ha anche visitato i templi di Khajuraho e si è goduto la tranquillità di Orcha; eppure quasi nessuno si è accorto che sulla mappa, proprio lì, tra queste principali rotte turistiche, si trova la città di Gwalior, una bellezza che in tanti si perdono e che giunge inaspettata per chi invece le dedica del tempo. Ammassata ai piedi di un’immensa rupe di roccia calcarea che domina il panorama della città, Gwalior non solo costituisce un’ottima tappa intermedia lungo il percorso ma vale la pena a prescindere e vi stupirà per il fantastico patrimonio artistico/culturale di cui è custode.
A Gwalior, si dice, tutto cominciò con un re, un saggio ed un miracolo: c’era una volta infatti, racconta la leggenda, un principe di nome Suraj Sen, della dinastia Rajput dei Kushwaha, che giunse fino alla cima di questo immenso altipiano durante una battuta di caccia. Assetato, il principe chiese un po’ d’acqua al saggio Gwalipa, che incontrò strada facendo e il quale, colpendo una roccia, ne fece sgorgare una sorgente di acqua fresca. Suraj Sen non solo bevve ma ne approfittò per rinfrescarsi senza sapere che quell’acqua miracolosa lo avrebbe curato dalla lebbra che gli affliggeva la pelle. Incredulo ai suoi occhi ed estremamente riconoscente nei confronti di Gwalipa, Suraj Sen chiese al saggio come avrebbe potuto ripagarlo dell’aiuto. Egli rispose: “crea una vasca per quest’acqua curativa e fai di questo luogo la tua capitale”. Così fece Suraj Sen nominando la nuova città Gwaliawar, “il regalo del saggio Gwalipa” che da qui cominciò la sua storia di ascesa e di successo.
Per raggiungere l’epoca d’oro di Gwalior bisognerà però aspettare ancora qualche secolo quando, a partire dal 1398, dopo un periodo di dominazione turca, il comando della città tornò nelle mani di un clan Rajput, quello dei Tomar. Fu infatti Man Singh Tomar (1486-1516), il quale commissionò la costruzione del meraviglioso Man Singh Palace – a detta dell’esploratore Cunningham “il più nobile esemplare di architettura domestica dell’India del Nord”- che fece guadagnare al Forte di Gwalior l’appellativo di “perla tra le fortezze dell’India”. Effettivamente il Chit Mandir, “il palazzo dipinto”, incanta il visitatore non solo per l’imponenza e per la sua posizione, ma soprattutto per la vivacità dei mosaici in ceramica che ne decorano le facciate, a partire da quelle in prossimità della Porta degli Elefanti (Hatiya Paur Gateway).
Il modo migliore per approcciare il Forte di Gwalior è quello di risalire il versante della collina accedendo dalla porta principale (Kila Gate o Gwalior Gate): innalzandovi lentamente di quota vi si apriranno infatti degli scorci magnifici sulla città e inoltre manterrete la giusta prospettiva sul palazzo che si svelerà a poco a poco davanti ai vostri occhi, man mano che vi avvicinerete.
Lungo il percorso vi troverete di fronte a qualcosa di veramente interessante: un cartello vi indica la direzione per raggiungere lo “Zero più antico”, ovvero il punto in cui il numero zero si trova rappresentato, per la prima volta nella storia, nell’attuale forma numerica – tanto per intenderci come un tondino. Un’epigrafe custodita all’interno di un piccolo tempio risalente al IX secolo d.C. – il Chaturbhuj Temple – dimostrerebbe quindi che lo zero, che noi conosciamo come numero arabo, sia stato invece una creazione indiana. Impossibile definire dove, quando e da chi esattamente venne inventato ma fatto sta che quella di Gwalior risulti essere l’iscrizione databile più antica. Chiedete al custode di aprirvi la cella del tempio e guardate alla destra di Vishu: provate ora a cercare tra quelle lettere incomprensibili il numero 270. Vi stupirete nel vedere quanto questo assomigli ai nostri caratteri numerici!
Pagato quindi il biglietto d’ingresso al palazzo, accedete al cortile principale dove ad incantarvi saranno i rilievi sulle colonne e le griglie perforate dietro alle quali si nascondevano le donne per assistere agli spettacoli musicali senza essere viste. Nonostante gli interni risultino molto più sobri, anche qui si ritrovano splendide decorazioni in ceramica che donano vivacità e colore alla pietra di questo palazzo il quale venne abitato successivamente da alcuni imperatori Mughal, che ne trasformarono i piani sotterranei in prigioni reali.
Continuate ora verso i Templi Sasbahu che troverete con circa 15 minuti di cammino lasciandovi il palazzo alle spalle e proseguendo oltre il chiosco delle bevande, mantenendo sempre la sinistra. Risalenti all’XI secolo, i templi sono riccamente decorati e ricordano nello stile alcuni santuari del Gujarat tanto che gli studiosi concordano oggi sul fatto che gli artisti dovessero provenire proprio da quella zona dell’India. Dai templi, che sono un luogo di pace e per nulla frequentato, vi si apriranno delle viste magnifiche sulla città.
Ora volendo continuare con la visita dei templi all’interno del forte potreste proseguire fino al Gurudwara Data Bandi Chhod e al Teli Ka Mandir ma se siete stanchi, affamati e il sole comincia ad essere troppo forte, ritornate verso il chiosco delle bevande a da lì prendete la strada in discesa che conduce fino alla Porta Urwahi. E’ proprio qui, lungo il percorso, che realizzerete quanto sia valsa la pena fermarvi per una visita a Gwalior: se di palazzi e di templi infatti ne avrete già visti una serie infinita, di trovarsi di fronte a giganti di pietra non capita tutti i giorni!
Scavati nella roccia sui versanti delle montagne che formano la Valle di Urwahi, le imponenti statue monolitiche dei 24 santi Jainisti, i cosiddetti Thirthankara (“Costruttori di Guado”), sono uno spettacolo che vi lascerà increduli ed entusiasti al tempo stesso: la più alta raggiunge i 19 metri e rappresenta Adinath, il “Signore del Principio”, in posizione eretta, mentre ve ne sono altre che li vedono seduti nella classica “posizione del loto”. Gli studiosi oggi concordano nel datare attorno al XV secolo questa grandiosa opera d’arte che fu molto probabilmente commissionata da una regina Tomar la quale fu una fedele Jaina o forse, più semplicemente, rimase affascinata da questa religione tutta incentrata sul concetto della non-violenza.
Dove dormire: in zona stazione vi sono diverse opzioni. Io sono stata all’Hotel Mayur che fa parte del gruppo OYO Rooms. 550 Rupie la singola.
Dove mangiare: decisamente da provare per colazione e pranzo è l’Indian Coffe House, su Station Road. Aperto fino alle 19.00.