“Qualunque cosa tu possa o sogni di fare, incominciala ora! L’audacia reca in sé genio, potere e magia” (Goethe)
Viaggiatori, sognatori, amanti del trekking e delle imprese audaci, sentite un po’ quel che ho da dirvi: il trekking al Campo Base dell’Everest, se fatto nel modo giusto (e in questo articolo vi spiego come), non è poi così difficile! Intendiamoci, non che si tratti di una scampagnata ovviamente, ma rispetto ad altri trekking – con molti più saliscendi, dislivelli da coprire in giornata, ore di cammino, killing-up e killing-down – quello nella Valle del Khumbu non è poi tra i più massacranti. Il fattore altezza – quello che vi farà sentire maggiormente la fatica, a tratti mancare il fiato e che potrebbe ahimè anche riservarvi spiacevoli sorprese – non è da sottovalutare ma se ben gestito, non dovrebbe compromettere la vostra impresa. Sono sicura che siate in tanti a poterne uscire vittoriosi, da una di quelle vittorie che vi ricorderete per tutta la vita!
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Foto scattata dal Kala Patthar (5.545 m.). Dietro di me l’Everest.
Chomolungma o Sagarmatha, la “Madre Dea della Terra”. Chiamarla semplicemente Everest – che tra l’altro andrebbe pronunciato qualcosa come “Ivrest“), ovvero con il nome di un geografo e cartografo britannico che detta montagna sembrerebbe non averla neanche mai vista – trovo che sia oltremodo riduttivo – senza offesa al Sig. Everest ovviamente! Sarebbe forse invece più cortese designarla sin dall’inizio con i nomi – certo più reverenziali – dategli da quelle popolazioni (rispettivamente tibetana e nepalese) che sotto la sua ombra ci hanno vissuto per secoli, glorificandola come la sede inscindibile della sua Dea protettrice – Miyolangsangma, una demonessa convertita al buddhismo da Guru Rimpoche – e come una presenza da rispettare con devozione, a tratti con timore reverenziale.
Vista dal Kala Patthar
Sappiate comunque che, seppur sarà lei a darvi il motivo e la forza per mettervi in cammino, l’Everest non è certo l’unica tra le bellezze che incontrerete lungo il percorso; di montagne dalla forma perfetta e maestosa ne vedrete tante altre ed è questo che in fondo renderà il vostro trekking così speciale! L’Ama Dablam (6.814 m., considerata una delle montagne più belle del mondo nonché il cosiddetto “Cervino dell’Himalaya”), il Pumori (7.161 m.), il Lhotse (8.516 m.) e il Nuptse (7.864 m.) ma anche il Tabuche (6.495 m.), il Cholatse (6.335 m.), il Thamserku (6.618 m.) , il Kangtega (6.783 m.) e il Cho Oyu (8.201 m.); insomma, siete arrivati nel paese delle meraviglie!
Il Pumori (7.161 m.)
Lo so, avrete di certo sentito dire che si tratta di uno dei due trekking più trafficati del Nepal (l’altro il Campo Base dell’Annapurna), e forse questo – l’idea di incontrare fiumane di gente – vi sta creando qualche dubbio sul se sceglierlo o no per la vostra avventura. E’ vero, soprattutto nei mesi di aprile/maggio e di ottobre/novembre la quantità di gente aumenta di molto rispetto ad altri periodi dell’anno – quelli in fondo sono i migliori per mettersi in cammino – ma non lasciate che sia questo a farvi rinunciare: con qualche piccolo accorgimento saranno ancora tanti i momenti in cui vi troverete a camminare da soli nel silenzio della natura.
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Ecco dunque la mia guida senza pretese che per comodità di lettura ho diviso in 5 sezioni:
1. Quale percorso scegliere – Everest Base Camp, Gokyo Trek o Three Passes
2. Everest Base Camp Trek: Il mio Itinerario in 13 giorni
3. In volo verso Lukla – tutto quello che le compagnie non vi dicono
4. La tosse del Khumbu
5. Cosa portare nello zaino
1. Quale percorso scegliere – Everest Base Camp, Gokyo Trek o Three Passes
Beh, se siete arrivati a questo articolo suppongo che abbiate già le idee abbastanza chiare sul fatto di voler arrivare il più vicino possibile a Sua Maestà la montagna più alta del mondo. Ebbene, se è questo che vi interessa allora non aspettate altro: puntate prima dritto alla meta e, solo successivamente, se il fisico e il tempo (sia quello meteorologico che quello che avete a disposizione) ve lo permetteranno, allontanatevi dal percorso principale dell’Everest Base Camp Trek verso quelli meno noti detti del Gokyo e dei Tre Passi. L’itinerario così impostato, che rispetti dunque il senso anti orario a mio parere è l’ideale per tre motivi principali:
- vi garantirà un migliore acclimatamento – importante a prescindere ma soprattutto se la vostra intenzione è quella di completare il circuito più lungo ed impegnativo, ovvero quello dei Tre Passi (il Kongma-La, il Cho-La e il Renjo-La);
- vi darà la possibilità di rinunciare in qualunque momento qualora non ve la sentiate di proseguire e di fare quindi ritorno a Lukla avendo comunque raggiunto (almeno si spera!) il vostro obiettivo principale;
- durante le giornate di riposo per acclimatamento vi offrirà infinite possibilità di escursioni secondarie che aiuteranno il vostro corpo a mantenersi in allenamento e lo prepareranno per le giornate più impegnative.
Ricordatevi: optare per un andamento che rispetti le fasi di acclimatamento – non mi stancherò mai di dirlo – è oltremodo vitale, anche quando si crede di non averne bisogno e questo per evitare di incappare in quei problemi legati al “mal di montagna” che, come è noto, a queste altezze sono all’ordine del giorno. Lo so, a qualcuno queste parole potrebbero sembrar scontate ma credetemi, si tratta di passaggi sostanziali che purtroppo più volte ho visto ingenuamente trascurare. Guardate una cartina prima di partire: un dislivello obbligato di 1.000 metri in salita, quasi all’inizio del trekking e a quelle altezze, è chiaro che potrebbe facilmente compromettere la vostra salute (mi riferisco al percorso da Lungdhen al Renjo La, valido per i Tre Passi se fatti in senso orario), per cui sarebbe consigliabile evitarlo; facendolo in senso contrario per lo meno i 1.000 metri li coprireste in discesa e con le gambe ormai allenate!
Ma facciamo ritorno a quello che vuole essere il punto focale di questo articolo: l’Everest Base Camp Trek,che tra tutti è il più breve e il meno impegnativo. La verità è che sarebbe più sensato chiamarlo il Kala Patthar Trek, dal nome del suo punto panoramico per eccellenza, ovvero di quella collina scura (Kala Patthar= “pietra nera”) sita al lato dell’accampamento di Gorak Shep da cui godrete delle viste migliori sull’intera valle e sulle montagne circostanti. Dal Campo Base vero e proprio, sappiate che l’Everest non è visibile e, a meno che non vi troviate da quelle parti durante i mesi di spedizioni alla vetta (aprile/maggio) – quando può essere sicuramente interessante dare un’occhiata a cosa combinano gli alpinisti in fase di preparazione – non sarebbe poi così grave se anche voi riteneste inutile andarci.
Bando comunque ai programmi preimpostati che di solito prevedono di raggiungere il Campo Base (5.364 m.) in giornata da Lobuche (4.910 m.) con una levataccia prima dell’alba e, la mattina dopo, il Kala Patthar (5.545 m.) sempre partendo nel buio della notte. Se al vostro arrivo a Gorak Shep (che fu il Campo Base originario stabilito nel 1953) trovaste cielo limpido, io fossi in voi punterei dritto alla meta che vi garantisca la vista sull’Everest (quando oltretutto c’è meno gente) e mi risparmierei quindi la salita al freddo e al gelo del giorno dopo (a metà novembre le temperature al mattino erano di -10 gradi); le foto al tramonto inoltre – tenetene conto qualora vi voleste intrattenere fino a quell’ora – sono meglio di quelle all’alba in quanto il sole, sorgendo esattamente dietro all’Everest, non vi permetterebbe di scattare immagini prive di riflessi. Non solo: lasciare la salita del Kala Patthar all’alba del giorno dopo inoltre vorrebbe dire dargli soltanto una possibilità. E se fosse nuvoloso?? E’ vero che al mattino le probabilità di cielo limpido sono maggiori rispetto al pomeriggio ma che ne sapete; mai come in questo caso, dopo tutta la fatica per arrivarci, io metterei in atto un semplice ma efficace concetto: CARPE DIEM!
Per quanto riguarda il numero di giorni necessari per portare a termine il Trekking al Campo Base dell’Everest da KTM a KTM mettetene in conto 13/14, per estendere al Gokyo Trek 17/18, mentre per i Tre Passi almeno una ventina. A questi ovviamente andranno aggiunti dei giorni cuscinetto che servano per ovviare ai problemi di voli cancellati (2/3), oppure 5/7 giorni se la vostra intenzione è quella di andare o tornare a piedi da Shivalaya/Jiri, raggiungibili con una luuuunga corsa in autobus da Kathmandu (10/12 ore).
2. Everest Base Camp Trek: Il mio Itinerario in 13 giorni
Qualunque percorso decidiate di scegliere comunque questo è sicuro: in fase di ascesa lungo l’Everest Base Camp Trek, da Lukla a Gorak Shep, NON METTETECI MENO DI 8 GIORNI! Qui di seguito vi parlerò del mio itinerario, passandovi alcuni consigli sul dove dormire, aggiornamenti sui prezzi (a novembre 2018) e qualche altro suggerimento dove possibile:
1°giorno: Lukla (2.840 m.) – Phakding (2.610 m.)
– 11 km – 2h30 circa di cammino prevalentemente in discesa – pernottamento presso la Khumbu Traveller’s Guest House che propone noodles e salsa di pomodoro fatti in casa.
A Lukla vi dovrete fermare a pagare una tassa di 2.000 rupie destinata alle casse della Khumbu Pasang Lamu Rural Municipality, una comunità rurale composta da sette villaggi nel distretto del Solukhumbu. Tale tassa dal 1 ottobre 2017 sostituisce la TIMS che non è più quindi necessario ottenere per recarsi nella regione dell’Everest a meno che non si decida di raggiungere Lukla a piedi da Shivalaya/Jiri ( in tal caso vi servirà anche il Gaurishankar Conservation Area Project (GCAP) Entry Permit, ottenibile al Tourism Board di Kathmandu). Il nome Pasang Lamu Sherpa fu quello della prima donna nepalese a raggiungere la vetta dell’Everest nel 1993, luogo in cui purtroppo, in fase di discesa, ci lasciò la vita all’età di soli 32 anni.
2°giorno: Phakding (2.610 m.) – Namche Bazaar (3.440 m.)
– 15 km – 5h30 circa di cammino (3h + 2h30) in stile nepali flat fino a Jorsalle (2.740 m.) e in salita abbastanza ripida fino a Namche – sosta pranzo a Jorsalle presso il River View Terrace Restaurant – pernottamento presso la Zamling Guest House.
A circa due ore di cammino da Phakding, seguendo la valle del fiume Dudh Kosi, raggiungerete il villaggio di Monjo (2.835 m.) che potrebbe costituire una base alternativa dove pernottare qualora il primo giorno ve la sentiste di proseguire un po’ più in su (l’altezza è più o meno quella di Lukla). Qui incontrerete un altro check-post dove è richiesta questa volta la tassa d’ingresso al Sagarmatha National Park.
Arrivati a Namche Bazaar avrete quindi raggiunto l’insediamento più grande del Khumbu, il cuore del territorio sherpa, il luogo in cui gli antenati di questa cultura si stabilirono arrivando dal Tibet oltre 450 anni fa. Illustre personaggio della comunità del passato fu certamente il leggendario Tenzing Norgay, colui che insieme al neozelandese Sir. Edmund Hillary nel 1953 mise piede per la prima volta sulla sommità dell’Everest, a 8.848 metri. Zamling (o Jamling) è il nome di uno dei sui figli, colui che l’ha voluto ricordare e rendergli onore attraverso la scrittura di un libro, Touching My Father’s Soul, una lettura più che consigliata!
Qualunque cosa vi foste dimenticati di portare da casa in termini di abbigliamento o attrezzatura tecnica è quasi sicuro che la troverete a Namche Bazaar. I prezzi sono praticamente quelli europei ma è anche vero che in tanti negozi incontrerete marchi originali. Senza esagerare ma volendo, qui potrete anche permettervi una birra all’Irish Pub più alto del mondo! Badate bene che, seppur vi siano diversi bancomat nel villaggio, la maggior parte di questi risulta spesso priva di contanti. PORTATEVI SOLDI A SUFFICIENZA per tutta la durata del trekking previsto e anche una buona dose di fondi d’emergenza!
3°giorno: Namche Bazaar (3.440 m.) – Khumjung (3.780 m.) – Namche Bazaar
– 10 km – 3h tra andata e ritorno – pranzo e pernottamento alla Zamling Guest House di Namche Bazaar che al conto finale (l’unico caso durante tutto il trekking) aggiunge il 23% di imposte.
Giornata di acclimatamento durante la quale potete decidere di fare tappa al villaggio di Khumjung, situato alle spalle delle colline che fanno da sfondo a Namche Bazaar. Il modo più semplice per arrivarci è quello di cominciare il percorso esattamente dietro al piccolo monastero che troverete al lato della Zamling Guest House e quindi fare ritorno da quello che teoricamente dovrebbe essere il principale, già in direzione di Tengboche. Il percorso può estere esteso anche al villaggio di Kunde.
A Khumjung, incontrerete il Samten Choling Monastery – secondo le fonti il secondo più antico del Khumbu – all’interno del quale è conservato quello che si dice essere il cranio di uno Yeti, l’abominevole uomo delle nevi! Il costo d’ingresso è di 300 rupie. Vi sarete probabilmente già resi conto di essere arrivati nel regno delle patate, qui dove si coltivano e poi si seppelliscono in delle buche sotto terra per conservarle durante i mesi invernali.
4°giorno: Namche Bazaar – Phortse (3.810 m.)
– 14,5 km – 4h30 – sosta pranzo a Mong-La presso lo Snowland View Lodge – pernottamento presso il Little Sherpa Lodge and Restaurant – costo della camera singola con bagno in comune 500 rupie – prese in camera.
Con questa deviazione si abbandona momentaneamente il percorso principale e si seguono invece le indicazioni per il Gokyo Trek che troverete appena oltre il piccolo insediamento di Kyanjuma (“incrocio di sentieri” a 3.550 m.), a circa 1h30 da Namche Bazaar. Il percorso fin qui prosegue abbastanza liscio, pressoché in piano e regala delle viste a dir poco magnifiche sull’Ama Dablam, sul Lhotse, sul Nuptse e sulla sommità dell’Everest in lontananza.
Optare per questo itinerario costituisce un’ottima variante a quello dell’Everest Base Camp per più motivi: perché vi permette di vedere le cose da una prospettiva più alta e ampia, perché è meno trafficato e di conseguenza meno polveroso ma soprattutto perché vi risparmierà una salita di quelle massacranti per raggiungere Tengboche (che potrete fare invece al ritorno in discesa).
Da kyanjuma a Mong-La (3.973 m.) – che si trova appunto abbarbicato su un piccolo passo (“La”) – trattasi di circa un’altra ora e mezza di cammino in salita. Le viste da questo punto sono anch’esse spettacolari e già si intravede lì di fronte il villagio di Phortse (“terrazze soleggiate”) che costituirà il vostro rifugio per la notte. Vi piacerebbe che ci fosse un ponte ad unire i versanti delle due montagne alla vostra altezza vero? Ebbene il ponte c’è ma per attraversarlo dovrete scendere per 45 minuti fino al fiume e da lì risalirne altrettanti.
5°giorno: Phortse (3.810 m.) – Dingboche (4.410 m.)
– 16,5 km – 5h – sosta pranzo a Shomare – pernottamento all’Everest Resort – costo della camera singola con bagno in comune 500 rupie.
Il percorso da Phortse a Pangboche (2h30) è magnifico e selvaggio, reso ancor più unico dal fatto che siano poche le persone a percorrerlo. L’Ama Dablam gli fa da sfondo costantemente mentre guardando in basso a destra si intravede il piccolo agglomerato di Tengboche con lo storico monastero ad occuparne la parte più alta. Portate acqua a sufficienza.
Pangboche (3.930 m.) è un villaggio di tutto rispetto, dedito sempre alla coltivazione di patate e all’allevamento di yak. Nella parte alta del paese sorge il più antico monastero della valle, apparentemente fondato dal Lama Sange Dorje nel XVII secolo e circondato da una sufficiente quantità di lodge e tea houses. Pangboche potrebbe costituire una buona sistemazione per coloro che, all’andata o al ritorno, fossero interessati a raggiungere il Campo Base dell’Ama Dablam (2h circa), da cui partono le spedizioni alla vetta.
Da questo momento in poi, allontanandovi da Pangboche, dite pure arrivederci alla vegetazione fatta di alberi (che rincontrerete solo al ritorno) e preparatevi invece ad addentrarvi in un mondo fatto di piccoli arbusti e rocce nude; le alte vette sono sempre più vicine, l’aria sempre più sottile e le temperature via via più rigide; i panorami d’altro canto sempre più belli, selvaggi e lunari.
Il sentiero risale ora verso Shomare (4.010 m.) – raggiungibile in circa mezz’ora – e da lì prosegue in falsopiano lungo l’ampia valle dell’Imja Khola, il tributario del Dudh Kosi che dovrete attraversare (45 min.) per raggiungere Dingboche (1h). Avrete probabilmente notato sulla mappa che appena prima di incrociare il fiume i percorsi si dividono: uno a destra, che lo continua appunto a seguire verso Dingboche e Chhukhung, l’altro a sinistra, che invece se ne discosta per continuare verso Periche.
Sia che il vostro obiettivo sia quello di proseguire facendo andata e ritorno lungo l’Everest Base Camp Trek, sia che vogliate tentare la sorte con i Tre Passi, proseguire verso Dingboche e fermarsi lì per due notti (oppure farne una lì e una a Chhukung) è sicuramente la scelta migliore: la zona offre meravigliose possibilità di escursione e non solo quindi darete al vostro corpo la possibilità di acclimatarsi all’altezza ma avrete anche modo di esplorare ulteriori destinazioni. E’ proprio in questa zona che si può ammirare per esempio l’Imja Tse, quella montagna meglio conosciuta al mondo con l’appellativo di Island Peak (6.189 m.), una delle cime alpinistiche più accessibili della zona che sorge appunto come un’isola tra le altre.
6°giorno: Dingboche (4.410 m.) – Chhukhung (4.730 m.) – Dingboche
– 3h tra andata e ritorno – pernottamento all’Everest Resort.
Giornata di acclimatamento in cui è possibile raggiungere Chhukhung (4.730 m.), l’ultimo insediamento nella valle dell’Imja Khola. Dal villaggio si staccano più sentieri: verso oriente c’è appunto il Campo Base dell’Island Peak, verso nord il Chuukhung Ri – entrambe possibili escursioni in giornata qualora decideste di intrattenervi a Chhukhung una notte in più – mentre verso nord-ovest il Kongma-La Trek, il primo e più alto fra i tre passi dell’omonimo trekking e che collega Chhukhung a Lobuche. Trattasi di un percorso che supera i 5.500 metri d’altezza, una lunga traversata che può durare anche 9 ore senza incontrare anima viva né ristoro. Dicono – io non l’ho fatto – che l’itinerario da seguire in determinati punti non sia esattamente così intuibile, che è necessario dunque fare molta attenzione – soprattutto se senza guida – e rinunciare o posticipare in caso di cattivo tempo. Se non rientrate tra gli interessati ad affrontare gli alti passi o a permanere nella valle per ulteriori escursioni – per cui sarà più conveniente pernottare a Chhukgung – potete dunque fare ritorno a Dingboche e godervi un po’ di meritato riposo. Nel centro del villaggio c’è una caffetteria che ogni giorno alle 14.00 propone la visione di un film, un modo alternativo e inatteso per passare il tempo a queste altezze. Andate con anticipo perché il locale si riempie in fretta!
7°giorno: Dingboche (4.410 m.) – Lobuche (4.910 m.)
– 11 km – 4h30 – sosta pranzo e pernottamento all’Alpine House di Lobuche – costo della stanza con bagno in comune 700 rupie.
Dopo una prima mezz’oretta in salita verso la cima della collina che divide Dingboche da Periche, il percorso prosegue dolcemente attraverso un meraviglioso pianoro con viste spettacolari sulle vette quasi gemelle del Tabuche (6.495 m.) e del Cholatse (6.335 m.). Questo percorso è forse uno tra i più piacevoli, di quelli in cui la fatica non sarà certo la vostra distrazione principale e potrete quindi godervi il paesaggio, ammirandolo nel suo cambiamento continuo con estrema tranquillità.
La prima destinazione e possibilità di ristoro di questa giornata è l’insediamento di Doughla (4.620 m.), situato al di là di un fiume glaciale esondato diversi anni fa (2007) ma che ha ancora l’aspetto di una frana appena staccatasi dalla montagna. Vi toccherà a questo punto farvi strada tra i massi e risalire quindi dall’altro lato; il percorso da Dingboche ha una durata di circa 2h15.
Mettete adesso in cantiere un po’ di energie perché l’ora successiva sarà tra quelle più complicate, vuoi per l’altezza che incomincia a farsi sentire e vuoi per la verticalità del sentiero che risale la montagna fino ad un pianoro superiore dove, a darvi il benvenuto, incontrerete prima i monumenti commemorativi di alcune vittime dell’Everest, tra cui Babu Chhiri Sherpa – scivolato in un crepaccio durante la sua undicesima ascesa – e Scott Fisher – morto durante la tragedia del 1996. Guardatevi indietro adesso: ne avete fatta di strada eh! 🙂
Non mi dite che pensavate di essere arrivati? Ebbene no ma tranquilli, da questo punto a Lobuche vi rimane solo un’altra ora di cammino e il percorso non è poi così impegnativo. La vedete li di fronte quella montagna dalla forma perfetta che si staglia all’orizzonte? E’ il Pumori (7.161 m.), una tra le vette più maestose della valle e che da questo momento in poi sarà lì a fare da sfondo alla maggior parte delle vostre foto. A Lobuche incontrerete varie sistemazioni: io ho dormito all’Alpine House (che non era male) ma vi suggerirei piuttosto di provare la New EBC Guest House. Dopo pranzo volendo potreste risalire qualche collina che affaccia sul ghiacciaio del Khumbu per godervi lo spettacolo.
8°giorno: Lobuche (4.910 m.) – Gorak Shep (5.140 m.)
– 3 km – 2h30 – sosta pranzo e pernottamento al Buddha Lodge di Gorak Shep – costo della camera singola (minuscola) con bagno in comune 500 rupie.
La verità è che Gorak Shep è un po’ un posto infame dove, a meno che non siate intenzionati a raggiungere sia il Campo Base dell’Everest (5.364 m.) che il Kala Patthar (5.545 m.), non varrebbe neanche la pena di pernottare. Le camere nei lodge sono decisamente le più spartane, il mangiare niente di che e ovviamente l’altezza non sarà quella che concilierà il vostro sonno. Le opzioni alternative, qualora l’idea di dormire ad un’altezza inferiore vi faccia sentire meglio, sono sia quella di effettuare un’escursione in giornata da Lobuche (dove rimarreste a questo punto due notti), sia quella (un po’ più dispendiosa) di optare per il confortevole lodge della Piramide italiana che si trova subito a nord di Lobuche, nascosta in una valle laterale.
Trattasi di un laboratorio di ricerca che si occupa di svariati progetti scientifici e che prende ufficialmente il nome di Ev-K2-CNR. Immediatamente sotto alla piramide si trova il lodge, l’8000 Inn, che per un prezzo fisso di circa 35$ (a seconda della stagione) offre stanza, colazione, cena, doccia calda in bagni confortevoli e possibilità di ricaricare qualunque apparecchiatura elettrica. Si tratta fondamentalmente dell’ultima sistemazione “lusso” sulla strada per l’Everest. Volendo, se non sono i soldi che vi mancano, potreste anche pensare di saltare Lobuche e di rimanere direttamente qui a dormire due notti.
Da Gorak Shep alla punta del Kala Patthar io ci ho messo 1h30 ma, a seconda della vostra condizione fisica le tempistiche potrebbero essere anche più lunghe. Salite con calma fermandovi tutte le volte che riterrete necessarie e portando con voi nient’altro che i bastoncini, acqua, magari uno snack o due e macchina fotografica. Ovviamente l’abbigliamento dovrà essere quanto più pesante possibile a seconda delle condizioni climatiche e dell’orario. Se all’alba o al tramonto portate con voi una torcia frontale. Quindi? Ci siete arrivati? 🙂
9°giorno: Gorak Shep (5.140 m.) – Periche (4.240 m.)
– 15 km – 5h. – sosta pranzo a Dhougla – pernottamento a Periche – costo della stanza singola con bagno in comune 500 rupie.
Ah che soddisfazione e leggerezza riprendere il cammino in discesa vero? 🙂 Per raggiungere Periche non dovrete fare altro a questo punto che ripercorrere i vostri passi fino a Dhougla e da lì, attraversato il torrente glaciale, prendere il sentiero basso che scende – prima ripido e poi in falsopiano – lungo l’ampia e bucolica valle del Khumbu Kola. Da Lobuche a Dhougla, le due ore che avevate percorso in salita, in discesa diventeranno circa 1h15 mentre da Dhougla a Periche considerate più o meno 1h45.
L’avrete probabilmente già notato all’andata ma altrimenti fateci caso: a circa 40 min. di cammino da Lobuche, in direzione dei memoriali alle vittime sull’Everest e all’altezza di una spianata ghiaiosa, si giunge al bivio (indicato da un cartello giallo) da cui parte il sentiero per il Cho-La, il secondo e più impegnativo dei Tre Passi sulla strada per Gokyo.
10°giorno: Periche (4.240 m.) – Namche Bazaar (3.440 m.)
– 8h – sosta pranzo a Deboche – pernottamento alla Zamling Guest House di Namche Bazaar.
Una giornata abbastanza lunga che volendo potrebbe però essere spezzata in due prevedendo una notte a Tengboche (3.860 m.), la sede del più famoso monastero del Khumbu. Da Periche a Pangboche il percorso è quasi tutto in discesa e si tratta – fatta eccezione per la prima parte fino al bivio per Dingboche all’altezza dell’ Imja Khola – dello stesso itineario già seguito all’andata. A Pangboche potete mantenervi sul percorso che attraversa la parte bassa del villaggio e proseguire quindi oltre verso l’insediamento di Deboche (3.820 m.) e lì fermarvi a mangiare prima di riprendere in salita ripida fino a Tengboche. In totale calcolate circa 4h.
Da Tengboche il sentiero scende a picco per circa 1h. lungo il versante opposto della montagna e fino all’insediamento di Phungi Tanga (3.250 m.) dove, oltre a qualche tea house, troverete anche un piccolo check post dell’esercito. Avete capito adesso perché questa parte di percorso è stata meglio farla in discesa? Personalmente, data la possibilità di deviare verso Phortse, non trovo il motivo di massacrarsi con quella salita all’andata!
Da Phungi Tanga a Sanasa è un’altra ora di cammino in salita nella foresta che vi riporterà quindi prima al bivio con il sentiero per Gokyo, poi a Kyanjuma e da lì a Namche lungo lo stesso percorso in stile nepali flat dell’andata. In totale da Tengboche mettete in conto 4h30. Complimenti ragazzi, ce l’avete fatta! Adesso si che potete farvi una doccia come si deve e cenare come se non ci fosse un domani! 🙂
11°giorno/12°giorno: Namche Bazaar (3.440 m.) – Phakding (3.440 m.)/Lukla (2.840 m.)
– 15 km o 26 km – 4h30 o 7h. – sosta pranzo a Jorsalle presso il River View Terrace Restaurant – pernottamento alla Khumbu Traveller’s Guest House di Pakhding o al Sunrise Lodge di Lukla.
Verso la fine del trekking si può incominciare a prendersela con calma e visto che in questa giornata le ore di cammino non sono poi così tante potete anche evitare di puntare la sveglia all’alba e godervi finalmente una colazione da campioni. Volendo ovviamente potreste rendere la giornata più lunga e proseguire direttamente fino a Lukla (oppure a Chheplung se la vostra intenzione è quella di farvela a piedi fino a Shivalaya/Jiri); in tal caso (se il vostro volo è prenotato per il giorno successivo) fate in modo di arrivare a Lukla entro le ore 15, in modo da avere il tempo di riconfermare la partenza presso gli uffici della vostra compagnia aerea (leggi bene la prossima sezione per avere maggiori info a riguardo). Fossi in voi io comunque non prenoterei il volo di ritorno prima del 13° giorno.
3. IN VOLO VERSO LUKLA – tutto quello che le compagnie non vi dicono
Quando venne costruito nel 1964 con lo scopo di trasportare materiale per la costruzione di un ospedale, in pochi avrebbero scommesso che la pista di atterraggio di quello che oggi viene riconosciuto come l’aeroporto più pericoloso del mondo, sarebbe diventata la porta d’accesso alla valle del Khumbu per migliaia di turisti. Ebbene così è stato e ad oggi, durante l’alta stagione, i voli in partenza e in arrivo da quella pista inclinata di 11,7° e lunga soltanto 527 metri sono a decine, ognuno più o meno con una capacità di posti a sedere di circa una ventina di passeggeri.
Le compagnie che svolgono questo servizio al momento della mia visita erano 4: Tara Air (controllata dalla storica Yeti Airlines), Sita Air, Summit Air (dal 2017 il nuovo nome dato a Goma Air) e Nepal Airlines. A novembre 2018 il costo per un biglietto di sola andata si aggirava attorno ai 170/180 $, con nessuno sconto per l’acquisto del biglietto di ritorno, pagato esattamente il doppio. Le prenotazioni possono essere effettuate direttamente sul sito della compagnia (se ci riuscite) oppure tramite agenzia a Kathmandu ma è sicuro che, se si tratta di alta stagione, il tutto debba essere fatto con un certo anticipo. I voli, soprattutto quelli di ritorno DEVONO ESSERE RICONFERMATI (in caso contrario la compagnia potrebbe decidere di assegnare il vostro posto a qualcun’altro) e questo lo si può fare direttamente negli uffici delle compagnie aeree a Lukla (aperti solo per un’ora dalle 15 alle 16), per telefono oppure tramite il lodge dove deciderete di pernottare l’ultima sera. Se viaggiate da soli prendete i contatti prima di lasciare il paesello.
Ma arriviamo adesso al dunque: quale compagnia scegliere – vi starete probabilmente chiedendo – e quali sono quelle cose che vorreste sapere prima di partire (e magari di trovarvi bloccati a Lukla senza un’idea di quel che stia succedendo o qualcuno che vi informi circa la situazione e le vostre prospettive di andarvene)? Lo saprete bene anche voi: finché fila tutto liscio è facile esaltare le doti di una compagnia piuttosto che di un’altra – in fondo hanno contribuito alla buona riuscita di un’impresa spettacolare – ma è proprio quando qualcosa va storto che si finisce col tirare le somme e condannare quella che si è rivelata inefficiente e che vi ha fatto perdere tempo inutilmente quando di certo avreste potuto impiegarlo in maniera migliore.
Vi racconto in breve la mia esperienza: volo prenotato con Summit Air da Lukla a Kathmandu in data 21 novembre 2018 alle ore 9; aeroporto preso d’assalto per via delle cancellazioni del giorno precedente causa maltempo; dopo un’intera mattinata passata ad aspettare il nostro turno (vedendoci passare davanti decine di gruppi organizzati) ci viene comunicato che tutti i voli da quel momento in poi saranno diretti all’eroporto di Ramechhap, a 5 ore di strada da Kathmandu; la compagnia prenderà ovviamente in carico il servizio di trasporto in minivan verso la capitale; ottenuta la carta d’imbarco e in attesa al gate, all’alba delle 14.30 riceviamo l’infausta notizia della cancellazione del nostro volo in quanto il pilota avrebbe finito le sue ore di servizio; il manager in loco ci dà appuntamento al giorno dopo alle ore 6.30 con la promessa di imbarcarci sul primo volo in partenza; nonostante le promesse e nonostante i primi due velivoli fossero diretti a Kathmandu, ci viene consegnata una carta d’imbarco sostitutiva con destino di nuovo a Ramechhap dicendo che ormai noi eravamo assegnati a quell’aeroporto e che se non ci stava bene potevamo chiedere il rimborso e organizzarci in altro modo; il volo non arriverà fino alle 12.30 e noi a Kathmandu fino alle 19. È stato come uscire di prigione!
“Quando non vedi l’ora di andartene, qualunque rumore ti sembra quello di un aereo in arrivo!”
Che cosa si può dedurre da questa storia:
- che contro il cattivo tempo non si può far nulla ma questo già l’avevamo messo in conto. L’aeroporto di Lukla è particolarmente soggetto a cambiamenti climatici repentini e quando questo accade i voli non possono fare altro che essere giustamente cancellati. Su questo non ci piove, soprattutto quando si tratta di velivoli che volano a vista. Onde evitare quindi di perdere coincidenze internazionali calcolate sempre quei 3 o 4 giorni in più rispetto alla fine prevista del vostro trekking che vi facciano da cuscinetto proprio in queste occasioni.
- che non solo il tempo meteorologico potrebbe causare modifiche al vostro volo bensì anche questioni legate al traffico aereo nell’aeroporto di Kathmandu. Durante l’alta stagione del 2018 apparentemente tantissimi voli sono stati dirottati sull’aeroporto di Ramechhap a causa dell’alta intensità di arrivi e partenze internazionali nell’aeroporto della capitale. Trattandosi di un’unica pista sia per i voli domestici che per quelli intercontinentali ovviamente la precedenza viene data ai secondi. Se avete acquistato un volo per Kathmandu la compagnia prenderà a carico l’organizzazione del trasporto (e ci mancherebbe altro direte voi) ma sappiate che queste 5 ore di tragitto da Ramechhap a Thamel le state pagando ben 50$ (130$ è il valore della tratta Lukla-Ramechhap), una cifra che probabilmente non paghereste mai neanche attraversando l’intero paese da est a ovest. Considerato però che Ramechhap si trova in mezzo al nulla l’epilogo è che vi converrà comunque accettare l’offerta.
- che avrete molte più probabilità di partenza se prenotati sui primi voli della giornata. Tanto per intenderci cercate di trovare posto sui voli con orario di partenza tra le 6 e le 7. Questo ovviamente non vuol dire che partirete necessariamente a quell’ora ma che, se anche in caso di cattivo tempo dovesse partire un solo turno, le vostre speranze di spiccare il volo sarebbero più alte.
- che se per qualche motivo il vostro volo dovesse essere cancellato perderete la priorità d’imbarco, finendo così in fondo alla lista delle povere anime in attesa di salvezza. Per motivi pressoché ovvi (interesse di collaborazione) sappiate inoltre che ai gruppi organizzati da compagnie note verrà data la precedenza sugli individuali, il che vi darà ancor più svantaggio.
- che qualunque sia il vostro tempo di attesa (ho incontrato gente bloccata a Lukla da 3/4 giorni) non riceverete nessun tipo di assistenza: rimarrete ad aspettare al freddo e al gelo in un aeroporto che ha più l’aspetto di una stazione degli autobus, senza posti a sedere e senza luci. Se avete una guida con voi lasciate che sia lei a sbrigare la faccenda e voi andatevi a gustare qualcosa di buono alla German Bakery lì di fronte, tanto della vostra presenza non se ne farà niente nessuno. Portate pazienza, al massimo verso le 14 scoprirete quale sarà il vostro destino per la giornata e, male che vada, a quel punto potrete riaccomodarvi in un lodge. Portatevi contante in abbondanza per coprire questa eventualità!
- che tra tutte (esclusa Nepal Airlines che ha pochi voli alla settimana) Summit Air è la peggiore con cui ritrovarsi in una situazione del genere in quanto quella dotata di meno velivoli in volo su Lukla. In situazioni di accumulo passeggeri causa maltempo Tara e Sita sono quindi sicuramente quelle su cui puntare, Tara in primis per via del maggior numero di velivoli a disposizione.
- che se avete soldi da spendere con 500$ a testa e altre 5 persone potrete contrattare un elicottero che vi porterà a destinazione, sicuramente con meno problemi rispetto all’aereo (gli elicotteri possono infatti volare in condizioni di visibilità inferiori).
- che se avete tempo a disposizione e le previsioni del tempo non sono delle migliori forse vi converrebbe farvela direttamente a piedi ed evitarvi lo stress di aspettare a Lukla invano. I biglietti acquistati con queste compagnie sono da considerarsi modificabili (da tenerne conto in caso fosse necessario cambiare data) e rimborsabili (pagando una piccola penale se cancellati dal cliente con un giorno di anticipo o totalmente se il volo dovesse essere cancellato dalla compagnia).
- che sarebbe saggio comunque tentare la sorte e contattare la compagnia aerea chiedendo di partire il giorno prima rispetto alla data prevista (calcolate quindi già di default una giornata in più da usare come jolly). Qualora ci fossero posti disponibili (difficile in alta stagione ma mai dire mai), sarebbe come regalarsi una via di scampo sicura, piuttosto che aspettare il proprio turno e rischiare di trovarsi bloccati per giorni.
4. LA TOSSE DEL KUMBU
Non che sia riconosciuta a livello internazionale ma la “Khumbu Cough” è un dato di fatto e ve ne accorgerete quando i tre quarti delle persone che vi circondano (inclusi forse anche voi stessi) ne saranno affette e l’atmosfera nella sala da pranzo dei lodge sarà quella di un sanatorio piuttosto che di un ristorante. Sapevatelo, la tosse e la perdita di voce a quelle altezze, dove l’aria che si respira è fredda e secca sono qualcosa di assai frequente e rese ancor più probabili se a queste condizioni ci aggiungete la polvere inalata lungo i sentieri.
Il fatto di essere in montagna certo significa aria buona e priva di qualunque tipo di inquinamento che si possa trovare invece in città ma la polvere alzata da chi cammina e dalle carovane di muli e di yak che trasportano mercanzie su questi percorsi può essere tanta e , seppur organica, certo non verrà apprezzata né dalla vostra gola né dai vostri polmoni. Indispensabile sarà dunque che vi muniate di una protezione per il collo che arrivi a coprirvi anche la faccia (niente di meglio di un Buff) e che vi dovrete tenere addosso dall’inizio alla fine del trekking.
5. COSA PORTARE NELLO ZAINO
Prepararsi a livello di attrezzatura da portar con sé è ovviamente quanto di più basilare. Ne ho già parlato ampiamente nell’articolo Trekking in Nepal: tutto quello che c’è da sapere per cui non faccio altro che fare copia e incolla evidenziando quanto ritengo che sia fondamentale o comunque molto utile per questo tipo di trekking, estendendo il discorso anche agli itinerari del Gokyo e Tre Passi.
– Scarpe comode e adatte al trekking: vanno benissimo per esempio i modelli in Goretex della Salomon o della Sportiva a meno che non prevediate un trekking in inverno o durante il monsone, in qual caso sarebbe meglio uno scarponcino; l’importante è ovviamente che calzino comode e che le abbiate testate camminandoci in precedenza. Partire con un paio di scarpe nuove di zecca potrebbe infatti rivelarsi l’errore più grande che possiate commettere. Io personalmente uso le Ultra Raptor de La Sportiva;
– Micro-ramponi se il trekking prevede passaggi su ghiaccio quali, in questo caso, l’attraversamento del Cho-La, il secondo dei Tre Passi sulla strada per Gokyo;
– Un paio di ciabatte da indossare nelle tea house e che vi servano sia per la doccia, sia per evitare di dovervi allacciare le scarpe o gli scarponi ogni volta che vi servirà andare in bagno, soprattutto se di notte. Un paio di ciabatte da piscina in plastica sono l’ideale in quanto parzialmente chiuse e possibili da indossare anche con i calzettoni di lana, molto meglio che non le classiche infradito;
– Calze: portatene quattro paia adatte per il trekking e un paio di lana per la sera da mettere con le ciabatte;
– Guanti anti-vento;
– Cappello: che vi copra quanto più possibile il viso (modello peruviano) e che possiate utilizzare anche di notte per tenere al caldo la testa;
– Copricollo: fondamentale sopratutto per i trekking alle quote più alte come questo;
– Magliette: meglio se di tessuto tecnico e che asciughino in fretta, a maniche corte per le quote più basse e a maniche lunghe per quelle più alte. Portatene al massimo cinque;
– Completo termico: da utilizzare come pigiama o da aggiungere come strato se avete freddo;
– Felpe/pile: un paio di felpe in tessuto tecnico da utilizzare durante il trekking e un pile per la sera;
– Pantaloni: due paia per il trekking, uno più leggero per le quote più basse e uno più pesante per quelle più alte oppure due leggeri e una calzamaglia termica senza piede da utilizzare all’occorrenza. Portatevi poi un pantalone comodo da indossare a riposo;
– Giacca pesante ma che occupi possibilmente poco spazio oppure un piumino e una giacca antivento da abbinare all’occorrenza; io mi porto sempre anche una giacca traspirante da corsa;
– Sacco a pelo: un sacco a pelo di piccole dimensioni dovrebbe essere sufficiente. In ogni stanza sono infatti presenti delle coperte che potrete usare come aggiunta. Può capitare tuttavia, soprattutto durante l’alta stagione, che sui sentieri più battuti e a alle altezze elevate (dove ci sono meno alloggi), vi ritroviate a dover dormire in un angolo della sala da pranzo. In questo caso, sopratutto se sono finite le coperte a disposizione, potreste patire del gran freddo. Starà allora a voi cercare di arrivare prima della massa e accaparrarvi la stanza migliore. Le guide in questo caso possono essere molto d’aiuto, soprattutto se conoscono la zona e sono a loro volta conosciute, avendo spesso la possibilità di chiamare e prenotare in anticipo;
– Impermeabile: di quelli di plastica che siate sicuri facciano il loro dovere. Non c’è niente di peggio che ritrovarsi bagnati e al freddo;
– Una torcia frontale che vi lasci le mani libere;
– Occhiali da sole;
– Protezione solare, crema idratante e burro cacao;
– Carta igienica, salviette umide, gel igienizzante e assorbenti: la carta igienica è spesso di facile reperimento anche in loco ma i prezzi, così come quelli di tutti i prodotti, sono direttamente proporzionali all’altezza (un rotolo arriva a costare fino a 450 rupie);
– Prodotti da bagno: spazzolino, dentifricio, sapone, shampoo e balsamo in bustina che troverete nei supermercati delle principali città; rimanete sempre sulle piccole quantità e fate comunque conto di lavarvi pochissimo;
– Asciugamano in microfibra: io di solito ne porto uno di medie dimensioni per la doccia e uno piccolo da tenere sempre a portata di mano;
– Kit di primo soccorso che contenga farmaci per la dissenteria, Diamox, cerotti per le vesciche e uno spry per il naso (per evitare di passare notti insonni qualora vi doveste beccare un raffreddore);
– Borraccia di metallo e purificatore per l’acqua: la borraccia di metallo vuole essere la sostituita delle bottiglie di plastica che a queste altezze costituiscono un’importante fonte di inquinamento. Il costo di una bottiglia d’acqua in montagna inoltre può raggiungere le 250 rupie (contro le 25 rupie di Kathmandu) per cui ha molto più senso premunirsi di gocce o di pastiglie per purificare quella che prenderete dal rubinetto. A differenza della Regione dell’Annapurna qua non troverete acqua già filtrata;
– Apparecchiatura fotografica;
– Power Bank: per risparmiare sul costo delle ricariche e che sia almeno di 10.000 mAh;
– Snack di ogni tipo: consideratene almeno uno/due al giorno perché rendano il vostro trekking e i momenti di pausa ancora più piacevoli.
– Bastoncini da trekking: se avete problemi alle ginocchia o li volete evitare i bastoncini vi saranno di grande aiuto soprattutto durante le discese ripide.
– Un libro o le carte da gioco: per passare il tempo durante i momenti morti.