Tamil Nadu

Cascate di Hogenakkal

Dal Karnataka al Tamil Nadu: viaggio tra isole e cascate del fiume Kaveri

Dal Karnataka al Tamil Nadu: viaggio tra isole e cascate del fiume Kaveri 1024 768 Sonia Sgarella

Lo chiamano il “Gange del Sud” ed è sicuramente il fiume più venerato dell’India Meridionale. Lunga circa 800 kilometri, la Kaveri – al femminile, così come femminili sono la maggior parte dei corsi d’acqua indiani – scorre in direzione NO-SE: sgorga dalla Collina Brahmagiri, nei Ghat Occidentali, attraversa l’Altopiano del Deccan e sfocia quindi nel Golfo del Bengala, nei pressi di Chidambaram.

Diverse sono le leggende che ne raccontano la nascita come di una bellissima fanciulla, figlia di Brahma, la quale espresse il desiderio di trasformarsi in un fiume perchè il suo scorrere potesse lavare i peccati della gente e le sue acque essere fonte di vita, rendendo fertili le terre da esse bagnate, oggi divise tra lo stato del Karnataka e quello del Tamil Nadu.

Ed è proprio per ringraziarla del suo essere fonte di abbondanza che migliaia di pellegrini ogni anno raggiungono la località di Talakaveri, nel Distretto di Coorg, in Karanataka, a 1276 metri d’altezza, per immergersi nelle acque sorgive del fiume, raccolte all’interno di una piccola vasca a gradoni, che ben si presta per il rito delle abluzioni.

Il distretto di Coorg, ora Kodagu, è una regione prevalentemente agricola, divenuta importantissima nella produzione di caffè.  Estese piantagioni crescono infatti oggi all’ombra degli eucalipti, accanto ai campi di riso, rendendo il territorio un perfetto esempio di sistema agroforestale che ha reso il distretto uno tra i più ricchi di tutta l’India.

Piantagioni di Caffè - Distretto di Coorg

Piantagioni di Caffè – Distretto di Coorg

Lasciate quindi le montagne alle spalle e giunti ora sull’Altopiano del Deccan, ecco che appare Srirangapatna, la prima isola (Adi Ranga) formata dal fiume Kaveri,  a soli 15 kilometri da Mysore. Da sempre un luogo di pellegrinaggio per i devoti di fede vishuita, l’isola prende nome dal Tempio di Sriranganathaswamy, dedicato a Vishu che dorme sul serpente cosmico, uno dei cinque Pancharanga Kshetrams, luoghi sacri dedicati a tale manifestazione della divinità.

Vishnu disteso sul serpente cosmico

Vishnu disteso sul serpente cosmico

Secondo la concezione ciclica hindu del tempo, alla fine di ogni grande era, ovvero alla fine di una vita del dio Brahma, il cosmo si dissolve e tutto ritorna in uno stato di quiescenza indifferenziata, ciò che precede una nuova rinascita. Tale situazione viene generalmente rappresentata dall’immagine di Vishnu disteso sulle spire del serpente Shesha, un cobra dalle molteplici teste, il simbolo dell’oceano primordiale. Dall’ombelico di Vishnu spunta quindi Brahma, seduto su un fiore di loto, il quale ridà impulso alla creazione.

Ma l’isola di Srirangapatna è forse più famosa perché collegata al nome di un grande sovrano, certamente il più valido oppositore ai piani di espansione degli inglesi in India: Tipu Sultan, meglio noto come la “Tigre di Mysore”. Ancora oggi sull’isola possiamo ammirare alcune delle strutture che furono da lui commissionate per fare di Srirangapatna una vera e propria città imperiale: il Daria Daulat Bagh, ovvero quello che fu il suo Palazzo d’estate – semplice ma riccamente decorato all’interno – e il Mausoleo Gumbaz, costruito in memoria del padre Haider Ali ma destinato ad ospitare le sue spoglie mortali.

Proseguiamo quindi il nostro viaggio lungo le sponde del fiume più sacro dell’India del Sud e, prima che questo cominci a marcare la linea di confine tra Karnataka e Tamil Nadu, raggiungiamo la seconda grande isola, quella “di mezzo” (Madhya Ranga), conosciuta con il nome di Shivanasamudra. Anche qui troviamo un tempio dedicato a Shri Ranganathaswamy ma non solo: l’isola è infatti rinomata per via di quelle cascate che, con un salto di 98 metri sono tra le più alte dell’India intera.

Cascate di Shivanasamudra

Cascate di Shivanasamudra

Shivanasamudra significa “l’Oceano di Shiva” ed è proprio qui che possiamo godere di uno di quegli spettacoli della natura che troppo spesso, parlando di India, vengono sottovalutati e di conseguenza tagliati fuori dagli itinerari turistici. Le cascate gemelle di Gaganachukki, formate dal ramo ovest del fiume Kaveri, e quelle di Bharachukki , formate dal ramo est, sono tutt’oggi fonte di energia per una delle più antiche centrali idroelettriche del paese. Per vederle al massimo della loro portata sarebbe meglio visitarle in autunno, appena finita la stagione dei monsoni.

Superato il confine e prima di giungere all’ultima isola sacra (Antya Ranga), vale la pena di soffermarsi ad ammirare altre cascate del fiume Kaveri, quelle di Hogenakkal, anche dette le “Niagara dell’India”. Nonostante il salto più ridotto rispetto a quelle di Shivanasamudra – solo 20 metri – trattasi di cascate altrettanto spettacolari, certo più impressionanti durante la stagione delle piogge. Qualora tuttavia doveste trovarvi da queste parti nella stagione secca, non disperate: la portata d’acqua sarà forse meno imponente ma almeno potrete godervi un rilassante giro sul fiume a bordo di una coracle boat, piccola imbarcazione rotonda fatta in bambù.

Cascate di Hogenakkal

Cascate di Hogenakkal

Ed eccoci quindi finalmente giunti sull’isola di Srirangam, l’ultima, uno dei principali fulcri religiosi dell’India intera. Situata nei pressi della città di Tiruchirappalli (Trichy), nello stato del Tamil Nadu, l’isola ospita il tempio più venerato tra quelli dedicati a  Vishnu Ranganatha, il “Signore dell’Universo”: un’importantissima meta di pellegrinaggio per i devoti di fede vishnuita e certamente, quello più eminente tra i 108 devya desams – luoghi di culto descritti nei versi dei santi poeti tamil (alvar) – nonchè il più rinomato tra i cinque Pancharanga Kshetrams.

Un luogo d’incontro tra sacro e profano, dove trovano spazio, non solo riti e cerimonie spirituali, bensì vita civile e attività economiche, rendendolo oltremodo uno dei templi più vitali e prosperi di tutta la penisola.

Trattasi di una struttura colossale, mai eguagliata, estesa su un’area di sessantatre ettari, costruita molto probabilmente sulle rovine di un antico tempio Pallava ma ampliata su scala grandiosa solo nei secoli successivi, sotto il dominio dei Chola(XI-XIII sec.), dei Vijayanagara(XIV-XVII sec.) e dei Nayak(XVI-XVIII sec.): rappresenta dunque il punto d’arrivo di secoli di elaborazione, così come è tipico dei complessi religiosi nell’India del Sud.

Mentre gli altri templi della regione sono circondati, al massimo, da quattro cerchia di mura concentriche (prakara), quello di Srirangam ne conta ben sette per un totale di 21 portali d’ingresso (gopuram), il più alto dei quali, quello Sud – ultimato nel 1987 su commissione di una famiglia di ricchi proprietari terrieri – raggiunge oggi i 72 metri d’altezza!

Tempio di Srirangam

Tempio di Srirangam

Solo dal quarto prakara in avanti si entra però nella parte più sacra del tempio ed è qui che vi è quindi richiesto di procedere a piedi nudi. Tutt’attorno, e via via verso l’esterno, una profusione di bancarelle , negozietti, mercanti, che rendono al luogo l’onore di essere letteralmente la principale tra le città-tempio indiane. All’interno una magnifica “sala delle mille colonne” decorata con sculture del periodo Vijayanagara raffiguranti cavalli rampanti e, accanto a questa, l’unico gopuram bianco dell’intero complesso.

"Sala delle Mille Colonne"

“Sala delle Mille Colonne”

Ed eccoci quindi giunti alla fine del corso di questa grande signora, chiamata Kaveri che alla fine del suo viaggio si divide nuovamente in due rami, dando origine a quel delta che lentamente la porterà a sfociare nel Golfo del Bengala.

Tutti i luoghi sopra descritti sono facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici e possono rappresentare meta di interessanti escursioni in giornata dai principali centri abitati di Karnataka e Tamil Nadu. Fateci un pensierino!

 

Shiva Nataraja

“Chidambaram è dovunque, dovunque la Sua danza”

“Chidambaram è dovunque, dovunque la Sua danza” 640 413 Sonia Sgarella

Se volessimo trovare un minimo comune denominatore che ci accompagna nella visita del densamente popolato Stato del Tamil Nadu, nell’India del Sud, di cosa potrebbe trattarsi? Ma certamente degli imponenti gopuram, magnifiche strutture piramidali, torreggianti portali di ingresso ai templi la cui altezza può essere compresa tra i 20 e i 60 metri.

Mentre i primi gopuram si ergevano timidamente all’ombra dei più alti shikhara (elevazioni delle celle), come era il caso del “Tempio della Spiaggia” di Mamallapuram o del “Tempio di Brihadeshvara” di Thanjavur, a partire dall’ XI secolo, la situazione viene completamente rovesciata, essendo ora proprio il gopuram l’elemento di spicco che svetta deciso verso il cielo, un gigante possente che rende quasi insignificante l’edificio della cella.

I complessi templari, a partire da questo momento, vengono racchiusi in una serie sempre più numerosa di mura concentriche e quadrangolari (prakara), la più esterna delle quali presenta solitamente aperture ai quattro punti cardinali su cui svettano i portali più alti. Man mano che ci si muove verso l’interno i gopuram diminuiscono sia di numero che di altezza dando vita ad un impianto architettonico intricato e spesso asimmetrico che contribuisce a confondere e disorientare il visitatore occasionale.

Il tempio diviene dunque una città dove la progressiva espansione dello spazio dedicato alla divinità e l’ingigantimento del suo impianto architettonico, altro non sono che il riflesso di un cambiamento di prospettiva avvenuto a livello religioso: se precedentemente, infatti, la presenza della divinità si pensava circoscritta allo spazio angusto e oscuro della cella, da cui poteva ricevere omaggi e dispensare benedizioni, a partire dall’XI secolo, ad essa vengono assegnati molti altri ruoli, simili a quelli di un monarca terreno.

Il dio celebra ora nascite e matrimoni, concede udienza ai suoi devoti, prende parte alle festività sotto forma di sculture di bronzo “movibili” (chala, in contrapposizione ad achala, “fisse”), che vengono trasportate in processione lungo le strade del tempio, progettate, per l’appunto, abbastanza ampie da permettere il passaggio dei carri processionali (ratha).

A segnare la svolta verso questa complessità architettonica si ritiene sia stato il tempio di Chidambaram, un grande complesso templare di epoca Chola, in larga parte edificato tra l’XI e il XIII secolo e risultato di una stratificazione di interventi architettonici avvenuti molto probabilmente nell’area di un più antico tempio di Shiva (VII-VIII secolo), di cui tuttavia non si sono conservati i resti.

Il primo impulso per la futura espansione del tempio di Chidambaram arrivò dal grande Kulottunga Chola (1070-1122 d.c.), il primo sovrano della linea dinastica cosiddetta dei Chalukya-Chola, alleatisi gli uni agli altri per mezzo di vincoli matrimoniali. Fu infatti sotto il suo regno che venne innalzata la prima cinta muraria, alla quale si accedeva per mezzo di due gopuram.

La seconda cinta, dotata di altrettanti portali, venne aggiunta durante il regno di Vikrama Chola (1118-1135 d.c.), il quale commissionò anche lo scavo dell’imponente vasca per le abluzioni, conosciuta con il nome di “Shiva Ganga Tank”.

Shiva Ganga Temple Tank - Chidambaram

Shiva Ganga Temple Tank – Chidambaram

Fu poi Naralokaviran, che servì entrambi i sovrani in qualità di Ministro, a commissionare la costruzione di numerose sale accessorie, tra le quali la “Sala delle Mille Colonne”, situata accanto alla vasca per le abluzioni, all’interno del perimetro della terza cinta muraria. Maestosi sono in questo caso i portali d’ingresso posti ai quattro punti cardinali e costruiti in un’epoca compresa tra il 1150 e il 1300, probabilmente sotto il governo di Kulottunga III ma certamente ingigantiti sotto il regno dei Vijayanagara, i quali commissionarono anche l’innalzamento della quarta cinta muraria.

Costruita su basamenti verticali di pietra, l’elevazione dei gopuram – consistente in una serie di piani digradanti, modellati nello stucco che riveste una struttura piramidale di mattoni – è coronata da un tetto a botte sul quale si allineano simbolici vasi (Kalasha). Nel passaggio dei gopuram Est e Ovest sono scolpite le celebri 108 posture della danza indiana, i cosiddetti karana, la cui origine si fa risalire al Natya Shastra,  il più antico testo di teoria teatrale giunto fino ai giorni nostri.

West Gopuram - Chidambaram

West Gopuram – Chidambaram

Non per altro infatti il tempio di Chidambaram è famoso in tutta l’India come il tempio di Shiva Nataraja, il “re della danza” che qui danzò per la prima volta e che qui, secondo la tradizione, continua tuttora a farlo. Shiva, il “Danzatore Cosmico” che con il suo movimento frenetico, incessante, risveglia le energie latenti che possono dare forma al mondo, il quale altro non è che un effetto della sua danza eterna.

Ed è sicuramente quella di Shiva Nataraja, la creazione più celebre della statuaria Chola, immagine che riproduce in bronzo il cosiddetto anandatandava, la “danza della beatitudine”, la quale vede il Dio segnare il ritmo del tempo, guidando l’esistente nel suo ciclico processo di creazione, vita e distruzione.

Shiva Natarja - Bronzo moderno

Shiva Natarja – Bronzo moderno

Shiva, il signore del lingam (icona fallica) che qui a Chidambaram viene venerato come lingam d’etere, akashalingam, il primo dei cinque elementi, prima manifestazione della sostanza divina da cui si dispiegano, nell’evoluzione dell’universo, tutti gli altri elementi: aria, fuoco, acqua e terra. Ed è dunque dall’insieme di etere e suono, provocato dal tamburello (damaru) che Shiva reca nella mano destra, che ha origine il primo momento della creazione.

La mano opposta, in alto a sinistra, reca invece sul palmo una lingua di fiamma, simbolo della distruzione. Ma Shiva, in quanto Dio, è ovviamente dotato di più arti, in questo caso di un totale di quattro. Ci racconta Heinrich Zimmer, grande studioso, che “la seconda mano destra fa il gesto del “non temere” che dispensa pace e protezione, mentre la rimanente mano sinistra, sospesa all’altezza del petto, indica in basso il piede sinistro, sollevato. Questo piede simboleggia la Liberazione ed è il rifugio e la salvezza del devoto”.

Nel cuore del tempio di Chidambaram, all’intreno della Cit Sabha (“sala della conoscenza”), è custodito quindi un lingam invisibile, fatto di etere, il cosiddetto “segreto di Chidambaram”, accanto al quale, nella Kanaka Sabha (“sala d’oro”), si trova invece un lingam di cristallo, venerato ogni giorno, alle 12 e alle 18, con cerimonie del fuoco che si svolgono al ritmo del suono di cimbali e tamburi.  Nonostante la regola dica che gli stranieri non siano ammessi all’interno del sancta sanctorum, capita spesso che i sacerdoti addetti alle funzioni religiose, ne permettano invece l’accesso.

All’interno del tempio di Chidambaram convivono e lavorano sacerdoti di origine diversa: i Dikshitar, che si distinguono per la particolare acconciatura, consistente in un ciuffo di capelli sulla testa rasata, gli Ouduvar, i cantori di inni sacri e i brahmini comuni.

Chidambaram si trova 58 kilometri a sud di Pondicerry e la si può raggiungere facilmente utilizzando il servizio di pullman pubblici che connette quasi ogni angolo dello stato. La stazione degli autobus si trova a 500 metri dal tempio.

I templi dei Chola, un grandioso Patrimonio Mondiale

I templi dei Chola, un grandioso Patrimonio Mondiale 1024 675 Sonia Sgarella

Cholamandalam, letteralmente il “cerchio dei Chola”, così venne chiamata per lunghi secoli quel tratto di costa orientale dell’India del Sud – compresa tra il delta dei fiumi Krishna e Kaveri e che vide l’arrivo, a partire dal XVI secolo, dei grandi colonizzatori europei, primi tra tutti i Portoghesi, seguiti da Inglesi, Olandesi, Francesi e Danesi, attratti dal commercio delle spezie e in cerca di esotiche ricchezze.

Protetta parzialmente – grazie alla presenza dei monti Ghat Occidentali – da quelle piogge continue che tra i mesi di giugno e settembre si riversano invece in abbondanza sull’opposta Costa del Malabar (negli attuali stati del Kerala e di Goa), quella che è oggi conosciuta con il nome di Costa del Coromandel, costituisce una meta perfetta – seppur un po’ calda – per tutti quegli italiani costretti ad andare in vacanza nel mese di agosto ma i quali non vogliono rinunciare a conoscere l’India, quella più autentica, per nulla influenzata dalla cultura islamica, fortemente presente invece nelle regioni del Nord.

Ma chi furono i Chola – che i conquistatori occidentali non fecero in tempo ad incontrare – e perché questo tratto di costa prese nome proprio da loro? E’ il caso di dirlo che quella dei Chola fu una fra le più potenti dinastie mai sorte sul suolo indiano; una tra le più longeve e sicuramente quella sotto la quale l’arte dell’India meridionale visse un periodo di massimo fulgore, che segnò una svolta decisiva nello sviluppo dell’architettura templare dravida (“del Sud”).

Templi di proporzioni mai viste, di massima dedicati al culto di Shiva, raffinate statue di bronzo, eloquenti iscrizioni, preziosi dipinti murali e icone divine che faranno scuola nei secoli successivi, sono quanto di più squisito ci è stato lasciato da quei sovrani della dinastia che vollero esprimere con l’arte e con l’architettura il loro potere, il quale si espanse nei secoli ben oltre i confini dell’India.

Nonostante le origini dei Chola vengano presentate dalle fonti come assai remote (III secolo a.C.), è solo a partire dal IX secolo d.C. che si può cominciare a parlare di dinastia imperiale, quando il sovrano Vijayalaya (850-871 d.c.) – forse un feudatario dei Pallava – fondò un piccolo regno nella zona di Thanjavur, destinata a diventare, sotto i suoi successori, la capitale di un fiorente impero.

Ma dovette passare oltre un secolo perché questo accadesse, ovvero sotto il regno di Rajaraja Chola (“Re dei Re”), il quale, sconfitti i vicini Chera e Pandya, estese poderosamente il domino della dinastia verso nord, invase lo Sri Lanka e le Isole Maldive e come coronamento delle sue imprese, fece innalzare proprio nel centro di Thanjavur, il tempio più maestoso che l’India avesse conosciuto fino ad allora, oggi inserito nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco.

Correva l’anno 1010 quando in tutta l’India del Sud, riecheggiavano le voci che la costruzione di un imponente tempio di granito fosse appena stata portata a termine, grande cinque volte i templi costruiti dai suoi predecessori, circondato da alte mura di protezione e con uno shikara (“elevazione della cella”) alto 66 metri, coronato da un elemento a calotta (stupi) del peso di ottanta tonnellate che secondo la tradizione fu collocato in posizione facendolo scorrere sopra una rampa lunga sei kilometri. Si trattava del tempio di Brihadeshvara, del “Grande Signore Shiva”, comunemente noto come il tempio di Rajarajeshvara, del “Signore di Rajaraja”.

Uno shivalingam (icona fallica) alto tre metri e mezzo, vuole essere il simbolo della presenza del Dio che, ancora oggi, a distanza di un millennio, viene venerato durante tutto il giorno da folle di fedeli, le quali si recano il più vicino possibile al sancta sanctorum, per assistere alle celebrazioni della puja quotidiana che vede i sacerdoti (brahmini) del tempio cospargerlo da cima a fondo di burro e latte. Uno spettacolo da non perdere!

Ed è sempre Shiva, nei vari momenti del suo mito, il protagonista del programma scultoreo ospitato nelle nicchie che si estendono lungo tutte le facciate del tempio: Shiva Nataraja, il “Re della Danza”; Shiva Bhikshatana, ovvero nella forma di un mendicante nudo, la cui bellezza e il cui fascino vinsero i cuori di tutte le donne che gli si avvicinavano; Shiva Ardhanari, metà uomo e metà donna; Shiva Tripurantaka, vittorioso dopo la sconfitta di tre demoni con una sola freccia e Shiva Lingodbhava, ovvero Shiva che emerge dal lingam di fuoco proclamando implicitamente la sua superiorità  rispetto a Brahma e Vishnu.

Il recinto, che misura 241 metri per 121, può essere diviso in due quadrati, al centro dei quali si trovano rispettivamente il sancta sanctorum e il toro Nandin, cavalcatura di Shiva. Quest’ultimo, che si trova in un padiglione di epoca successiva meravigliosamente dipinto, come  da tradizione, guarda nella direzione dello shivalingam come a volerlo proteggere.

Ma il tempio, raccontano le iscrizioni poste lungo tutta la sua base, non si limitava a svolgere una funzione meramente religiosa, bensì serviva da sede amministrativa e finanziaria, commerciale e culturale: 850 addetti tra cui 67 musicisti, 400 danzatrici, 174 sacerdoti, 143 guardiani e ancora tesorieri, contabili, astrologi, artigiani, gioiellieri. Il tempio venne anche utilizzato infatti come forziere per custodire donazioni preziose e bottini di guerra.

E ancora le iscrizioni raccontano che il tempio possedeva 66 immagini di bronzo, tutte create con il metodo della cera persa che ancora oggi viene utilizzato dagli artigiani per riprodurre l’infinita serie di icone divine che viene venduta in tutti i negozi e mercati dell’India. Le immagini, debitamente vestite e ingioiellate, venivano portate in processione in occasione di festival religiosi.

Due anni dopo aver completato la costruzione del tempio, Rajaraja I decise di incoronare imperatore il figlio Rajendra I, durante il cui regno il dominio dei Chola giunse alla massima espansione: marciò a nord fino alle rive del Gange, dalle quali tornò con anfore piene di acqua; ordinò spedizioni navali che giunsero fino alla penisola Malese, a Giava e a Sumatra; occupò le isole Andamane e Nicobare e intrattenne rapporti diplomatici con la Birmania e con la Cina.

Fu così che, nel tentativo di eguagliare la grandiosità del tempio paterno, Rajendra fece edificare l’altro tempio di Brihadeshvara, ma questa volta a Gangaikondacholapuram (“Città del Chola che ha conquistato il Gange”), 65 kilometri a nord di Thanjavur. Qui, le figure nelle nicchie sono spesso scolpite a tre-quarti, quasi  come se emergessero di lato, a differenza del tempio di Thanjavur dove sono scolpite frontalmente. Di grande pregio è quella che raffigura Shiva e Parvati nell’atto di benedire Chandesa, uno dei 63 Nayanar, santi-poeti devoti di Shiva.

Ma la lista dei templi Chola inseriti nella lista dell’Unesco non si esaurisce qui: ve ne è ancora uno che potrete visitare lungo la strada che collega Gangaikondacholapuram a Thanjavur ed è quello di Darasuram, dedicato a Shiva Airavateshvara. Ancor più rifinito dei due precedenti, abbellito da raffinati motivi floreali , figure divine, animali mitologici e da padiglioni accessori concepiti nella forma di carri celesti trainati da cavalli galoppanti – elemento che verrà riproposto nei secoli successivi anche a distanza di centinaia di kilometri, nell’odierno stato dell’Orissa – il tempio di Airavateshvara, il “Signore di Airavata”, fu il luogo dove, secondo la tradizione, Airavata, l’elefante bianco di Indra, si recava per venerare Shiva. Vuole la leggenda che, a causa di una maledizione lanciatagli dal saggio Durvasa, la pelle di Airavata cambiò colore fino a che, immergendosi nelle acque divine che circondavano allora il tempio, l’elefante del grande dio vedico riacquisì le sue sembianze originali.

Una profusione di scene relative alla danza e alla musica, arti di cui i re Chola furono grandi patroni, nonché notevoli statue scolpite nel basalto nero e inserite nelle nicchie presenti lungo tutte le facciate, rendono il tempio di Darasuram un esempio artistico di grande valore, sicuramente degno di una visita durante il vostro viaggio in Tamil Nadu.

Ecco dunque presentati i tre complessi templari che l’Unesco ha voluto insignire del titolo di Patrimonio Mondiale ma certo non si tratta degli unici commissionati da questi grandi regnanti dell’India del sud. All’incirca cento templi, per lo più dedicati a Shiva, sono infatti ascritti a quest’epoca, tra i quali il meraviglioso complesso di Chidambaram!

Leggi anche Il meraviglioso tempio di Chidambaram

 

 

Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto

Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto 1024 640 Sonia Sgarella

Lo chiamavano il “grande eroe”, maha malla, ed era tra i più eminenti sovrani della dinastia Pallava. Narasimhavarman I, che regnò all’incirca tra il 630 e il 668 d.c., dotato di vitalità creativa raramente eguagliata, diede vita ad una tra le più celebri e preziose arti dell’India di ogni epoca e ad un linguaggio espressivo che diventerà caratteristico dell’India meridionale, cosiddetta dravidica.

In un tentativo di esaltazione della sua figura, volto ad identificarlo almeno parzialmente con la divinità, Narasimha fece di un piccolo porto sulla costa del Coromandel, già da tempo immemore conosciuto come Mallai, un importantissimo scalo commerciale sulle rotte per l’oriente, nonché un’autentica galleria d’arte a cielo aperto.

Mamallapuram - spiaggia

Venne così rinominata Mamallapuram, “la città del grande eroe” quella che è ancora oggi una rilassante cittadina di pescatori affacciata sul Golfo del Bengala. Punteggiata di palme e incorniciata a levante da una lunga spiaggia di sabbia dorata, Mamallapuram, anche conosciuta come Mahabalipuram, conserva intatto un esuberante repertorio di opere d’arte, espressione del lavoro di decine, centinaia o forse migliaia di scultori, tutt’oggi sconosciuti, che fecero di questa località uno dei più importanti laboratori d’arte del subcontinente.

Santuari in grotta, templi monolitici o costruiti, bassorilievi, altorilievi e sculture a tutto tondo sono nell’insieme volti ad onorare gli dei e costituiscono oggi un patrimonio mondiale dell’umanità, scolpito nelle levigate collinette di granito che spuntano lungo questo tratto di costa indiana. Non sempre portate a termine, le opere risultano a volte di dubbia interpretazione ma forse, ancora una volta, tutto è riconducibile al fatto che Mamallapuram fosse la sede di una grande scuola d’arte  dove le leggi scultoree venivano sperimentate, testate e, una volta esaurito l’interesse del patrocinante, abbandonate.

Risalendo dalla spiaggia, dove vi sarete già immersi nella storia raccontata dalle pietre scolpite dello Shore Temple (Tempio della Spiaggia) – esemplare più antico di “tempio strutturale”, costruito nell’India del Sud ad opera del successore Pallava Narasimhavarman II (700-728 d.c.), detto anche Rajasimha – camminando verso il centro dell’abitato lungo la Shore Temple Road, improvvisamente vi apparirà di fronte agli occhi quella che è sicuramente l’opera più straordinaria commissionata da Narasimhavarman I: un rilievo di proporzioni grandiose (all’incirca 30 metri per 15) che occupa l’intera facciata di una bassa collina rocciosa.

Mamallapuram - Arjuna's Penance

Voleva forse essere il biglietto da visita del grande sovrano rivolto ai mercanti e ai viaggiatori che giungevano dal porto – tra i primi, si racconta, Marco Polo –  e nelle giornate di festa doveva mostrarsi in tutta la sua bellezza, con una cascata d’acqua che dalla sommità discendeva nel solco centrale del monolite, a riempire la vasca d’acqua che si trova ancora oggi ai suoi piedi. L’acqua, fonte di vita e purificatrice, abitata da creature serpentine, i cosiddetti naga, voleva essere la probabile illustrazione della discesa del Gange sulla terra. Il sacro fiume scorreva infatti in cielo, finché il re Bhagiratha, con la sua penitenza e la sua fede, ottenne da Shiva che si riversasse in terra a purificare i resti dei suoi antenati.

Un’altra interpretazione, che va per la maggiore, vuole però che il grande rilievo, conosciuto localmente come Arjuna’s Penance (Penitenza di Arjuna), sia la rappresentazione di un episodio famoso del Mahabharata, il più grande poema sacro dell’India. Arjuna, costretto insieme ai fratelli Pandava ad un esilio di 12 anni nella foresta, si ritira in ascesi al fine di recuperare le armi divine indispensabili per vincere la guerra contro i cugini Kaurava. Rifugiatosi sull’Himalaya in cerca di Shiva, dedicatosi a mortificanti pratiche ascetiche, riceve dal grande dio la grazia di poter disporre di pashupata, tremenda arma divina.

L’episodio viene raffigurato a sinistra della fenditura centrale, che vede un asceta ritto su una gamba sola, a braccia alzate di fronte alla figura maestosa del grande dio. Tutto attorno, una profusione di figure celestiali, divine (vedi l’immagine di Vishnu posta all’interno di un tempietto), umane e animali , donano al rilievo una sorprendente vitalità. La ricchezza e l’eleganza della scultura Pallava sono qui espresse magnificamente e vi lasceranno a dir poco stupiti. Ma aspettate un attimo…che cosa ci fa un gatto in posizione ascetica di fronte a un gruppo di topi devoti? L’umorismo della scultura Pallava, oltre all’eleganza e alla ricchezza, vi lascerà estremamente stupiti!

Mamallapuram - Arjuna's Penance

A destra, a sinistra e alle spalle dell’ “Arjuna’s Penance”, una concentrazione di monumenti e formazioni rocciose dedicati alle maggiori divinità dell’induismo, vi terranno occupati una mezza giornata: il padiglione di Krishna (Krishna Mandapa), ornato con magnifiche sculture che raccontano le gesta del dio adolescente, la “palla di burro” (Krishna’s butter ball), roccia in precario equilibrio da millenni, la grotta di Durga che uccide il demone bufalo, con un magnifico rilievo che raffigura la mitica impresa, e ancora il tempio della Trimurti, con le immagini dei tre principali dèi dell’induismo e la grotta del Varaha, dal nome della discesca (avatara) in terra di Vishnu sotto forma di cinghiale.

Prendetevi il vostro tempo in questa zona prima di dirigervi a sud dell’abitato, alla ricerca dell’altro grande capolavoro di Mamallapuram: conosciuto col nome di “Five Ratha” (cinque carri), si tratta di un gruppo di cinque templi dedicati anch’essi ai cinque fratelli Pandava e alla moglie Draupadi (ebbene sì, in India succede anche che una sola donna possa essere la moglie di cinque fratelli!). Ognuno di questi prende il nome di uno (o due nel caso dei gemelli) dei sei personaggi leggendari. Ricavati, come l’“Arjuna’s Penance”, da colline granitiche – quattro dei quali da un unico masso e quindi disposti sullo stesso asse – si tratta per la verità di cosiddetti vimana, termine usato nell’India del sud per designare la cella del tempio contenente l’immagine sacra (murti), con la sua elevazione. Non vi è però nessun riferimento storico riguardo al rapporto di questi con i cinque fratelli Pandava. Si tratta invece di templi dedicati al culto delle divinità principali dell’induismo i quali, tuttavia, non vennero mai consacrati bensì, come accadde spesso a Mamallapuram, lasciati incompiuti.

Mamallapuram - Five Ratha Mamallapuram - Five Ratha Mamallapuram - Five Ratha

Ritornate quindi verso la spiaggia, dove potrete finalmente godervi le luci del tramonto affacciati sul Golfo del Bengala. Immaginate: qui il 26 dicembre del 2004, quando l’acqua dell’Oceano si ritrasse di circa 500 metri per abbattersi poco dopo sulla costa sotto forma di un devastante tzunami, turisti e residenti videro emergere dall’acqua quelli che gli studiosi hanno successivamente constatato essere i resti di alcuni templi sommersi. Ciò non conferma ma sicuramente fortifica la tesi secondo cui a Mamallapuram sorgevano un tempo sette pagode.

Un mito o forse storia, questo non è dato sapersi: quel che è certo è che un tempo la zona sacra della città era molto più estesa di quello che è oggi e chissà che forse, un giorno, nuove e significative testimonianze dell’arte Pallava non verranno rubate alle onde del mare per fare finalmente luce sui misteri di una delle dinastie più curiose dell’India del Sud.

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A circa quattro kilometri a nord del sito principale, rimanendo lungo la costa, si trova la cosiddetta Grotta degli Yali (o della tigre), creature mitologiche le cui teste mostruose circondano la facciata arrotondata di un masso scolpito.

Accanto a questa, a distanza di poche decine di metri, un altro padiglione dedicato al dio Shiva contenente un moderno lingam (icona fallica simbolo del dio) di granito e recante eloquenti iscrizioni (per chi le capisce ovviamente!). Quale fosse la loro funzione? Neanche in questo caso è dato saperlo. Alcune ipotesi sostengono che potesse trattarsi di un sito secondario dove venivano trasportate in processione le immagini sacre durante periodi di festa per poi fare ritorno in città.

Grotta degli Yali: entrata

Dei 108 templi sacri a Vishnu (Divya Desam) elencati nei testi dei 12 Santi poeti Tamil (Alvar), uno si trova proprio qui a Mahabalipuram. Situato nel cuore del villaggio, accanto alla fermata principale degli Autobus, si tratta del  tempio di Sthala Sayana Perumal, risalente all’epoca Pallava ma ampliato e rimodernato nel corso dei secoli. Essendo l’unico tempio attivo della città, è qui che potrete assistere alle cerimonie di omaggio alla divinità (puja). Il tempio è aperto dalle 6.30 alle 12 e dalle 15 alle 20.30.

Questo articolo è stato pubblicato sul sito IndiaInOut.com in data 01/08/2014

 

 

Kanchipuram: la città degli dei

Kanchipuram: la città degli dei 640 453 Sonia Sgarella

Articolo in 2 minuti – Delle sette città sacre indiane dove, secondo la tradizione, sarebbe più facile ottenere la liberazione (moksha), Kanchipuram è l’unica situata nell’India del Sud ed è meta di pellegrinaggio di shivaiti e vishnuiti al tempo stesso.

 Altrimenti nota come Kanchi, Kanchipuram è stata la capitale delle più grandi dinastie dell’India meridionale, le quali fecero della città un laboratorio per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura ma anche un centro per l’apprendimento delle maggiori filosofie religiose.

 Oggi famosa per la tessitura di pregiati saree di seta, Kanchipuram costituisce una tappa obbligata per i viaggiatori interessati a conoscere le dinamiche di evoluzione dell’arte templare dravida (“del sud”), qui facilmente catalogabili per via degli innumerevoli templi che ancora oggi sopravvivono in questa calda e caotica località del Tamil Nadu affacciata sulle rive del fiume Vegavathy.


Per approfondire – Sette erano i fiumi sacri conosciuti al tempo dei Veda, sette i cavalli celesti del dio Surya, sette le Madri Divine (saptamatrika) e ancora sette le città sacre dell’India che un devoto pellegrino dovrebbe visitare nella sua vita al fine di migliorare il proprio karman sulla via della salvazione: Benares (Varanasi) e Haridwar sul fiume Gange; Ayodhya, luogo di nascita di Rama; Mathura, culla di Krishna; Dwarka, dove Krishna regnò da adulto; Ujjain, sede ogni dodici anni del Kumbha Mela e Kanchipuram, l’unica situata nell’India del Sud e meta di pellegrinaggio di shivaiti e vishnuiti al tempo stesso.

Altrimenti nota come Kanchi, Kanchipuram è stata la capitale delle più grandi dinastie dell’India meridionale. Si successero infatti i Pallava (IV-IX secolo), i Chola (IX-XIII secolo), gli Hoysala (XIII secolo), i Pandya (XIII-XIV secolo) e i Vijayanagara (XIV-XVII secolo), i quali fecero della città un laboratorio per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura ma anche un centro per l’apprendimento delle maggiori filosofie religiose, tra cui quelle induista, buddhista e jainista.

Oggi famosa per la tessitura di pregiati saree di seta, Kanchipuram costituisce una tappa obbligata non solo per i devoti di fede induista in visita in Tamil Nadu, ma anche per i viaggiatori interessati a conoscere le dinamiche di evoluzione dell’arte templare dravida (“del sud”), qui facilmente catalogabili. Innumerevoli sono infatti i templi che ancora oggi sopravvivono in questa calda e caotica città affacciata sulle rive del fiume Vegavathy e facilmente raggiungibile sia dalla capitale Chennai (ex Madras), che dalla poco distante Mamallapuram (vedi post), dove potrete decidere di pernottare per via della disponibilità di migliori strutture ricettive.

Ampliata e fortificata dai re Pallava nel IV secolo d.c., Kanchipuram servì da capitale del loro regno per circa cinquecento anni e fu qui che il grande Narasimhavarman II, detto Rajasimha (circa 700-728 d.c), fece costruire il suo grande capolavoro. Si tratta del tempio di Rajasimheshvara, noto anche come Kailasanatha, il tempio di “Shiva Signore del Kailash”, frutto delle grandi acquisizioni dell’arte Pallava nella sua maturità. Orientato, come vuole la norma, in direzione est-ovest, rappresenta la forma embrionale di quello che sarà lo sviluppo dei templi dell’India del Sud, sempre più ornati e articolati, con cinte di mura (prakara) e portali torreggianti (gopuram). Il programma scultoreo che ne adorna le facciate e le pareti della recinzione è ricco di dettagli tra i quali si intravedono ancora i resti dei dipinti murali, testimonianza di quanto potesse essere sfarzoso l’edificio in origine. Nonostante i discutibili lavori di restauro portati avanti dall’Archeological Survey of India, rimane comunque il miglior esempio dell’ architettura Pallava presente in città.

Leggermente più tardo del Kailasanatha è il Vaikunta Perumal Temple, edificato nel corso dell’ VIII secolo da Nandivarman II Pallava (circa 732-796 d.c.). Dedicato a Vishnu, trattasi di uno dei 108 devya desams ovvero di quei templi sacri ai devoti vishnuiti menzionati nei testi dei Santi poeti Tamil (Alvar). Risulta di particolare interesse per i bassorilievi che ne adornano i chiostri, retti da pilastri a forma di leone, predecessore degli yali, animali mitologici che più tardi orneranno vistosamente i colonnati del Sud.

Dedicato invece alla dea Kamakshi – manifestazione di Parvati, consorte di Shiva – è il Kamakshi Amman Temple. Con l’arco di canna da zucchero e fiori come frecce, la dea, l’unica che fu capace di sedurre Shiva, il grande asceta, costringendolo a sposarla, dimora indisturbata nella cella del tempio che fu fondato dai Pallava e ampliato da Chola. Nel tempio della dea Kamakshi si celebra il culto della Shakti, l’energia cosmica femminile, in un luogo ricco di atmosfera dove giovani brahmini (sacerdoti) dediti allo studio, sotto la supervisione di un maestro, ci ricordano l’importanza del tempio come luogo di apprendimento che venne scelto come dimora per i suoi ultimi anni di vita dal grande riformatore della dottrina brahmanica Shankara, vissuto alla fine dell’ VIII secolo.

Ma è sicuramente l’Ekambareshvara Mandir il tempio più importante e imponente della città, dedicato ancora una volta a Shiva. Situato a nord del centro cittadino il tempio di Ekambareshvara (“Signore dell’albero di Mango”) venne inizialmente edificato dai Pallava ma fu soltanto sotto il regno dei Vijayanagara, amanti delle arti e dell’architettura, che il luogo assunse la forma definitiva. Cinta murarie, alti gopuram (fino a 59 metri), cortili spaziosi, colonnati coperti, santuari minori e una vasca per le abluzioni, furono gli elementi introdotti dai nuovi regnanti che vollero così rappresentare la loro ricchezza e il loro potere.

Custodito all’interno del sancta sanctorum della cosiddetta “Sala delle mille colonne”, si trova l’emblema di Shiva, il Prithvi lingam (lingam di terra) in cui Shiva si manifesta come uno dei cinque elementi della natura (Pancha Bootha). Racconta la leggenda che una volta Parvati coprì per gioco gli occhi di Shiva, facendo piombare la terra nell’oscurità. Shiva per punizione le ordinò di costruire in suo onore un lingam di sabbia che avrebbe quindi dovuto venerare e custodire. Quando il fiume Vegavathy inondò la città di Kanchi, Parvati protesse quindi il lingam con il suo abbraccio salvandolo dalla distruzione. Shiva, sedotto dall’atto di devozione, la sposò. In un cortile interno si trova inoltre il sacro albero di mango da cui il tempio prende il nome e a cui le coppie in cerca di figli rivolgono le loro preghiere.

Per ultimo, ma che tuttavia non esaurisce la serie di santuari che è possibile visitare a Kanchipuram, situato in un sobborgo conosciuto con il nome di Vishnu Kanchi o Chinna (“piccola”) Kanchi, si trova il Devarajaswami o Varadaraja Perumal  Temple, dedicato di nuovo a Vishnu. Edificato dai Chola ed ampliato sotto i Vijayanagara, trattasi di uno dei Divya Desams, i 108 templi consacrati a Vishnu descritti nei testi dei santi poeti Tamil (Alvar) che costituiscono meta di pellegrinaggio per tutti i devoti di fede vaishnava. Il tempio, che presenta magnifiche sculture nella “sala delle 1000 colonne”, sembrerebbe essere stato dimora del santo poeta Ramanuja.

Custodita nelle acque della vasca sacra, l’mmagine di Vishnu originale, scolpita in legno di fico e in posizione reclinata, lunga circa 12 metri, viene riportata alla luce per essere mostrata ai fedeli solo una volta ogni quarant’anni. Inoltre, il Varadaraja Perumal Temple, è l’unico che vanta la presenza di due lucertole tra le sue icone sacre. Una d’oro e l’altra d’argento, si trovano custodite all’interno di una delle tante celle del tempio. La tradizione vuole che chiunque le tocchi venga liberato da ogni sorta di problema o malattia risultante dall’accumulo di karma negativo, sia esso consapevole o inconsapevole. Le lucertole sono infatti considerate delle creature divine capaci di trasmettere buona o cattiva sorte.

La visita dei templi può essere effettuata come escursione in giornata da Mamallapuram. Alle ore 8 dalla stazione degli autobus parte un pullman diretto a Kanchi che vi costerà 41 rupie. In alternativa prendete qualunque pullman diretto a Changalpattu e lì cambiate per Kanchipuram. Il tragitto, salvo imprevisti, durerà circa 2 ore e mezza. Ingaggiate un autista di rikshaw per condurvi nella visita dei templi tenendo ben presente che tutti i santuari di Kanchipuram, ad eccezione del Kailasanatha, osservano una chiusura dalle 12.30 alle 16.00. Cominciate quindi la visita con il Vaikunta Perumal Mandir e, seguendo un ordine cronologico, proseguite con il Kamakshi, l’Ekambareshvara, e il Devarajaswami. Terminate quindi con il Kailasanatha.

Prima di cominciare il viaggio di ritorno potete fermarvi per pranzo al ristorante dell’Hotel Sri Shakti Bhavan, attaccato alla stazione degli autobus.

 

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Programma scultoreo del Kailasanatha Temple a Kanchipuram

Questo articolo è stato pubblicato su sito IndiaInOut.com in data 11/08/2014

Sulla collina delle aquile

Sulla collina delle aquile 1070 1070 Sonia Sgarella

A soli 15 km da Mamallapuram, sulla strada che porta a Kanchi, si trova l’allegro villaggio di Thirukazhukundram (perchè ridete??), una località di pellegrinaggio dove, sulla sommità di una collina, sorge il tempio di Vedagirishvara dedicato a Shiva. Entrambi i nomi appena menzionati, di difficile pronuncia, ci raccontano la storia leggendaria del luogo. Thiru-Kazhugu-Kundram, che in lingua tamil significa “la rispettabile montagna delle aquile”, ci parla di quei due volatili che quasi tutti i giorni, più o meno a mezzogiorno, sorvolerebbero le fertili pianure del Tamil Nadu per giungere a posarsi in cima al promontorio roccioso, al fine di essere sfamate dai sacerdoti custodi del tempio con le offerte di riso, frumento, burro chiarificato e zucchero. La tradizione vuole che le aquile siano originarie di Varanasi e che, qualora dovessero mancare all’appuntamento, la colpa dovrebbe essere imputata alla presenza di peccatori tra i visitatori. Una scalinata di 550 gradini da percorrere a piedi scalzi è ciò che separa il santuario dal fondo valle, da dove centinaia di pellegrini giungono ogni giorno per rendere omaggio allo Shiva lingam custodito nella cella del tempio. Shiva, il grande dio che, dietro alla richiesta del  saggio Bharadwaja di essere graziato con una lunga vita per poter apprendere i testi sacri, creò tre montagne a simbolo del Rigveda, dello Yajurveda e del Samaveda. Prese quindi altrettante manciate di fango e spiegò al saggio che i tre Veda stavano a queste come l’immensità di conoscenza necessaria per la salvazione stava alle tre montagne. L’unica via da percorrere verso la liberazione era quella della Bhakti, ovvero della devozione e dell’amore incondizionato verso dio.

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Colori da tutta l’India e sorrisi di complicità per lo sforzo sostenuto vi accompagneranno lungo la ripida salita da cui si godono vedute spettacolari dell’altro tempio della città, il Tirupurasundari Amman Temple, dedicato invece a Parvati, “la bella dei tre mondi”. Le note del mantra Om Nama Shivaya e dei canti devozionali intonati dai fedelissimi anziani -che imperterriti combattono la fatica in previsione della benedizione che li attenderà tra le mura del tempio- saranno la colonna sonora della vostra visita. “Challo!”, “andiamo!”, è il motto di chi addirittura arriva fin qui dal Rajasthan. Non c’è tempo da perdere sulla strada della devozione volta all’accumulo di meriti che possano infine liberare il pellegrino da questo incessante ciclo di rinascite ed evitargli di dover faticare di nuovo nella prossima esistenza perché questa potrebbe essere l’ultima prima del moksha, l’eterna liberazione.

I cinque “carri” leggendari di Mamallapuram

I cinque “carri” leggendari di Mamallapuram 2000 1333 Sonia Sgarella

“Madre, ho portato a casa un dono” – così si rivolse a Kunti un Arjuna vittorioso di ritorno dal grande swayamvara (pratica di selezione del futuro marito tra una rosa di contendenti) indetto dal re Draupada per trovare un degno marito a sua figlia. In un paese dove il rispetto alla madre supera anche il volere divino e in un tempo in cui la fede alla parola era un valore fondamentale, il terzo dei Pandava, eccezionale arciere, non poté fare altro che rispettare il comandamento inavvertitamente espresso da Kunti la quale, senza vedere di quale dono si trattasse rispose: “Qualsiasi cosa sia, il vostro dovere è quello di dividerlo tra di voi.” Fu così che Draupadi divenne la moglie di tutti e cinque i fratelli.

Figli di Pandu, legittimo erede al trono di Bharata, i cinque fratelli nacquero per mezzo di un potente mantra ricevuto da Kunti in giovane età, grazie al quale avrebbe potuto generare dei figli invocando a piacimento qualsiasi divinità. Nacquero così:

  • Yudishtira, figlio di Dharma (il dio della giustizia), di grande saggezza e dal forte senso di rettitudine;
  • Bhima, figlio di Vayu (il dio del vento), dalla forza sovrumana e invincibile nella lotta;
  • Arjuna, figlio di Indra (dio vedico a capo dei Deva, grande guerriero), impareggiabile nell’uso delle armi;

Kunti concesse poi l’uso del mantra alla seconda sposa di Pandu, Madri, e da lei nacquero:

  • Nakula e Sahadeva, figli gemelli degli Ashvin (i medici degli dei), di bell’aspetto e grande erudizione.

Ai cinque Pandava e alla moglie Draupadi è oggi dedicato un altro dei grandi capolavori di Mamallapuram: conosciuto col nome di “Five Rathas”, si tratta di un gruppo di cinque templi popolarmente chiamati appunto ratha, “carri”, come i veicoli processionali delle divinità. Ognuno di questi prende il nome di uno (o due nel caso dei gemelli) dei sei personaggi leggendari. Ricavati anch’essi come l'”Arjuna’s penance” (di cui l’articolo Mamallapuram: galleria d’arte a cielo aperto) da colline granitiche, quattro dei quali da un unico masso e quindi disposti sullo stesso asse, si tratta per la verità di cosiddetti vimana, il termine usato nell’India del sud per designare la cella del tempio contenente l’immagine sacra (murti) con la sua elevazione. Non vi è però nessun riferimento storico riguardo al rapporto di questi con i cinque fratelli Pandava. Si tratta invece di templi dedicati al culto delle divinità principali dell’induismo i quali tuttavia non vennero mai consacrati bensì, come accadde spesso a Mamallapuram, lasciati incompiuti.

IMG_5022(Da sinistra: tempio di Dharmaraja, tempio di Bhima, tempio di Arjuna e tempio di Draupadi)

Unica nel suo genere è la copertura del tempio chiamato di Draupadi, di fatto dedicato a Durga, assomigliante al tetto di paglia di una capanna di villaggio. Purtroppo, essendo ancora in una sorta di fase sperimentale, alcune forme, tra cui questa, non verranno più riproposte. Sulla parete di fondo della cella è raffigurata la dea: qui, diversamente che nel nord, i muri interni del sacrario non sono necessariamente disadorni.

IMG_5015(Da sinistra: tempio di Arjuna e tempio di Draupadi)

Il tempio di Bhima, di pianta rettangolare, ospita un’immagine non terminata di Vishnu disteso sul Serpente cosmico. E’ coronato da un tetto a botte. Una copertura simile la possiede anche il tempietto, non allineato agli altri e privo di scultura, noto con il nome dei gemelli Nakula e Sahadeva; questo tuttavia termina con un’abside in ricordo degli antichi santuari buddhisti.

Ma a fare scuola nell’architettura del sud saranno i templi detti di Arjuna, e soprattutto, di Dharmaraja (Yudishtira). Di pianta quadrata, presentano nella loro sovrastruttura riproduzioni in scala ridotta di edifici con tetti a botte (shala) e cieche finestrelle ad arco (chandrashala) le quali si allineano su diversi piani formando una piramide a gradoni che culmina con una pietra scolpita (stupi). I templi sono affiancati da grandi sculture di animali quali un leone e elefante che non necessariamente rappresentano il veicolo divino della divinità a cui è dedicato il tempio.

IMG_5020(tempio di Nakula e Sahadeva)

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